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| Padre Roberto Spataro e il prof. Andrea Grillo: alcune questioni ![]() Padre Roberto Spataro saluta Papa Benedetto XVI Luigi Casalini Gentilissimo Dott. Casalini, Vorrei rivolgermi ai numerosissimi lettori di “Messa in latino” per condividere alcune riflessioni suscitate dalla lettura dell’articolo del prof. Andrea Grillo, pubblicato sul blog “Come se non” (15.09.2025), e ripreso su altri siti. In quest’articolo il prof. Grillo contesta l’uso dell’espressione “forma straordinaria del Rito Romano”, qualificandola molto negativamente come una “finzione” e un “sofisma” e, su questa base, ribadisce la sua posizione ben nota di assoluta contrarietà alle celebrazioni liturgiche secondo i Libri liturgici precedenti alla riforma liturgica seguita al Concilio Vaticano II. Nihil novi sub sole! Nel dibattito molto vivo su questo argomento illustri liturgisti e alti prelati hanno espresso già le loro obiezioni alle argomentazioni del prof. Grillo. Vorrei, pertanto, limitarmi a pochi rilievi. 1. Anzitutto, sono colpito dall’implacabile avversità del prof. Grillo all’uso del Ritus Romanus antiquior, espressione più appropriata dopo il MP Traditionis Custodes di “forma straordinaria” e forse più felice: nella lingua latina antiquior significa anche e principalmente “più importante”. Le sue argomentazioni sono molto rispettabili e, quasi sempre, espresse con un tono misurato. Tuttavia, non si può non percepire una sorta di odium theologicum che dispiace in un’epoca storica in cui pace e concordia appaiono priorità da perseguire in ogni ambito della convivenza degli uomini. L’appello alla pace, con cui Leone XIV ci ha salutati, ci ha commossi e sentiamo il bisogno di declinarla anche nella vita della Chiesa e nella celebrazione della liturgia. Queste contrapposizioni così aspre – queste sì – mi appaiono fuori della storia e dei segni dei tempi! 2. Pochi mesi fa si è concluso il Pontificato di Francesco che è ricordato da molti come un Papa “pastorale” nel senso più nobile del termine. Ed è proprio la motivazione pastorale che, forse più di ogni altra, spinge ad aderire con magnitudo cordis alle intuizioni e alle disposizioni di Benedetto XVI contenute nel MP Summorum Pontificum che anche Traditionis Custodes condivide, pur lamentando una prassi scorretta. In altre parole, vorrei dire che, se in un’aula d’insegnamento o di ricerca di un ateneo pontificio sono formulate teorie e ipotesi teologiche, la loro bontà va misurata anche sul terreno pastorale, ossia nel vissuto dei fedeli. Ebbene, non sempre o raramente i teologi di professione sono a contatto profondo con le anime, a differenza dei pastori. E proprio dal punto di vista pastorale i frutti della celebrazione del Ritus Romanus Antiquior sono prosperi e consolano i pastori che hanno a cuore la salvezza delle anime. In questa forma liturgica i fedeli che ad essa sono legati trovano alimento per la loro fedeltà matrimoniale, per la loro testimonianza di vita cristiana in ambienti spesso ostili al Vangelo, per il discernimento vocazionale, per la pratica delle virtù e la tenacia nel combattimento spirituale, per la solidarietà verso i poveri e gli sventurati. Salus animarum! Da questo punto di vista, molti pensieri teorici cambiano. Non ci ha forse insegnato Papa Francesco che la realtà è superiore all’idea? E la storia, alla quale il prof. Grillo fa appello, non ha dimostrato che, quando quel principio illustrato in Evangelium Gaudii viene sovvertito, le ideologie diventano opprimenti e, persino nella Chiesa, i fratelli perseguitano i fratelli? Proprio Papa Francesco con il grido, diventato una delle cifre del suo Pontificato, “todos, todos, todos”, non ci ha chiesto di rimuovere ogni ostacolo perché nessun battezzato si senta extraneus in domo matris suae? Alla luce di queste considerazioni, ritengo la posizione assunta dal prof. Grillo molto discutibile e, oramai, un po’ tediosa. 3. Un’ultima considerazione per chi ha avuto la benevolenza di leggere fino a questo punto. Nell’articolo del prof. Grillo trovo sottesa una pericolosa concezione hegeliana della storia: tra continuità e discontinuità, come egli stesso dichiara, la storia, nel nostro caso quella liturgica, avanza migliorandosi perché in sintonia “con i tempi”. È proprio vero che la storia proceda sempre verso il bene oppure, come ci insegna il De civitate Dei, in essa si mescolano bene e male e, dunque, un discernimento si impone sulla storia stessa? San Paolo VI ha affermato lapidariamente come sapeva fare solo lui con straordinaria incisività, con il suo stile degno di Seneca: “Non tutto ciò che è nuovo è buono, non tutto ciò che è buono è nuovo”. Qualora anche il prof. Grillo leggesse queste mie riflessioni, gli giungano i miei saluti rispettosi. Ai lettori di “Messa in latino” che ne condividono l’orientamento, l’incoraggiamento a non allontanarsi, come dichiara l’autore dello scritto apologetico A Diogneto, dal posto di combattimento assegnato dalla Sapienza di Dio. Suo obb.mo in Iesu et Maria Don Roberto Spataro, sdb – SThD; LittD. Segretario emerito della Pontificia Academia Latinitatis |