Il Papa,
la dignità pontificia, l’indegnità umana
e il dovere del cattolico

di Giovanni Servodio



In questi ultimi mesi, per tutta una serie di motivi più o meno giustificati e più o meno condivisibili, è andata montando una sorta di diffusa insofferenza per i gesti, le parole e gli atti del nuovo Papa Francesco, al secolo Jorge Mario Bergoglio e noto per la sua dichiarata predilezione per il titolo di “Vescovo di Roma” piuttosto che di “Sommo Pontefice”.
È stato rilevato come egli stia industriandosi per dare una precisa impostazione al suo pontificato, volta a sminuire il più possibile l’elemento dottrinale, sacrale e soprannaturale della Chiesa cattolica e del papato, a favore dell’elemento cosiddetto “pastorale”, umano e naturale della Chiesa di Cristo e del Vicario di Cristo.
È stato fatto giustamente notare che il cosiddetto elemento “pastorale”, che spesso si vuole distinto dall’elemento dottrinale, in realtà, se visto di per sé, è un non senso, poiché non è possibile anche solo immaginare che possa esistere una “religione” fatta solo di “pastoralità”, cioè di preoccupazione per la cura dei fedeli in terra. Qualsivoglia cura e azione pastorale può solo discendere dai princípii dottrinali, che la ispirano, la guidano e la giustificano, princípii che giocoforza vengono adattati alla realtà temporale e spaziale che via via si presenta. Diversamente, la “pastoralità” si traduce in una mera pratica religiosa che ineluttabilmente soggiace alle cangianti evenienze dell’esistenza, e che si riflette inevitabilmente sugli stessi princípii, stravolgendoli.
In altri termini: o si ha cura delle anime secondo gli insegnamenti e i comandamenti di Nostro Signore o si è costretti a modificare questi ultimi per farli coincidere con le esigenze della pastorale che prescinde da essi. È quello che è accaduto in questi ultimi cinquant’anni.

Ora, papa Bergoglio continua a privilegiare la pastorale a scapito dei princípii, convinto che più che piacere a Dio bisogna piacere agli uomini. Non è quello che deve fare un papa, non perché lo diciamo noi, ma perché Nostro Signore ha posto Pietro a capo della Sua Chiesa, non di una Chiesa che piaccia agli uomini.
Logicamente, in questo contesto, si è ampliato il numero di coloro che si chiedono se questo è un papa; e si accentuata la divisione tra coloro che difendono il Papa perché è il Papa, e coloro che vogliono mantenersi ai princípii nonostante il Papa, un papa così.

Si può criticare il Papa?
Domanda mal posta, poiché il Papa, il Vicario di Cristo, non è criticabile, ma è criticabile l’uomo che lo impersona, e non perché è bello o brutto, simpatico o antipatico, conservatore o progressista, tradizionista o modernista, ma perché l’uomo si esprime volutamente con gesti, parole ed atti rivolti ai fedeli, perché essi  li conoscano e vi si conformino.
La prima obiezione che si presenta è che criticando l’uomo che impersona il papato, è inevitabile che si critichi il Papa; e questo è vero, ma questa stessa obiezione contiene la sua confutazione: il Papa non può esprimersi in maniera criticabile.
Ma allora non è il Papa! E invece lo è, sia perché è un dato di fatto, sia perché l’essere papa non lo preserva dall’errore. Se il Papa fosse esente dall’errore sempre e comunque, sarebbe infallibile, cosa impossibile in terra, tant’è vero che la dottrina insegna che l’infallibilità è assicurata solo quando il Papa parla come dottore supremo ex cathedra, e questo perché non è lui che è infallibile, ma la dottrina che insegna, che è di Dio. Ne consegue che se il Papa si limita a trasmettere la dottrina, non corre il rischio dell’errore, ma se si discosta anche solo po’ dalla dottrina è ben possibile che cada nell’errore.
Ora, le critiche a Papa Francesco nascono da fattori che si dimostrano in contrasto con la dottrina, così che esse, non solo sono legittime, ma doverose, fino al punto che esentarsi dalle critiche equivarrebbe a condividere il contrasto con la dottrina, che in termini immediati significa mettersi in contrasto con Nostro Signore. Visto quindi che questo non è possibile senza smettere di essere cattolici, ne consegue che se si vuole rimanere cattolici si è costretti a criticare il Papa allorché sbaglia.

