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| “Diamogli tempo” Uno slogan psicologico che si autodissolve con il tempo che passa ![]() Il Prof. Massimo Viglione “Diamogli tempo” è lo
slogan ufficiale degli ingenui e dei conservatori, sempre pronti a
posporre la verità fattuale e il bene della Chiesa e delle anime
dinanzi ai propri bisogni di tranquillità psicologica o dinanzi
ai propri concreti interessi personali.
È stato coniato qualche settimana dopo l’elezione di Leone XIV al papato, dinanzi ai suoi primi atti non convincenti, dinanzi ai primi provvedimenti discutibili e, soprattutto, dinanzi ai “non provvedimenti”, ovvero dinanzi a ciò a cui avrebbe dovuto porre rimedio mentre ha lasciato che fosse. Il tempo inizia a passare. E pochi giorni orsono abbiamo dovuto scrivere un articolo su quanto di incredibilmente scandaloso è avvenuto con il mondo sodomitico e genderista nelle sole due prime settimane di settembre (https://www.aldomariavalli.it/2025/09/13/la-rivoluzione- anticristica-e-dentro-la-chiesa-ma-il-gioco-ormai- e-scoperto-e-non-ci-sono-piu-scusanti/): il ricevimento, fotografato con tanto di sorriso suadente, del prete attivista omosessualista e impenitente Martin; il cosiddetto “giubileo” dei genderisti, ovviamente anch’essi impenitenti, che hanno portato la “croce arcobaleno” dinanzi e dentro la Basilica di San Pietro; e, cosa più assurda (al punto tale che i conservatori non ne fanno parola) fra tutte, la sconvolgente nomina di una donna atea attivista, promotrice di arte pornografica, onanista e omosessualista, alla presidenza dell’Accademia delle Belle arti in Vaticano! E, quest’ultima cosa, è talmente incredibile, ingiustificata, pazzesca, da lasciare senza parole adatte a ogni commento. Il tempo continua a passare e ora, solo dopo pochi giorni, dobbiamo rendere evidente lo sconcerto che si deve provare dinanzi ad alcune affermazioni che trapelano della prima intervista rilasciata dal Pontefice. Al di là di una condivisibilissima nota («Non vedo il mio ruolo principale come quello di cercare di risolvere i problemi del mondo»), che in realtà lo pone in netta rottura con il suo sempre tanto osannato predecessore (e, in qualche modo, con la visione vaticansecondesca del papato), ma in continuità con la concezione tradizionale del ruolo del Papa; e al di là di altre oggettive verità che ribadisce; occorre ammettere che alcune affermazioni sono a dir poco inquietanti, e quanto appena detto è assolutamente fuor di dubbio e contraddizione, come ora vedremo. A meno di voler mentire sapendo di mentire. Veniamo subito alla seguente affermazione ufficiale: «Trovo altamente improbabile, certamente nel prossimo futuro, che la dottrina della Chiesa [cambierà] in termini di ciò che la Chiesa insegna sulla sessualità, ciò che la Chiesa insegna sul matrimonio». E altrove: «Penso che l’insegnamento della Chiesa continuerà così com’è, ed è tutto ciò che ho da dire al riguardo per ora». Ovviamente, la stoltezza del popolino ha subito presentato queste affermazioni con grandi grida di giubilo, addirittura qualcuno “schiaffandole in faccia” (mi si passi la metafora violenta ma molto idonea della loro intenzione) ai soliti “denigratori” del papato, come dimostrazione della “purezza tradizionale” dell’attuale Pontefice. Senza nemmeno rendersi conto di quanto queste affermazioni siano di contro sovversive e lambiscano pericolosamente la propagazione dell’eresia, e vadano oltre perfino le più oltranziste posizioni di Bergoglio. Vediamo perché. Bergoglio, durante la sua permanenza al potere in Vaticano, ha professato varie eresie manifeste in maniera pervicace. Nel mio libro Habemus papam? Papa eretico, rinuncia, sede vacante (Maniero del Mirto, 2024), ne ho elencate e dimostrate almeno quattro (ma sono di più). Eppure, il suo modo di esser eretico era, come dire, “pratico”. Ovvero: insegnava l’eresia ma astutamente non metteva in discussione, almeno formalmente, la dottrina di sempre della Chiesa, la dommatica. Semplicemente non se ne curava affatto, non poneva problemi di incompatibilità dottrinale. Si limitava a insegnare il contrario di quanto la Chiesa ha sempre insegnato (vedi Amoris Laetitiae o il Discorso di Abu Dabi). Magari pure aggiungendo, al contempo, in altra occasione, il contrario di quanto aveva appena affermato, in modo che ognuno potesse vedere ciò che voleva vedere (usuale tattica modernista in vigore fin dai documenti del Concilio Vaticano II). