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Leone, il pompiere nella Chiesa divorata dal fuoco della divisione. Ma quale unità ricerca? di don Claude Barthe pubblicato su https://www.resnovae.fr/leone-xiv-un-pontificato-a-tappe/ Ripreso e tradotto dal sito di Aldo Maria Valli ![]() Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato
per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga
meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli
Lc 22, 31-32
Abbiamo avuto occasione di dire che il pontificato bergogliano, con le sue ambiguità, può ben costituire, se non la fase terminale del post-Vaticano II, almeno l’approssimarsi della sua fine. A condizione, beninteso, che si trovino uomini di Chiesa con la determinazione necessaria per voltare pagina. In assenza e in attesa di questo, si può sperare nell’adozione di una sorta di realismo a tappe, in virtù del quale lasciar vivere e svilupparsi le forze cattoliche ancora esistenti. In definitiva, la Chiesa di Cristo aspira al grande ritorno dell’ordine magisteriale e i suoi Pastori lo devono preparare. Un papa per «placare le tensioni» I Papi che si sono succeduti nel post-Concilio hanno riposto tutta la loro energia nel superare le fratture che hanno inevitabilmente provocato il cedimento liberale della dottrina ecclesiologica e, dopo Francesco, quello della dottrina matrimoniale. Fratture dottrinali seguite a quella causata dalla riforma liturgica, anch’essa di stampo liberale. Nessuna «ermeneutica» ha funzionato per incollare di nuovo i pezzi del vaso rotto. Il messaggio missionario della Chiesa non ha smesso di affievolirsi, allo stesso tempo in cui si assottigliava il numero dei suoi preti e dei suoi fedeli. Inoltre, lo stile di attuazione del pontificato di Francesco ha provocato un caos generalizzato. È, quindi, più che mai il ritorno all’unità ciò che viene chiesto al nuovo Papa, uomo di riflessione, di preghiera, di ascolto attento, ma anche uomo impenetrabile. Unità, ma quale? Quella sognata da coloro che l’hanno portato al pontificato, tutti del serraglio conciliare, per di più nella sua tonalità bergogliana, ovvero un consenso pacifico che includa l’adesione alle grandi «conquiste»? Oppure l’unità attorno alla Parola di Dio, «efficace e più tagliente di una spada a doppio taglio» (Eb 4, 12)? Nei giorni che hanno preceduto l’entrata in Conclave nel mese di maggio, i giornalisti italiani hanno notato che il cardinale Prevost, prelato per sua natura serio e riservato, il cui nome era dato dai meglio informati come quello che sarebbe «uscito», sembrava esser diventato particolarmente preoccupato. Lo si sarebbe stati anche per meno. La prospettiva di farsi carico del governo di una Chiesa nello stato in cui si trova non poteva che far tremare. I cardinali più influenti avevano cercato un uomo di continuità, ma nella differenza. Nonostante qualche attrito passato, Papa Bergoglio aveva saputo scoprire le qualità di questo religioso agostiniano. Perché non si può negare a Francesco d’aver avuto il carisma, il fiuto del capo, nell’essere stato capace di prepararsi un successore diverso da lui, più rassicurante. In un lasso di tempo molto breve ha elevato ai più alti ranghi Robert Francis Prevost, che aveva scovato nel 2018 durante il suo viaggio apostolico in Perù. Egli ha conferito all’amministratore apostolico (2013) e poi vescovo (2014) di Chiclayo, nel 2023 l’incarico di Prefetto del Dicastero per i Vescovi, vale a dire il ruolo cruciale nel governo romano per fare i vescovi – e anche per disfarli –, ruolo ancor più essenziale sotto un pontificato, quello di Francesco, che con risoluta volontà politica si è dedicato a rinnovare il corpo episcopale così come il collegio cardinalizio. Meno di due anni prima della sua elevazione al Soglio