![]() |
![]() |
L’episcopato argentino ![]() Mons Jorge Scheinig Per fare qualche esempio, pochi giorni fa Papa Leone ha pronunciato un discorso esemplare sul sacerdozio, ricordando la dottrina tradizionale: il sacerdote è per la Messa; ha ricordato ai politici che la schizofrenia di Maritain è un errore e non possono separare l’essere cattolici dall’essere politici (contraddicendo “pacificamente” Francesco, per il quale un politico che approvava l’aborto poteva ricevere la Comunione); ha nominato Mons. Verden e Mons. Fernandez al Dicastero per il Clero. E tutto questo nel giro di una settimana. Quindi, non si tratta di pura esteriorità da poco e di luoghi di residenza. Gli auto proclamati vaticanisti come Austin Ivereigh o Elizabetta Piqué, che gridavano estasiati che Leone era in “assoluta continuità” con Francesco, devono essere a dir poco delusi. E lo sono, e molto, anche i vescovi argentini. La nomina di Mons. César Fernández, vescovo di Jujuy, al Dicastero per il Clero è piombata su molti di loro come una secchiata di acqua fredda che li ha svegliati; basta leggere la nota concisa e fredda pubblicata dalla CEA [Conferenza Episcopale Argentina] per congratularsi con lui. Non li ha colti di sorpresa e si erano preparati, almeno il gruppo di bergogliani dal palato nero. E’ noto che hanno giurato di mantenersi fedeli alla “chiesa di Francesco” nonostante i cambiamenti che potrebbe promuovere Papa Leone XIV. «Anche se fosse un Papa simile a Benedetto XVI, noi rimarremo fedeli alla chiesa di Francesco», hanno affermato a mo’ di sfida in un incontro svoltosi non molto tempo fa a Buenos Aires. Da qui le demenziali decisioni prese dal vescovo Gregorio de Laferrère e dall’arcivescovo di San Juan: si tratta di sfide o prove per vedere fino a che punto possono difendere il colle francescano. Ma al di là di queste bravate, il cui effetto e durata restano da verificare, la cosa più grave è l’ecclesiologia a cui aderiscono questi vescovi. Non si tratta più di seguire la Chiesa di Cristo, ma di seguire la chiesa del capo di turno; una sorta di mostruoso ultramontanismo secondo il quale ogni Papa fonderebbe una chiesa diversa, e gravemente diversa, alla quale i vescovi aderirebbero sulla base del loro intendimento e della loro simpatia. Alcuni potrebbero pensare che esagero e che in ogni caso si tratta di impressioni parziali derivate da conversazioni episcopali che avrebbero dovuto rimanere riservate. Tuttavia, non è così. Vediamo alcuni casi che rivelano chiaramente l’ecclesiologia a cui aderisce buona parte del vescovi della CEA. Secondo quanto è stato riportato nelle diverse reti sociali nel maggio dell’anno scorso: Padre Riccardo Mauti, professore di ecclesiologia nella Facoltà di Teologia della Università Cattolica Argentina (seminario di Buenos Aires), insegnava nelle sue lezioni che nella chiesa di Francesco – chiesa vigente all’epoca – c’è posto per “todos, todos, todos”, e su un lato della lavagna scrisse chi erano questi tutti: oltre ai classici e noiosi cattolici: i “diversi” sessualmente, i protestanti, i musulmani e perfino gli atei. Tutti fanno parte di questa nuova chiesa. E poi, tracciando una linea, elencò quelli che non ne facevano parte: i tradizionalisti e gli ultraconservatori, compresi i loro nomi. La prima cosa che richiama l’attenzione è che Padre Mauti ha iniziato come profondo studioso del cardinale Newman, su cui ha pubblicato numerosi articoli. Quindi, la sorprendente piroetta della sua teologia è incomprensibile, se nella chiesa entra tutto il possibile, come si giustificherebbe la conversione di Newman, per quanto doloroso sia stato questo passo per lui? Insomma, è un mistero quello delle evoluzioni teologiche subite da certi chierici colpiti dai venti febbrili che soffiano da Roma e che talvolta portano in dono una mitria. Non discuterò qui la novella ecclesiologia di Mauti, così diversa da quella insegnata dai grandi Padri e dottori della Chiesa, perché non sono un teologo, sebbene come battezzato possieda quel sensus fidei di cui tanto parlò Newman e che mi dice che si tratta di un errore gravissimo e che tale insegnamento, e coloro che lo insegnano, non sono cattolici. Quello che voglio segnalare è che per tale maestro, un Papa, che sia Francesco o chiunque altro, può fondare una nuova teologia e una nuova ecclesiologia a seconda dei suoi gusti e capricci. In quale mente (cattolica) un pontificato può avere il potere di cambiare la Tradizione, di ignorare o distorcere l’insegnamento dei maestri della fede e di proporre una nuova dottrina che pretendono di far passare per apostolica … adattata ai tempi nuovi? Posso capire che Goebbels, Mólotov siano stati i servili propagandisti