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Terra Santa: un cristiano su tre pensa di andarsene ![]() Veduta di Gerusalemme Anche molti Ebrei israeliani stanno riflettendo seriamente di fare altrettanto, come riferisce Hana Bendcowsky, Direttrice del Jerusalem Center for Jewish-Christian Relations (JCJCR), Centro per le Relazioni Giudeo-Cristiane di Gerusalemme; che fa parte del Rossing Center. Il rapporto presenta una analisi approfondita delle molestie e delle violenze subite dalle comunità cristiane a Israele e a Gerusalemme Est nel corso dell’anno 2024. Il rapporto segnala un aumento degli episodi di intimidazione e di aggressione, particolarmente contro il clero e le proprietà delle Chiese. I membri del clero si sono dimostrati più disposti a segnalare tali episodi, nonostante il persistente scetticismo sui provvedimenti che dovrebbero assumere le autorità locali e il timore che le denunce possano avere un impatto negativo sul loro status legale, come ha dichiarato la Direttrice. Chi ha meno di 30 anni è all’inizio della propria carriera professionale. Molti di loro non sono ancora sposati e l’idea di stabilirsi in un luogo dove non sono etichettati come «arabi» o «cristiani», ma considerati come cittadini a pieno titolo, è molto allettante per molti di loro, sottolinea Hana Bendcowsky. Attualmente, sono registrati a Israele 181.000 cristiani (meno del 2% della popolazione). Di questi il 78% sono cristiani arabi (circa 141.000). Tenendo conto di altri gruppi, come i lavoratori stranieri o i richiedenti asilo, la popolazione cristiana a Israele è probabilmente vicina a 400.000 unità, se non di più. La società israeliana si dimostra sempre più ostile verso coloro che sono considerati «diversi». Le relazioni giudeo-arabe sono caratterizzate da palesi tensione e sfiducia. Questa discriminazione è spesso presentata come una misura di sicurezza nel clima post-ottobre 2023: i cristiani arabi sono considerati come membri della società araba, senza alcuna distinzione. Benché l’aumento delle molestie contro i cristiani non sembrano far parte di un programma politico ufficiale, questa preoccupante tendenza si sviluppa in un clima caratterizzato da un nazionalismo e da una intolleranza crescenti, sostenuta dallo Stato di Israele, come indica il rapporto. In tutti gli aspetti della vita quotidiana si constata un aumento della violenza e delle aggressioni – verbali e fisiche – ormai all’ordine del giorno: dal comportamento degli automobilisti sulla strada a quello dei membri del governo, passando per quello delle forze dell’ordine. Al tempo stesso, un altro aspetto preoccupante è la forte crescita della criminalità nella società araba. Ora, questi problemi sono quasi totalmente ignorati dalla polizia e dalle autorità e gli sforzi per risolverli sono insufficienti. Dall’inizio della guerra, il governo si è disinteressato degli attacchi contro i cristiani o della protezione delle minoranze in generale. In passato, Israele era molto attento al modo in cui era percepito dalla comunità internazionale e faceva attenzione a non nuocere alle sue relazioni con i partner internazionali, in particolare per ciò che riguarda il trattamento delle minoranze. Non è più così. Oggi il clima generale generato dal governo e trasmesso all’opinione pubblica è l’isolazionismo: «Nessuno si prenderà cura di noi, quindi siamo noi che dobbiamo pensare unicamente a noi stessi». Date le ridotte dimensioni della comunità cristiana, l’emigrazione di un numero limitato di giovani avrà un’incidenza sul suo futuro e su quello dei cristiani del paese. Inoltre, si tratta di una comunità dallo status socio-economico elevato. Molti dei suoi membri hanno un ruolo influente: medici, avvocati, ingegneri di spicco o universitari. L’emigrazione di questa popolazione costituirebbe una perdita sostanziale per la società israeliana nel suo insieme, conclude Hana Bendcowsky. |