Condannati alla salvezza.

I funerali moderni e quelle omelie…

Noterelle a margine.



di Renzo Toffoli


Pubblicato sul sito di Aldo Maria Valli




Funerale in chiesa


A che cosa servono i preti? A che cosa serve la Chiesa?
A niente!
Come a niente? Sarebbe questa la risposta di uno che si professa cattolico?
La mia convinzione nasce da una constatazione talmente lampante che negarla sarebbe ridicolo.

Da pensionato nullafacente, che conosce moltissime persone del proprio paese e anche di quelli vicini, mi capita di andare ai funerali.
Chiese diverse, preti diversi… spettacolo sempre uguale. E per carità cristiana evito di soffermarmi sulle nauseanti predichette di circostanza lette, a ciglio asciutto o lacrimante, dai parenti dal pulpito, pardon, dalla “mensa della Parola”, come dicono i teologi più aggiornati della mia diocesi.
Potrei scrivere un libro se le avessi registrate tutte. Come se le loro parole potessero aiutare il defunto a presentarsi meglio al giudizio particolare di Nostro Signore!

Preferisco quindi concentrarmi sulle omelie dei preti. E confesso che provo per parecchi di costoro una sincera compassione: poveretti, con tutta la loro buona volontà, sono stati armati in seminario con spade di cartone. Vittime di una cattiva filosofia da discount che li costringe a leggere la teologia con lenti già appannate.

Il risultato? Omelie fatte col ciclostile: cambia la chiesa, cambia la faccia del prete, ma il copione è identico.

Prima parte: scelta accurata dei versetti della Scrittura da commentare, che non disturbino troppo le orecchie morbide e delicate dei fedeli, ovvero solo misericordia a buon mercato, carezze e zucchero filato.
Tutto il resto? Censurato accuratamente.

Seconda parte: panegirico del caro estinto, costruito in fretta con le poche indicazioni raccolte dai parenti che si sono presentati in canonica a ordinare il funerale.
Del resto, il prete moderno è oberato di lavoro e raramente conosce i propri fedeli: tre parrocchie sulle spalle, scartoffie al mattino, footing al pomeriggio (a cui, da salutista convinto, non può rinunciare), e quindi zero tempo per visitare i malati, soprattutto se vecchi.
Però, quando c’è da celebrare il funerale, eccolo pronto e, pur detestando il latino, lingua che non conosce, applica diligentemente il motto De mortuis nihil nisi bonum.
E giù con la canonizzazione d’ufficio del defunto.
Paradiso garantito: il morto è già lì, davanti a Nostro Signore, con la moglie che lo ha preceduto e, naturalmente, lo aspetta (anche lei in Paradiso, ovvio: mica poteva finire altrove). Purgatorio? Inferno? Tabù assoluto. Non pervenuti.
A sentire questi preti, sembra che l’unica condanna che ci attende dopo la morte sia… quella alla salvezza eterna.

Sentendo queste omelie, da bonaccione superficiale e poco aggiornato quale sono, mi chiedo: se i defunti sono tutti in Paradiso, a che servono i funerali? A che servono le Messe di suffragio? Perché questi preti che, nell’omelia, hanno sostenuto che il morto è già in Paradiso, non consigliano al familiare di quest’ultimo, quando ordina una Messa per il proprio caro, di risparmiare i soldi dell’offerta e, con questi, pagare una piccola parte della bolletta della luce? Se il caro estinto è in Paradiso non ne ha bisogno. Giusto? Ma si sa: pecunia non olet… anzi, aggiungo io: nisi in manu aliena.

Verrebbe quasi da ridere, se non fosse tragico: con queste prediche copia-incolla si stanno formando generazioni intere di fedeli (sì, anche gli anziani, sebbene cresciuti con il Catechismo di San Pio X) convinti che dopo la morte ci sia solo il Paradiso e stop. Altro che “porta stretta” (Luca 13, 24).

E allora ritorno alla domanda iniziale, ma questa volta ho già la risposta certa.
Se siamo tutti condannati alla salvezza, a che cosa servono i preti? A che cosa serve la Chiesa? Se le cose stanno davvero come ce le raccontano, non servono a nulla!

E se non fosse vero quello che ci raccontano?





 
settembre  2025
AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI