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La morte dell’Università 18 settembre 2025 ![]() Una Università argentina Ieri si è svolta in
Argentina una «marcia federale in difesa dell’Università
pubblica». Vale a dire, un tentativo da parte del peronismo, del
radicalismo e di altri settori progressisti di forzare il crollo del surplus fiscale, provocare una debacle economica e costringere il
governo a dimettersi. È semplice.
Ma il problema è più profondo della situazione politica, che non mi interessa discutere, e riguarda la questione se valga la pena difendere l’Università pubblica, o semplicemente l’Università così com’è attualmente. In Argentina, l’Università pubblica è gratuita per gli studenti. Questa gratuità ingannevole è diventata un sacro dogma che nessuno osa mettere in discussione. Il problema è che Università non è gratuita: la pagano i cittadini argentini, ricchi e poveri, e la pagano i professori con i loro stipendi bassi. Bisogna riconoscere che col governo Milei, sebbene gli stipendi medi in dollari siano raddoppiati, rispetto all’economia locale hanno perso almeno il 30%. Tuttavia, poiché l’Università è autonoma, è essa che decide gli stanziamenti di bilancio. Se volesse davvero migliorare gli stipendi dei suoi professori, potrebbe eliminare le segreterie di genere che lavorano nelle sue facoltà, smettere di distribuire gratuitamente preservativi e contraccettivi agli studenti, eliminare i corsi obbligatori anti-patriarcato e eliminare il 50% degli impiegati amministrativi, i quali sono in esubero. Ma non lo farà mai perché è una questione ideologica. D’altro canto, la tanto decantata Università pubblica produce cifre impressionanti. Il tasso di laurea è del 20%, cioè su dieci studenti iscritti se ne laureano solo 2. E a peggiorare le cose, il tempo di permanenza nella Università è tra 7 e 10 anni, il doppio della durata media di ogni corso di laurea che, nella maggioranza dei casi è di 4 anni. Questi numeri indicano che il costo medio per laureato, nelle Università argentine è di 50.000 dollari, molto più alto di qualsiasi Università privata. Questa è la gratuità di cui si mena vanto. La realtà è ormai innegabile, e le autorità universitarie sanno che: sia col governo Milei sia con qualunque altro governo non potranno sostenere l’attuale andamento. Per questo motivo, l’Università come centro di collocamento per amici e figliastri ha i giorni contati; sono già in atto misure molto concrete per aumentare il tasso di laurea, che ridurrebbero le cifre scandalose che abbiamo appena indicate. La prima è che i professori dovrebbero fare tutto il possibile, e perfino l’impossibile, per garantire che gli studenti superino gli esami. Superare a tutti i costi, questa è la consegna. In secondo luogo, a partire dal prossimo anno, tutti i corsi universitari, almeno quelli di scienze sociali e umanistiche, dovranno ridurre il loro tempi curriculari del 30%, cioè gli studenti avranno il 30% di corsi in meno – e solo il 20% delle classi richiederanno la presenza, il resto si svolgerà on line. In questo modo si cerca, da un lato, di aumentare i tassi di laurea, e dall’altro di diminuire considerevolmente il personale docente. Qualsiasi persona di buon senso si rende conto che con tali misure l’Università diventerà nella migliore delle ipotesi, una Pitman Academy, con un po’ più di sfarzo. E niente più. Tuttavia, La verità è che l’Università ha cessato di esistere diversi decenni fa. Anche se qua e là si possono trovare piccoli ambiti che cercano di mantenere vivo lo spirito con cui è nata l’università, ma questi hanno i giorni contati. L’Università ha cessato di esistere quando ha stabilito che quella che possiamo chiamare «civiltà occidentale» era una reliquia del passato e non doveva più essere insegnata nei programmi di studio di tutti i corsi di laurea. Come disse Edmund Burke, il progressismo in dieci anni è stato capace di distruggere quello che la civiltà ha impiegato secoli a costruire. La rivolta contro la Civiltà Occidentale, scoppiata negli ultimi 40 anni in tutti i paesi che compongono l’Occidente, ha spazzato via allegramente una tradizione che, in realtà, era più antica di secoli di quanto la maggioranza delle persone dell’epoca riconoscesse. Nessuno nel mondo accademico si è soffermato a chiedersi quale sarebbe stato il risultato di unirsi alla corsa progressista che stabiliva, per esempio, che la nostra civiltà era patriarcale ed eteronormativa; che la Spagna era stata il peggior nemico dell’America e che il cristianesimo era un mostro che doveva essere