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Pacifiste israeliane e palestinesi allo sciopero del 17 agosto 2025 per Gaza ![]() Pacifiste israeliane e palestinesi manifestano per la fine della guerra a Gaza «Il governo ha emesso una condanna a morte per gli ostaggi, i soldati e la popolazione civile di Gaza contro le raccomandazioni dell’esercito, invece di promuovere un accordo completo per porre fine alla guerra e liberare gli ostaggi», scrivono su Facebook le attiviste di Women Wage Peace (Le donne portano – si potrebbe dire che osano – la pace), organizzazione femminile pacifista israeliana attiva in collaborazione con l’omologa organizzazione palestinese Women of the Sun. Ci saranno anche loro Domenica 17 agosto 2025 nello sciopero generale chiesto dalle famiglie degli ostaggi nell’ennesimo tentativo di esercitare pressione contro l’esecutivo che con l’occupazione di Gaza, definita dalle attiviste «un disastro morale e politico», mostra di voler sacrificare le vite degli ultimi ostaggi ancora in vita alla riconquista della Striscia. Lo sciopero inizierà Domenica mattina alle 7 e coinvolgerà aziende, sindacati, organizzazioni e singoli individui, benché le famiglie degli ostaggi abbiano fatto appello anche ai partiti dell’opposizione, che hanno aderito all’iniziativa di protesta definendola «giustificata e appropriata». È la condirettrice di Women Wage Peace, la giurista 49enne Yael Braudo-Bahat, ad aver espresso nelle scorse settimane la frustrazione delle pacifiste per gli sforzi disattesi a causa dell’ostinazione del governo di Benjamin Netanyahu che ignora la volontà della maggior parte dell’opinione pubblica israeliana di porre fine alla guerra. «Nel mondo ebraico – ha scritto sul Jerusalem Post – gli Ebrei più giovani stanno sempre di più volgendo le spalle a Israele, sentendosi traditi e provando vergogna per quello che Israele sta facendo: è quanto ho ascoltato in tutte le comunità che ho visitato. Chi può dar loro torto? Da lontano, essi vedono un governo che non riflette i valori nei quali credono, leader senza visione, senza orizzonte politico, senza alcun piano. Una leadership trainata dalla paura e dal potere, piuttosto che dalla cura e dalla responsabilità». L’attivista ha partecipato, con altre 15 attiviste dell’associazione femminile nata nel 2014, al vertice di Parigi promosso dal Presidente francese Emmanuel Macron in vista delle iniziative promosse con l’Arabia Saudita al Palazzo di vetro di New York per il riconoscimento dello Stato di Palestina e la realizzazione della soluzione a due Stati. Si trattava, ha rimarcato Braudo-Bahat, della prima volta in cui protagonisti della società civile israeliana e palestinese come leader di comunità, organizzazioni, professionisti e imprenditori venivano invitati non come uditori ma come attori chiave per forgiare una strategia politica in un summit preparatorio di questo livello. Una pietra miliare nel percorso tracciato dal G7 del 2024 sull’inclusione della società civile e dei comitati di negoziatrici donne nel processo di pace. Proprio l’ostinazione di Netanyahu nel tirar dritto di fronte alle reazioni delle cancellerie occidentali e arabe perché retroceda dal piano di occupazione ha ricompattato il fronte di Francia, Germania e Regno Unito per il riconoscimento della Palestina e l’aumento delle pressioni su Tel Aviv. Non è chiaro, come osservava l’11 agosto il New York Times, se i diplomatici faranno la differenza sul terreno: ma, sottolineano fonti diplomatiche, di fronte alla evidente rinuncia degli Stati Uniti ad esercitare la minima moral suasion sul premier israeliano, Friedrich Merz (Germania), Emmanuel Macron (Francia) e Keir Starmer (Regno Unito) hanno deciso che «era ora di entrare in azione». Oltre alla sospensione degli invii di armi a Israele dalla Germania, l’annuncio che Francia e Gran Bretagna riconosceranno la Palestina nella prossima Assemblea generale delle Nazioni Unite alla fine di settembre potrebbe indurre altri Paesi europei e occidentali a tentare di fermare Netanyahu con i mezzi della politica e della diplomazia. |