delle politiche di Hitler e Stalin, ma, si può concepire che qualcosa di simile possa accadere nella Chiesa? In altre parole: come può un preteso teologo, con titoli accademici a buon mercato, affermare in verità in una Università cattolica che la teologia cambia a seconda dei dettami del capoccia di turno? Questa non è solo di una eresia, è una assurdità difficile da credere e, naturalmente ha la gambe molto corte, come è stato dimostrato il 21aprile del 2025. Si potrebbe pensare che si tratti solo della sciagurata idea di un teologo ossequioso all’arcivescovo e al Papa di turno. No, è l’ecclesiologia che sostiene buona parte dell’episcopato argentino. Qui si può ascoltare la risposta che è stata data nel mese di maggio da Mons. Raúl Martín, appena nominato arcivescovo di Paraná. La sua ecclesiologia si sintetizza in “fare quello che ci sta chiedendo la Chiesa di Roma”, Cioè, la Chiesa di Roma è quello che Roma, in questo momento della storia, decide che debba essere. La Chiesa che sostengono (e a cui appartengono) Mons. Martín e Padre Mauti, tra gli altri, è la chiesa del Papa, no la Chiesa di Cristo; una chiesa che segue il capo di turno e non il suo Fondatore. Questa nuova chiesa non è cattolica, cioè universale nel tempo, perché ha abbandonato tutta la teologia e tutti gli insegnamenti accumulati in venti secoli, ed è stata rinnovata (per sempre o fino all’avvento del prossimo Papa, non lo sappiamo) da Francesco. Vedremo come Mons. Martín affronterà quello che adesso “Roma ci sta chiedendo”, che è sempre più diverso da quello che chiedeva alcuni mesi fa, come ci confermeranno le buone notizie che presto si conosceranno. Il caso di Mons. Martín non è l’unico. Lo scorso 24 maggio si è svolta nell’arcidiocesi di Mercedes-Luján una “assemblea ecclesiale” a cui hanno partecipato più di cento persone. Lì, l’arcivescovo Jorge Scheinig, uno dei bergogliani più incalliti, ha dichiarato con tono calcistico: “Se questa non è la chiesa, la chiesa dov’è. Il Papa dovrebbe venire a vedere che qui la chiesa c’è … e che continueremo a fare quello che abbiamo fatto finora, anche se il nuovo Papa dovesse dire diversamente … qui c’è la chiesa”. Notiamo che erano passate appena due settimane da quando Papa Leone aveva assunto la cattedra petrina, e già lanciava la sfida: “Anche se voi ordinate altra cosa noi continueremo come abbiamo fatto con Papa Francesco”. Questo è in sostanza ciò che ha detto, a voce alta e davanti a un folto gruppo di fedeli. Questi ultimi, che conservano il sensus fidei, saranno rimasti sbalorditi nell’ascoltare lo sfogo episcopale ed è calato un palpabile silenzio; Scheinig si rese conto di essere stato troppo schietto e che certe cose si dicono in privato e a orecchie discrete. Così, al termine dell’assemblea nel suo discorso di chiusura chiarì: «Su quello che ho detto prima sul Papa … dobbiamo vedere cosa succede, cosa farà, sta appena iniziando … e se farà qualcos’altro non voglio restare fuori dalla comunione con Roma». Si ricordò in ritardo di manifestare la sua fedeltà alla sede romana; I fedeli avevano già preso nota e le espressioni episcopali furono commentate con stupore e perfino con scandalo in tutte le parrocchie dell’arcidiocesi. Non si può esigere che Mons. Scheinig faccia quello che spera Padre Mauti. Il prelato di Luján è un tecnico meccanico di Carapachay che ha conseguito una laurea in “teologia pastorale” cioè un certa arroganza con riconoscimento accademico, niente di più; il tipico vescovo bergogliano eletto per il suo odore di pecora e la sua adesione al capo. Ma anche se non possiamo aspettarci la dottrina, almeno possiamo sperare nel buon senso, il comune buon senso cattolico. La Chiesa è davvero nella sua diocesi, come in tutte le diocesi del mondo e come lo era nel XIX secolo o quando Luján non era altro che una stazione di posta in mezzo alla pampa vicereale, o come lo era a Cartagine nel III secolo o a Parigi nel XIII secolo. La Chiesa è la stessa e mantiene la stessa fede insegnata dagli Apostoli per oltre venti secoli. E non cambia in base all’umore di ogni Papa o di ogni concilio. La Chiesa è una in Cristo, nello spazio e nel tempo: In illo Uno, unum. La situazione dell’episcopato argentino è gravissima, e non solo per la catastrofe e la distruzione che ha provocato nelle sue diocesi, compromettendone a lungo termine il futuro, ma perché molti dei vescovi sostengono una ecclesiologia, e una teologia, completamente diverse da quelle che insegna la Chiesa. Sarebbe opportuno che il Nunzio apostolico in Argentina informasse Papa Leone XIV di questa deplorevole situazione. Egli, con l’assistenza dello Spirito Santo, forse potrebbe trovare una soluzione. |