di Pietro, Prevost è divenuto Prefetto, cardinale e Presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina [1]. Con Prevost, più peruviano che statunitense, l’America Latina è entrata in Curia. Al suo fianco un personaggio-chiave, l’influentissimo monsignor Ilson de Jesus Montanari, prelato brasiliano di sessantacinque anni, segretario del Dicastero per i Vescovi, funzionario efficiente, bergogliano della stretta cerchia, nominato da Francesco fin dal 2013. Egli sovrintendeva – e sovrintende tuttora – alla preparazione dei dossier dei vescovi da nominare e di quelli da scartare, divenendo inoltre, in quanto Segretario del Dicastero, anche Segretario del Collegio Cardinalizio, e per questo è stato chiamato a essere il segretario del Conclave. Francesco lo aveva nominato pure vice-camerlengo della Chiesa (dovendo il camerlengo, nella fattispecie il cardinal Kevin Farrell, dirigere le questioni temporali durante la vacanza della Sede). Nel complesso, Montanari, ch’era divenuto una sorta di segretario esecutivo del governo bergogliano, ha giocato un ruolo rilevante nel periodo di sede vacante e dovrebbe in linea di massima divenire cardinale in occasione delle prime nomine che Leone XIV farà. Sembra che i cardinali dell’America Latina abbiano giocato un ruolo importante tra coloro che hanno spinto per il cardinale Prevost. Domande. Il cardinale Versaldi, ex Prefetto della Congregazione per l’Educazione, ha anch’egli preparato l’iter verso il pontificato di Prevost? Il cardinale Hollerich ha davvero negoziato, dopo il primo scrutinio, il ritiro di Pietro Parolin in favore dello stesso Prevost, cosa che ha assicurato a quest’ultimo un’elezione fulminea? Dopo l’elezione, Lucio Caracciolo, Direttore della rivista di geopolitica Limes, ha presentato il nuovo Papa come quello prescelto per allontanare il rischio che il cattolicesimo si disintegri [2]. E Alberto Melloni, storico, leader della Scuola di Bologna, ha sottolineato la capacità di Prevost, che gli viene riconosciuta, di «placare le tensioni», di «smussare le asperità» [3]. Il 4 maggio, quattro giorni prima dell’elezione, padre Antonio Spadaro SJ, del Dicastero per la cultura e l’educazione, ex Direttore de «La Civiltà Cattolica», ha scritto in un articolo programmatico su «La Repubblica»: «La vera sfida non è l’unità, ma la diversità», articolo che noi abbiamo già citato [4]. «Impegniamoci a fare delle nostre differenze un laboratorio di unità e di comunione, di fraternità e di riconciliazione, affinché ognuno nella Chiesa, con la propria storia personale, apprenda a camminare con gli altri» [5]. La Chiesa, come qualsiasi realtà collettiva, non può più «esprimersi in modo uniforme e monocorde», ha detto Spadaro, «la coesione non può essere cercata nell’uniformità, ma nella capacità d’accogliere e di armonizzare il molteplice». È probabile che Leone XIV abbia una concezione meno estensiva di Antonio Spadaro rispetto alla molteplicità armonizzabile, ma è proprio con questo obiettivo, quello di armonizzare, di quietare, che egli è stato elevato al Soglio petrino. Il suo primo messaggio, la sera della sua elezione, ha contenuto per dieci volte la parola «pace», invitando a «costruire ponti attraverso il dialogo, attraverso l’incontro». Lo stile e il vocabolario, molto più spirituali di quelli del suo predecessore, sottolineavano questa volontà di pacificazione. Nella sua personalità c’è una felice mescolanza di semplicità, vicinanza alla gente e desiderio d’incarnare la propria funzione con i suoi attributi simbolici. L’assicurazione data da Prevost circa il fatto che l’impegno della Chiesa nel suo processo sinodale proseguirà ha giocato un ruolo importante nella sua elezione. Continuità, dunque, ma stabilizzata da un ricentramento canonico e spirituale. Ad