Conoscere meglio la Chiesa:

La Chiesa cattolica di Etiopia


Articolo della Fraternità San Pio X






Addis Abeba: Cattedrale della Natività


Dopo aver visto i riti latini (mozarabico e ambrosiano), proseguiamo con la tradizione alessandrina.
Abbiamo già detto che essa è divisa in due: il ramo egiziano e il ramo etiopico.
Il primo alla fine ha adottato il rito copto, che abbiamo già esaminato parlando del Patriarcato di Alessandria.
Il secondo lo vediamo qui adesso.


Origini

La conversione dell’Etiopia al cristianesimo è iniziata nel IV secolo.
Su richiesta dei cristiani il cui numero andava crescendo, Sant’Atanasio di Alessandria inviò un vescovo, di nome Frumenzio, per evangelizzare la zona di Axum, capitale dell’antica Etiopia (nel Nord del paese attuale).
Frumenzio, di origine siriana, fu scelto dal Patriarca egiziano e formato ad Alessandria prima di essere consacrato vescovo.

Frumenzio è considerato l’apostolo dell’Etiopia.
Egli portò con sé la celebrazione della liturgia in uso ad Alessandria.
Ci si chiede quale Anafora (canone) abbia utilizzato. Sembra che sia stata l’Anafora degli Apostoli, la prima del Messale etiope.
Nella sua forma attuale, essa può essere considerata come uno sviluppo della Tradizione apostolica, attribuita ad Ippolito.
La Chiesa etiope ha utilizzato questa Anafora senza interruzione.

La seconda Anafora è quella di Nostro Signore. Questo testo, basato su un documento siriano del IV secolo, sviluppa l’Anafora degli Apostoli.

Il Messale usato oggi dagli ortodossi e dai cattolici etiopi è lo stesso, ad eccezione dell’Anafora di San Marco, usato dai cattolici, la quale non proviene da Alessandria.

La lingua liturgica originale era il greco, dato che la liturgia era originaria di Alessandria, dove il greco continuò ad essere la lingua liturgica fino a dopo i Concilio di Calcedonia.
Ma via via che gli sforzi apostolici di Frumenzio raggiunsero le zone rurali, il greco venne sostituito dal gueze (ge’ez), la lingua locale.

La lingua gueze è di origine semita. Essa fu la lingua del regno di Axum fino al VI o VII secolo, poi sparì come lingua viva. Ma essa resta la lingua liturgica del cristianesimo etiope.
A partire dal XII secolo, essa venne usata dagli studiosi, e numerose opere furono pubblicate in questa lingua per diversi secoli.
Essa è rimasta la lingua liturgica in Etiopia.

Verso la fine del V secolo, la liturgia etiope subì delle influenze siriane ed armene, con l’arrivo di immigrati che fuggivano dalle persecuzioni nell’Impero bizantino dopo il Concilio di Caledonia.
Si attribuisce loro la traduzione dei Vangeli e di altri libri sacri in lingua gueze: il testo usato per queste traduzioni era originario dalla Siria.


Un lungo isolamento

Nel corso del Concilio di Firenze (1441), il capo della delegazione etiope venuto dal suo monastero di Gerusalemme disse a Papa Eugenio IV che, mentre la separazione delle altre Chiese era stata una ribellione volontaria, la separazione della Chiesa di Etiopia era dovuta dalla distanza e alla difficoltà del viaggio: «Per 800 anni, fino ad oggi, nessuno prima di voi ci ha rivolto una parola di saluto».

D’altronde, non vi è alcuna testimonianza di una separazione dell’Etiopia dalla Sede apostolica romana e di una formale dichiarazione di adesione al monofisismo. Ancora oggi, la Chiesa ortodossa di Etiopia condanna Eutiche e Nestorio come eretici e afferma che la sua cristologia è basata su quella di San Cirillo di Alessandria, i cui scritti sono anteriori al Concilio di Calcedonia.

Durante gli otto secoli di isolamento, la celebrazione eucaristica in Etiopia è proseguita nella sua forma tradizionale, mentre si osservava una certa evoluzione nella Chiesa latina ed anche nelle Chiese orientali: la Chiesa di Etiopia ne prese coscienza solo progressivamente, con la ripresa dei contatti con i missionari della Chiesa latina.

