Tradizionalisti e conservatori

 
di Dardo J. Calderón


Pubblicato sul sito Argentinidad








Dal mio recente scambio epistolare con Mons. Dario Caponnetto, è emersa una domanda sull’uso delle seguenti etichette: chi è tradizionalista e chi è conservatore?

Il rimprovero che ho ricevuto mi ha fatto capire che, nel bene o nel male, sto usando questi termini in senso denigratorio, poiché, in parole povere, essere cattolico significa essere tradizionalista ed essere conservatore in sostanza significa non essere cattolico.

Chi ci accusa di essere “tradizionalisti” ha perfettamente ragione: dichiara francamente di non essere cattolico, poiché la tradizione è la fonte essenziale attraverso la quale conosciamo la Rivelazione, addirittura al di sopra della Bibbia, che è interpretata solo dalla tradizione apostolica e dal Magistero tradizionale della Chiesa.
Non c’è rancore in questo.

Abbiamo pubblicato un libro di Calderón Bouchet (1) che definisce, con grande precisione, cos’è il pensiero conservatore e lo accosta al pensiero della Chiesa conciliare.  Ne consegue che tutti coloro che cercano di preservare una certa continuità tra il pensiero del Concilio e la tradizione cadono senza dubbio nei “peccati” del conservatorismo.

Ma insomma, che cos’è il conservatorismo?

La chiave del dilemma sta nella frase che l’Autore evidenzia nel prologo
«Il consiglio di Gesù: “Cercate il Regno di Dio e la Sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in sovrappiù”»
frase che nelle menti dei conservatori subirà una trasposizione che ne invalida totalmente l’efficacia redentrice. Il conservatore sembra consigliare che, per salvare il sovrappiù, è conveniente cercare il Regno di Dio e la Sua giustizia.

Il conservatore è un uomo che è convinto che la dottrina cattolica contenga l’ordine migliore concepito per l’umanità e che, per salvaguardare tale ordine, deve coltivare questa dottrina.
Sembrerebbe che l’ordine dei fattori non cambi il prodotto, perché per un motivo e per un altro, il conservatore difende l’ordine cattolico. Non importa se esso sia di origine divina o se sia apparso ad un uomo intelligente chiamato Paolo di Tarso e sia stato ben definito dagli uomini di Chiesa.
Il fatto è che queste convinzioni sono utili all’uomo per dare fermezza alla sua esistenza in questa terra. 

L’Autore mette in guardia contro un giudizio superficiale, che sarebbe pensare che questi uomini considerano la religione come un argomento utile, senza compromettere la loro fede. Non è così semplice, molti di loro hanno fede sufficiente nei misteri cattolici, ma credono anche che la Chiesa abbia voluto fondare una civiltà e una cultura per l’ordine su questa terra e che questo sforzo civilizzatore sia il mezzo per l’uomo di rispondere a Dio.

Nella versione di certo “tradizionalismo” che denunciamo, assegnano un compito ai laici e un altro ai sacerdoti, e che ciascuno deve seguire i suoi criteri senza interferire molto con l’altro. Il vecchio anticlericalismo iniziato con Filippo il Bello

Il nocciolo della questione è se questa opera civilizzatrice (che si realizza essenzialmente in politica) nasca pacificamente dalla dottrina della fede o se tra le due vi siano tensioni e scontri inevitabili, che devono essere risolti col “sacrificio” di una delle due parti.

Per chiarire: la nostra religione è associata ad una dottrina politica? Dottrina che, se seguita, implicherebbe l’adempimento del mandato evangelico, al punto che possiamo “dimenticare” un po’ questa questione “misteriosa” e seguire le linee guida che ci condurranno inevitabilmente al compimento delle promesse?
In altre parole, la politica, condotta entro canoni stabiliti, ci conduce alla salvezza? O al contrario queste due realtà hanno una contraddizione interna che, prima o poi costringe a “sacrificare” qualcosa, o molto, dell’una per salvare l’altra.
Dare a Cesare ciò che è di Cesare e dare a Dio ciò che è di Dio, è una formula che compone l’equilibrio? O è una sentenza che indica una opzione preferenziale e priva Cesare di ciò che credeva fosse suo?

Il conservatore crede nell’ordine e riconosce che nessun ordine possa prescindere dall’elemento religioso, operando così all’interno dell’umanità evitando che si costituisca alcuna tirannia. Crede anche che il lavoro dell’uomo consista nel conseguire quest’ordine sociale, per poi presentarsi a Dio essendo degno della promessa.

Esiste nel conservatore un’idea “aristocratica” o “elitaria” che lo porta a concludere che la maggior parte delle persone è piuttosto semplice e che ciò che la condurrà alla salvezza è tale ordine sociale, che deve essere mantenuto dai migliori per la salvezza degli “stolti”. Stolti sui quali non possono ricadere né la condanna né la salvezza personale, ma che sono un’entità stabile, quasi irresponsabile, plasmata dall’ordine sociale. Nulla può essere chiesto a loro in fretta, devono essere condotti con pazienza verso il bene o il male, quasi inconsciamente.