esempio, padre Alberto Royo Mejía, storico dei santi contemporanei, promotore della fede nel Dicastero per le Cause dei Santi, è molto apprezzato dal nuovo Pontefice, così come padre Clodovis Boff, francescano brasiliano, che è stato uno dei grandi nomi della teologia della liberazione assieme a suo fratello Leonardo (quest’ultimo ha poi abbandonato lo stato clericale Un mese dopo l’elezione, il 13 luglio, Clodovis Boff ha indirizzato una lettera aperta a tutti i vescovi del Celam, la Conferenza Episcopale Latinoamericana [6], di cui si era appena conclusa la quarantesima Assemblea ordinaria e alla quale Leone XIV aveva indirizzato un messaggio. Clodovis li ha apostrofati con questa argomentazione: avete ben compreso ciò che vi ha chiesto il Papa? «Voi, vescovi del Celam, andate ripetendo sempre la stessa vecchia storia: sociale, sociale e sociale. E lo fate da cinquant’anni». Ed ha chiesto loro di annunciare «la buona novella di Dio, di Cristo e del Suo Spirito», quella della «grazia e della salvezza», della «preghiera e dell’adorazione, della pietà verso la Madre del Signore» e altri temi simili. È necessario cogliere la complessità dei posizionamenti e rendersi conto che qui non ci si sta allontanando dalla linea di Bergoglio. Clodovis Boff già nel 2007, quando si era riunita la quinta Conferenza generale dell’episcopato latino-americano presso il Santuario mariano di Aparecida in Brasile, aveva partecipato con l’arcivescovo di Buenos Aires, il cardinale Jorge Mario Bergoglio, che presiedeva la commissione incaricata di redigere le conclusioni della conferenza, all’offensiva contro il «riduzionismo socializzante» della teologia della liberazione. Perché, contrariamente a quel che si dice in modo approssimativo, il peronista Jorge Bergoglio era anti-marxista. Una liberalizzazione della liturgia tradizionale come tappa? Se l’indecifrabile Leone XIV è destinato a «placare le tensioni», uno spazio di libertà maggiore potrebbe aprirsi per tutte le correnti, in modo controllato, dopo prudenti attese. Questo lo sperano tutti, tanto i prelati tedeschi, guidati dall’ultraprogressista monsignor Georg Bätzing, vescovo di Limburg, quanto i fautori della liturgia tradizionale. Che alla liturgia tradizionale venga dato un po’ di respiro è ritenuto plausibile in quanto sarà più facile per Leone XIV accordare a coloro che vi sono legati delle libertà che potranno essere considerate come concessioni tranquillizzanti, ponti gettati per accogliere tutti, senza che egli debba prender posizione nel merito. Ma in Francia un buon numero di vescovi, dai quali il mondo tradizionale viene percepito come una concorrenza insopportabile, non è pronto per questo e si attiene a una linea il più possibile riduzionista: loro desiderio è ridurre al minimo la presenza nelle diocesi di un clero specializzato nella liturgia antica e in grado di fornire tutte le altre cure pastorali e catechistiche. Tuttavia, il rapporto di forze diviene progressivamente più favorevole al rito antico, ad esempio nelle città di provincia. Leone XIV, conciliare senza patemi, non ha con una parte del mondo tradizionale la vicinanza che aveva acquisito Benedetto XVI, ma la sua volontà di pacificazione potrebbe unirsi a quella dei fautori di un liberalismo «di sinistra». Il cardinal Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, membro importante della Comunità di Sant’Egidio, è un buon esempio di tale tipo di apertura, che si può avvicinare al pensiero di padre Spadaro. Quest’ultimo è giunto persino a salutare positivamente, nell’articolo sopra citato, il fatto che Papa Francesco abbia ufficialmente concesso facoltà sacramentali alla Fraternità San Pio X. Quanto al cardinal Zuppi, questi non ha esitato a celebrare pontificalmente in rito antico ed è giunto