Questi contatti si intensificarono a partire dal 1529, con l’arrivo dell’aiuto militare portoghese per combattere il conquistatore somalo Ahmed Al-Ghazi. Dopo la sconfitta di questi nel 1543, la Chiesa accettò la celebrazione eucaristica secondo il Rito etiope.
Nel 1548, Papa Pio III approvò la stampa di un Messale etiope contenente una selezione di Anafore compilate da Abba Petros Tesfatsion.


Uno sfortunato confronto

Nel 1557, dei Gesuiti portoghesi sbarcarono in Etiopia. Essi dovettero lasciare rapidamente Axum e rimanere confinati in un territorio limitato. Venne loro proibito di rivolgersi agli Etiopi, ma furono autorizzati ad esercitare il loro ministero presso i Portoghesi. Indubbiamente usavano il Rito latino.

Un altro gruppo arrivò nel 1603, diretto da Padre Paez.
Nel 1604, su ripetuta richiesta dell’Imperatore, Padre Paez celebrò la Messa in Rito latino in sua presenza, lesse il Vangelo in gueze e predicò in aramaico, una lingua in uso ancora oggi.
Nel corso del suo soggiorno, Padre Paez tentò a più riprese di conciliare i diversi termini teologici usati da entrambi le parti per esprimere la loro cristologia.

Nelle regioni tradizionalmente cristiane, i sacerdoti cattolici etiopi usavano un Messale etiope in gueze per la celebrazione dell’Eucarestia. Sono state conservate solo due Anafore, purificate da ogni richiamo anti-calcedoniano.
Tuttavia, fuori dal territorio cristiano tradizionale, i Gesuiti usavano il Rito, la lingua e i paramenti latini.

Su richiesta di Filippo III del Portogallo, Papa Urbano VIII nominò un Patriarca latino di Etiopia, nella persona di Alfonso Mendes, che arrivò nel paese nel 1625. Il suo costante obiettivo fu la  totale latinizzazione della Chiesa etiope. Egli impose anche l’uso del Rito latino nei monasteri che erano tradizionalmente di rito liturgico etiope.

Per allentare la crescente ostilità alla latinizzazione, l’Imperatore Susenyos, che si era convertito al cattolicesimo nel 1622, chiese a Mendes nel 1627 che i sacerdoti cattolici etiopi fossero autorizzati a conservare l’uso del rito liturgico etiope. La sua richiesta fu respinta. Nel giugno 1629 e nel dicembre dello stesso anno, la richiesta venne ripetuta, ma ogni volta Mendes rifiutò.

La vicenda sfociò in una guerra civile che causò 8000 morti, malgrado gli sforzi dell’Imperatore Susenyos, che si convertì al cattolicesimo.
Il Patriarca Mendes e i Gesuiti furono espulsi dall’Etiopia.
Sfortunatamente, questo episodio creò un antagonismo tra il Rito etiope e il Rito latino.


Nuove iniziative papali

Nel corso dei 150 anni che seguirono, una ventina di iniziative papali cercarono di rilanciare la missione in Etiopia.
Nel 1640, il Padre James Wemmers, un carmelitano fiammingo, fu incaricato di recarsi in Etiopia. I termini della lettera papale autorizzavano l’uso del rito liturgico etiope.
Egli ricevette l’istruzione di non modificare il Rito etiope, ma solo di raccomandare l’unione con la Santa Sede, nella speranza di placare il clero e i monaci che avevano espulso i Gesuiti per aver manomesso il Rito.
Padre Wemmers morì a Napoli prima di imbarcarsi per l’Egitto.

Un sacerdote etiope, Abba Tobia Ghiorghis Gebreziabhier, che aveva studiato a Roma tra il 1782 e il 1788, fu nominato nel 1788 dalla Santa Sede vescovo titolare di Adulis, ma il decreto di nomina stabiliva che, per essere consacrato vescovo, il candidato doveva prestare giuramento di conservare l’uso del rito liturgico etiope.
Abba Tobia fu consacrato vescovo il 24 giugno 1788 secondo il rito liturgico bizantino.

Alla fine del 1789, egli arrivò in Etiopia. Per otto anni condusse una vita apostolica clandestina, perché il Patriarca copto d’Egitto lo aveva condannato a morte.
Egli lasciò l’Etiopia all’inizio del 1797 e morì di peste in Egitto nel 1801.
Non è rimasta alcuna traccia dei suoi anni di apostolato clandestino.