sradicato (per ristabilire le religioni dei «popoli originari»). Tuttavia, adesso, 40 anni dopo, il lato negativo della nostra volontaria immersione nell’ignoranza del passato occidentale è diventato fin troppo visibile. Non è necessario avere una cultura privilegiata per costatare che l’Occidente è superiore, e di gran lunga superiore, alle altre civiltà del mondo. Mentre Michelangelo dipingeva gli affreschi della Cappella Sistina, gli Araucani [popolazione indigena argentina] modellavano vasi di terracotta; mentre i medievali costruivano la Cattedrale di Notre Dame, gli abitanti della maggior parte dell’Africa ammucchiavano rami per ripararsi dalle intemperie. Questo, che è più che ovvio, è molto difficile da accettare da parte degli accademici e degli studenti, perché l’ideologia ha loro bloccato la capacità di leggere correttamente ciò che è ovvio. Gli studenti di oggi non sanno quasi nulla delle conquiste positive dell’Occidente. La perdita di apprendimento non è da poco. Senza comprendere la millenaria lotta dell’Occidente per preservare la libertà e del cristianesimo per sradicare la barbarie delle religioni pagane che non esitavano perfino ad offrire sacrifici umani; senza comprendere l’eccezionale ricchezza dello sviluppo della tradizione del diritto romano; senza apprezzare il ruolo che l’argomentazione, le ipotesi, la modellizzazione matematica e la replicabilità degli esperienti hanno svolto nella scienza occidentale a partire dai Greci, i giovani di oggi sono più propensi ad acquisire l’ormai comune stato d’animo frivolo che ritiene che le grandi conquiste della civiltà possano essere abbandonate senza perdita, una volta individuati i colpevoli della “supremazia bianca ”, nel nostro caso, gli Spagnoli cattolici. Noi, che viviamo oggi nei paesi occidentali, indipendentemente dalla parte del mondo da cui provenivano i nostri genitori e nonni, abbiamo ricevuto la straordinaria, - e sì unica -, eredità della tradizione occidentale. Se vogliamo che i nostri figli e nipoti comprendano e si arricchiscano leggendo la letteratura e la filosofia occidentali; se vogliamo che comprendano il linguaggio architettonico degli edifici che ci circondano; se vogliamo che amino la grande arte e la musica offerte nei nostri musei e nelle nostre sale da concerto, costruite con grande costo dalle generazioni passate, dobbiamo eliminare il velo di negatività che oggi avvolge la civiltà occidentale nelle menti dei giovani. E il modo migliore per farlo è studiare realmente tale civiltà. E il luogo per compiere questo studio è l’Università, ma purtroppo l’Università è morta. La prospettiva che presento, e che conosco da dentro, è cupa, e lo è soprattutto per i genitori che hanno figli che ad un certo punto dovranno cominciare gli studi universitari. Qual è il futuro che li attende? Non ci sono soluzioni? La domanda è vecchia e molti se la sono posta prima di noi. E hanno risposto osservando quello facevano i medievali per i loro studi universitari: all’ingresso, gli studenti ricevevano due anni di formazione nelle «arti», cioè di formazione generale nelle discipline umanistiche, e poi venivano avviati alle carriere da loro scelte. Questo è il sistema che si mantenne nelle Università inglesi tradizionali, come Oxford, Cambridge e Durham fino a poco tempo fa, e che molti Statunitensi hanno ripreso negli ultimi decenni nei loro colleges, dove per due anni e prima di proseguire negli studi universitari, i giovani si dedicano a studiare le grandi conquiste della civiltà occidentale. Questo modello può essere replicato nelle nostre terre ispaniche? Non è un compito facile per diversi motivi. In primo luogo, perché non fa parte della nostra tradizione, è qualcosa che ad un certo punto abbiamo perso e per recuperarla dobbiamo ricominciare da capo. In secondo luogo, è necessario avere la volontà di farlo ed avere molti, molti soldi, condizioni che sono entrambi difficili da ottenere. Infine, sarebbe molto difficile convincere i giovani che iniziano gli studi e più difficile ancora convincere i loro genitori dell’importanza di seguire questo ciclo preliminare. In molti casi lo vedrebbero come una perdita di tempo e l’investimento che comporterebbe due anni di formazione extra per molti sarebbe impossibile da sostenere. Non sono ottimista su questo argomento. In ogni caso dovremo accogliere ed incrementare le iniziative che stanno sorgendo in molti ambiti e che mirano a generare opportunità di formazione umanista parallele alla formazione abituale delle Università. Mi sembra che non si possa fare molto di più. |