persino a presiedere, nel 2022, la cerimonia d’apertura del pellegrinaggio Summorum Pontificum a Roma. A differenza dei vescovi francesi, i quali preferirebbero che i tradizionalisti si unissero al mondo lefebvriano, Zuppi (e Leone XIV?) ritiene che sia meglio che i fruitori della liturgia tradizionale restino «dentro», piuttosto che svilupparsi «all’esterno» in modo incontrollabile. D’altra parte, come potrebbe il nuovo pontificato esentarsi dal dare maggiore libertà non solamente ai tradizionalisti, bensì più in generale a quelle che, con qualche esagerazione, vengono chiamate «le forze vive della Chiesa», l’insieme delle correnti cattoliche che oggi riempiono le chiese di fedeli, soprattutto di giovani e famiglie numerose, che producono vocazioni sacerdotali e religiose e provocano conversioni, come per esempio la Comunità dell’Emmanuele, la Comunità di San Martino e alcuni fiorenti monasteri di religiosi e religiose contemplativi? C’è però un paradosso, addirittura un rischio, per coloro che invocano la libertà per la liturgia e il catechismo tradizionali: quello di vedersi accordare una sorta di autorizzazione alla cattolicità liturgica e dottrinale. Abbiamo già avuto modo di citare come esempio la situazione paradossale creatasi nel XIX secolo nel sistema politico francese, quando i più duri fautori della Restaurazione monarchica, nemici per principio delle libertà moderne introdotte dalla Rivoluzione, lottavano in continuazione affinché si lasciasse loro uno spazio di vita e di espressione, libertà di stampa, libertà d’insegnamento. A parità di condizioni, nel sistema ecclesiale del XXI secolo, almeno nell’immediato, un allentamento del dispotismo ideologico della riforma potrebbe esser benefico. Ma, probabilmente vantaggioso sul breve e medio termine, potrebbe risultare, in ultima analisi, radicalmente insoddisfacente. Aspettando Pio XIII… «Il contenuto delle sue dichiarazioni [di Papa Leone] lascia supporre ch’egli abbia intenzione di continuare sulla strada di Papa Francesco di costruire una Chiesa sinodale. Leone ha lasciato intendere che l’accordo del Vaticano con la Cina circa la nomina dei vescovi proseguirà. Ha anche continuato a promuovere l’enciclica “Laudato Si’” di Francesco e l’appello del suo predecessore a prendersi cura del Creato. Leone si è ispirato al messaggio pastorale dell’esortazione “Amoris lætitia” di Francesco, che è stata alquanto denigrata dai critici, affermando che promuovere l’incontro con Dio “non consiste nel dare risposte affrettate a domande difficili, ma nell’avvicinarsi alla gente, nell’ascoltarla e nel cercare di capire”» [7]. È un dato di fatto che Leone XIV si è fatto carico dell’eredità di Francesco. Quest’eredità, conciliare nella sostanza, se si lasciano da parte la sinodalità, che resiste a qualsiasi tentativo di definizione precisa, e l’impegno ecologico, si riassume in tre testi: «Amoris lætitia» e «Fiducia supplicans» per la morale del matrimonio, «Traditionis custodes» per la liturgia tradizionale. Circa la morale del matrimonio, si sa che Leone XIV è contrario alle benedizioni per le coppie dello stesso sesso. Ma va tenuto conto che le benedizioni di coppie irregolari consentite al n. 31 della dichiarazione «Fiducia supplicans» [8] riguardano essenzialmente i divorziati «risposati». Le poche coppie omosessuali che chiedono una benedizione nascondono la selva di coppie adultere, che fanno pressione sui parroci per ottenere una benedizione che funga da «matrimonio in chiesa» e, in molto casi, la ottengono. Di fatto, «Fiducia supplicans» avvalora l’esortazione apostolica «Amoris lætitia», che rappresenta incontestabilmente un consenso alla degradazione del matrimonio cattolico. La difficoltà di «Amoris lætitia» si concentra tutta nel n. 301 [9], da cui si