Un tentativo riuscito

Papa Gregorio XVI nominò nel 1839 Justin de Jacobis, un lazzarista, Prefetto apostolico di Abissinia. Il prelato arrivò nel Tigri lo stesso anno.
Nel 1846, la Prefettura fu divisa per creare dei Vicariati apostolici nel Sudan ad Ovest e nel Galla a Sud.
L’anno seguente nacque il Vicariato apostolico di Abissinia, che comprendeva il Tigri, l’Eritrea, l’Amhara, lo Scioia, il Wello, il Gondar e il Goggiam.

Una bolla del 1847 concesse a Mons. de Jacobis di esercitare «tutte le funzioni sacre secondo il Rito abissino».
Papa Pio IX rinnovò l’autorizzazione nel 1850: essa stabilì che il prelato e i suoi missionari di Rito latino «potevano esercitare le funzioni sacre secondo il Rito abissino» e che, quando celebravano col Rito abissino, coloro che normalmente usavano pane azzimo potevano usare pane lievitato».

Conformemente alla pratica del Rito etiope, i sacerdoti non celebravano la Messa quotidiana privata. Vi era solo una Messa a cui assisteva la comunità.
La Domenica o i giorni di grande festa, generalmente il vescovo cantava la Messa.
La Comunione non era frequente, i membri della comunità la ricevevano solo il venerdì e la Domenica.


Evoluzione sotto i seguenti Vicari apostolici

Mons. M. Touvier, quarto Vicario apostolico del Vicariato di Abissinia, ricevette nel 1870 le stesse autorizzazioni dei suoi predecessori. Inoltre, la celebrazione della Messa bassa, inizialmente chiesta da un precedente Vicario apostolico, Mons. Bel, venne permessa.

In quel periodo furono introdotte altre pratiche latine, come l’utilizzo del pane senza lievito per la Messa e la distribuzione della Santa Comunione sotto la sola specie del pane.
Mons. Touvier si rese conto che tredici Anafore eucaristiche che erano state riviste e considerate «cattoliche» dovevano essere oggetto di uno studio più approfondito.

Mons. J. Crouzet, divenuto Vicario apostolico nel 1888, ricevette dalla Santa Sede l’incarico di procedere ad un esame del rito liturgico etiope.
Tuttavia, un decreto del 1890 stabilì che il Rito latino, tradotto in gueze, doveva sostituire il Rito etiope.
Ma, nel novembre 1891, Mons. Crouzet informò la Santa Sede che 14 Anafore erano state riviste, stampate e diffuse.

La Santa Sede continuò a voler imporre la Messa in latino tradotta in gueze.
Tuttavia, nel 1907, quando niente di concreto era stato fatto, la Santa Sede espresse la sua volontà in maniera pressante e il nuovo Prefetto apostolico rispose che, per diversi motivi, ormai egli era contrario all’adozione della liturgia latina tradotta in gueze.

Il Padre E. Gruson, lazzarista, si fece suo interprete e spiegò che la Messa latina in gueze non era conosciuta in Etiopia. Nel XVII secolo, i Gesuiti avevano cercato di introdurla e Padre Gruson precisò: «Noi tutti conosciamo la sorte che le è stata riservata per l’attaccamento degli Abissini al loro rito tradizionale».

Infine, sotto San Pio X, che fu sempre attento alla conservazione dei riti cattolici orientali, un dispaccio del 25 febbraio 1913 diede l’approvazione ufficiale alla ristampa della Messa originale.
Da allora, l’uso del rito liturgico etiope non fu più messo in discussione. Negli anni che seguirono, il Messale cattolico etiope fu ampiamente ristampato.

Oggi, la liturgia in lingua gueze o rito gueze o rito etiope o rito abissino, è utilizzato nella Chiesa cattolica etiope (e dai cattolici eritrei anche dopo la separazione dei paesi del  1993).
Esso è anche usato dalla Chiesa ortodossa etiope e dalla Chiesa ortodossa eritrea.

In Etiopia, i cristiani sono più del 60% della popolazione. Gli ortodossi superano il 43% e i cattolici sono meno dell’1% della popolazione dell’Etiopia.
I protestanti si avvicinano al 19%.
In Eritrea, il cristianesimo raggiunge circa il 50% della popolazione, di cui il 30% sono ortodossi e il 5% cattolici.

Attualmente, i cattolici di rito abissino sono distribuiti in due chiese metropolitane sui juris: quella di Addis Abeba per l’Etiopia, con tre Eparchie che equivalgono alle diocesi suffraganee: Adigrat, Bahir Dar-Dessie e Emdibir; e quella di Asmara per l’Eritrea con le Eparchie di Barentu, Keren e Segeneiti.









 
agosto 2025
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