La costituzione di quest’ordine dipende dal tempo storico. Deve essere mantenuto se esiste, ma ripristinato nei limiti del possibile in caso contrario, tenuto conto delle possibilità offerte dalla realtà in cui si vive e dei tempi, delle esigenze di ogni sforzo umano.
Potrebbero volerci anni o secoli. Tuttavia, non si può giudicare tutta questa massa di stolti, pensando che abbia la piena responsabilità, si impone la virtù della tolleranza.

In questo compito, il rigido canone religioso deve cedere il passo. Non si può esigere dall’uomo immerso in una cultura che si comporti come esige la legge divina. Bisogna temporeggiare ed essere tolleranti finché non si presentino condizioni favorevoli: è responsabilità dei migliori, che devono agire con “prudenza” e raffinatezza. 

Diverso è il pensiero dell’uomo religioso. Egli crede che Dio abbia posto tutti, stolti e non stolti, in uno specifico momento storico per dare una risposta nell’urgenza della nostra breve vita. A tutti, Dio ha fornito mezzi soprannaturali sufficienti per “superare” i condizionamenti storici: veri e proprii miracoli a cui ricorrere, e superare le enormi “imprudenze” che si commettono, perché non è l’ordine che salva, ma solo Dio.
E da questa disposizione pressante e appassionata sorge o meno un ordine, a differenza dei miracoli.

In quest’ultimo compito, l’uomo religioso ha alcune linee guida di condotta che si sovrappongono a quelle precedenti, come: si dice sempre la verità, costi quel che costi,  (o se si preferisce: la bugia non si dice mai perché è un peccato assoluto); L’uomo non deve fare affidamento sui suoi progetti, ecc.

Nell’inverno scorso, a La Reja si sono svolti alcuni corsi di formazione sul Medioevo (o sulla Cristianità) e possiamo assicurare che, quasi all’unanimità, siamo giunti alla conclusione che la storia giustifica questa posizione.
La Cristianità, come civiltà, non fu «cercata»; anzi era molto improbabile.

Aggiungo: altri imperi avevano molte più possibilità. Ciò accadde per estensione, in modo misterioso, uomini che cercavano la loro salvezza con mezzi soprannaturali.
La comune spiegazione che lega la civiltà occidentale con una linea guida greco-romana è una semplificazione che trascura i particolari e che denota la tendenza dello storico a semplificare.

Insomma, per farla breve, chiamo conservatori coloro che, a partire dalla fede, capiscono che in questi nostri tempi si deve mantenere la “prudenza” o la raffinatezza; che puniscono l’uomo con convinzioni religiose a causa delle “opportunità”. 
Un Muller, per esempio, che considera sbagliato rompere improvvisamente con la morale cattolica, ma che considera peggiore la Fraternità San Pio X perché con la sua strategia calcolata ha operato una rottura.  

Considero conservatori coloro che si dicono tradizionalisti e che tentano una restaurazione degli studi o della politica, e che si dichiarano incompetenti nella lotta per mantenere le “fonti della grazia” – cose da sacerdoti – come se queste fonti non fossero alla base di tutto il resto. 

Considero conservatori coloro che pensano che gli “stolti” siano il gregge; coloro che “caritativamente” non vogliono scomodarsi e per giustificare la loro codardia nascondono l’urgenza di Cristo nelle loro vite

Considero conservatori coloro che si sono resi ridicoli col Concilio Vaticano II, colmando le lacune con ermeneutiche forzate, aspettando che passassero i tempi della ribellione (anche se poi sono peggiorati).
Gli uomini che si sono persi in quei tempi non sono poveri irresponsabili – sono certo che quelli che si sono persi hanno ricevuto da Dio tutta la grazia necessaria per salvarsi; e c’è una parte di responsabilità anche in coloro che sono rimasti in silenzio o si sono sbagliati per un calcolo di “buona fede”. Compreso Burke e anche Livieres.

Considero conservatori coloro che non hanno voluto vedere l’enormità del male della riforma liturgica, perché li allontanava dai circoli di influenza sociale e politica in cui “c’era tanto da fare!”, disprezzando il bene che poteva fare Dio.

Considero conservatori coloro che hanno ridotto la tradizione ai costumi di una consuetudine nazionale, alla nostalgia del tempo passato.
Considero conservatori coloro che hanno coltivato un equivoco storico per attrarre gli stolti alla loro “buona causa” – che poi non erano tanto stolti, ma quelli hanno contribuito a traviarli. 

Considero conservatori coloro che, partendo da un aristotelismo schematico, hanno confuso il vero concetto di natura umana, aggiungendo ad esso e all’ordine politico note tipiche di una condizione preternaturale perduta (in particolare “l’integrità” della ragione e della condotta), rinviando l’urgenza del soprannaturale.

Ma ogni vizio può essere corretto. E i mezzi per correggerlo possono emergere da questa situazione, a cui il vecchio Alberto Fancionelli dava consigli concreti: quando hai nemici a destra e solo dissidenti a sinistra, sei un conservatore.


NOTA

1 - Il Conservatorismo anglosassone



 
settembre 2025
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