potrebbe trarre la seguente proposizione: alcuni di coloro che vivono in adulterio, pur conoscendo la norma che trasgrediscono, possono non trovarsi in stato di peccato mortale. Che cosa farà Leone XIV circa questo insegnamento bergogliano che attenta gravemente alla santità del matrimonio? Aggirarlo in maniera abile, indiretta, non sarà sufficiente per invalidarlo. Egli dovrà necessariamente approvarlo o annullarlo. La Chiesa, infatti, è depositaria del contenuto della Rivelazione, della dottrina della fede e della morale, a cui è necessario aderire per essere salvati. La sua unità è costruita attorno a questa dottrina che il Papa, successore di Pietro, e i vescovi, successori degli Apostoli, sono incaricati di insegnare. Non ci si potrebbe accontentare, per difendere la fede, di dichiarazioni che attenuino una siffatta eterodossia o che la controbilancino con insegnamenti contrari, tali tuttavia da far permanere l’insegnamento viziato. È necessario, per la salvezza delle anime, estirpare l’insegnamento falso. Questi nodi posti da Papa Francesco non sono paradossalmente provvidenziali? L’obbligo, se adempiuto da Leone XIV, di risolvere quest’eredità bergogliana, offrirebbe l’occasione per tornare a un Magistero pienamente autorevole, distinguendo in nome di Cristo il vero dal falso su tutte le questioni controverse della morale familiare, dell’ecumenismo eccetera. Distinguendo non soltanto ciò che è cattolico da ciò che non lo è, ma coloro che sono cattolici da coloro che si dicono cattolici senza esserlo. Altrimenti, si continuerà a non sapere cosa sia dentro e cosa sia fuori una Chiesa sommersa da una sorta di neo-cattolicesimo senza dogmi. Concedere la libertà della tradizione liturgica e di tutto ciò che ne consegue è senz’altro eminentemente auspicabile, ma come tappa. La vera medicina che il popolo cristiano ha il diritto di aspettarsi dal Papa è il servizio all’unità in quanto tale, un servizio positivo attraverso la definizione delle verità da credere e un servizio negativo attraverso la condanna degli errori da respingere. Poiché se la regola oggettiva dell’unica fede è la Parola di Dio, è il magistero del Papa da solo oppure del Papa e dei vescovi uniti a far conoscere il contenuto del messaggio della Rivelazione e a notificare l’obbligo di aderirvi. Il compito del successore di Pietro non è forse quello di «confermare i suoi fratelli» (Lc 22, 31-32)? I suoi fratelli vescovi in primo luogo? È peraltro ai suoi fratelli nell’episcopato che spetta interrogarlo, sollecitarlo e persino anticiparlo nelle precisazioni dottrinali e nelle condanne, sotto l’arbitrato ultimo della sua parola definitiva di successore di Pietro. Per questo grande ritorno all’esercizio del Magistero ordinario ed universale – ed eventualmente del Magistero solenne – in luogo di quel magistero autolimitato che è il magistero pastorale, quel problema sensibilissimo ed irritante che è la disputa liturgica potrebbe giocare un ruolo decisivo. Con Papa Bergoglio la questione è divenuta molto semplice: l’intero approccio repressivo di «Traditionis custodes» si fonda infatti sul suo articolo 1: «I libri liturgici promulgati dai Santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, conformemente ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano». L’adagio lex orandi, lex credendi, coniato al tempo della crisi pelagiana riguardo al potere della grazia significa che si trovano nelle preghiere della Chiesa delle formule che esprimono ciò che essa crede. L’adagio si applica molto estesamente» [10]. Secondo «Traditionis custodes», a seguito della riforma la liturgia romana pre-riforma avrebbe dunque perso il proprio status di lex orandi. Ripetiamo: è eminentemente auspicabile che il nuovo Papa accordi direttamente o indirettamente a