Ma se il Papa non è criticabile, sorge il dubbio, oggi diffuso, che chi critichi il Papa è possibile che non sia veramente cattolico, come egli crede e dice di essere.
Questa eventualità può presentarsi, però, solo a condizione che ci si disponga in maniera semplicistica, per esempio dicendo che un semplice fedele non sarebbe in grado di vagliare i gesti, le parole e gli atti di un papa alla luce della dottrina, salvo ammettere che ogni semplice fedele abbia il possesso pieno dell’intera dottrina. Cosa possibile solo eccezionalmente.
È comprensibile che la semplicità di questa considerazione possa incontrare il consenso dei più, tale che la critica al Papa non poggerebbe su alcuna giustificazione; e tuttavia, persistendo in modo oggettivo i contrasti tra la dottrina e quanto espresso dal Papa con parole, gesti e azioni, che inevitabilmente costituiscono per i fedeli dei veri e proprii atti magisteriali, è inevitabile che il dovere di ogni cattolico imponga il distinguo e la critica.

Da quanto sopra detto scaturisce una difficoltà che richiede un’attenta considerazione: un papa che insegna, anche senza volerlo, in modo difforme o perfino avverso alla dottrina cattolica, dimostra di non essere degno della funzione che ricopre: occupa indegnamente il Soglio di Pietro, al punto che il Soglio di Pietro viene macchiato dall’indegnità del successore. Ciò nonostante la dignità del successore di Pietro, la dignità della funzione, la dignità del papato, non viene meno. Il cattolico resta obbligato a riconoscere la dignità della funzione e a sottomettersi ad essa. Ed è proprio questo riconoscimento e la necessità di sottomettersi al Papa che gli impone la critica e la condanna del successore indegno, perché si conservi la primaria dignità e si preservi nella giustezza la sua sottomissione. Sottomesso al Papa, il cattolico è stretto dal dovere di criticare e se necessario condannare il successore indegno, perché si salvi il papato e lo si preservi dall’essere coinvolto nell’errore.
Più è sentita la fedeltà e la sottomissione a Pietro, più la critica e l’eventuale condanna del successore indegno devono essere chiare e instancabili.

Si stabilisce così la condanna e il rifiuto formale de Papa? Nient’affatto!
L’unica autorità che può formalmente rifiutare il Papa è il Papa stesso. Fintanto che il Papa, un papa, non dichiara decaduto il Papa, quel Papa, questi rimane il legittimo successore di Pietro, ed è esattamente per questo che il fedele ha il dovere di criticare e condannare il Papa, quando questi contraddice la dottrina cattolica, perché è solo facendo così che il fedele aderisce alla dottrina e insieme riconosce la funzione papale: criticando e condannando gli errori dell’uomo e insieme riconoscendo che quell’uomo che sta sbagliando impersona la funzione papale.
La contraddizione è solo apparente: non potrebbe aversi l’abominio nel luogo santo se quest’ultimo cessasse di essere santo; non potrebbe aversi un papa eretico se questi cessasse di essere papa.

È questo il segno dell’abominazione, lo stesso che corrisponde alla profezia implicita di Nostro Signore Gesù Cristo: «Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc. 18,8).

La fede sulla terra ci sarà ancora, ma grazie a coloro che saranno rimasti fedeli a Nostro Signore, grazie al piccolo resto che persevererà nonostante le deviazioni e i tradimenti dei chierici, papa compreso.


gennaio 2014

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