questa liturgia maggiore libertà. Ma concessa questa, resta il fatto che la seguente proposizione viene ormai insegnata nella Chiesa: i libri liturgici in vigore prima della riforma di Paolo VI non esprimono la lex orandi del Rito Romano. La questione che il magistero della Chiesa ha ormai l’onere di risolvere è: tale affermazione è vera o falsa? Nella seconda ipotesi deve essere condannata. Con le conseguenze che ne seguiranno. NOTE 1- Non si è obbligati a prender come parola del Vangelo le rivelazioni che Helder Red ha carpito ad un cardinale all’indomani del conclave e che egli riporta su RomaToday, una delle edizioni del quotidiano online Today, il 21 luglio, però esse ben corrispondono al discorso dei bergogliani: «Prevost era il solo candidato di Bergoglio. Poco tempo prima di morire, il vecchio leader argentino ha chiamato tutti i cardinali, di cui potesse fidarsi, ed ha detto loro: “Per favore, dopo di me, è la volta dell’Americano. Missionario, agostiniano, rappresenterà quanto vi sia di meglio per la Chiesa universale”. […] Serviva un “normalizzatore”, qualcuno che rassicurasse la Curia, pur non facendone parte, che rassicurasse i progressisti, perché non era un tradizionalista, e che rassicurasse i tradizionalisti, perché veniva percepito come un moderato. […] In breve, ci voleva qualcuno che unisse, se volete anche con un tocco di monotonia, ma, dopo i fuochi d’artificio, un po’ di silenzio va bene. […] È la scelta migliore, certamente meno frizzante, però abbiamo bisogno di qualcuno che consolidi le spalle di Francesco, abbiamo bisogno di un Paolo VI, che rassicuri e confermi. Lui, Prevost, è una persona degna, molto seria, disponibile, missionario nell’anima». 2 - Intervista a La Repubblica, 10 giugno 2025. 3 - Le Monde¸ dibattito, 10 maggio 2025. 4 - Res Novæ, 8 maggio 2025. 5 - Leone XIV, omelia del 29 giugno, Zenit, 30 giugno 2025. 6 - Carta-ao-CELAM-Frei-Clodovis-Boff.pdf. 7 - Mike Lewis, «Projecting on the Pontiff: Pope Leo’s “Shift in Tone”, Where Peter Is» [«Proiezione sul Pontefice: Il “cambiamento di tono” di Papa Leone», Dov’è Pietro» -NdT], 19 luglio 2025. 8 - «Nell’orizzonte qui delineato si colloca la possibilità di benedizioni di coppie in situazioni irregolari e di coppie dello stesso sesso, la cui forma non deve trovare alcuna fissazione rituale da parte delle autorità ecclesiali, allo scopo di non produrre una confusione con la benedizione propria del sacramento del matrimonio. In questi casi, si impartisce una benedizione che non solo ha valore ascendente, ma che è anche l’invocazione di una benedizione discendente da parte di Dio stesso su coloro che, riconoscendosi indigenti e bisognosi del suo aiuto, non rivendicano la legittimazione di un proprio status, ma mendicano che tutto ciò che di vero, di buono e di umanamente valido è presente nella loro vita e relazioni, sia investito, sanato ed elevato dalla presenza dello Spirito Santo». 9 - «Per comprendere in modo adeguato perché è possibile e necessario un discernimento speciale in alcune situazioni dette “irregolari”, c’è una questione di cui si deve sempre tener conto, in modo che mai si pensi che si pretenda di ridurre le esigenze del Vangelo. La Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti. Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante. I limiti non dipendono semplicemente da una eventuale ignoranza della norma. Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere “valori insiti nella norma morale” o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa». 10 - Ad esempio, l’insegnamento del Concilio di Trento sulla Messa come «vero ed autentico (verum et proprium) sacrificio» (Dz 1751) ha il proprio equivalente in un accumulo di preghiere sacrificali nella Messa romana in vigore fino al Vaticano II. |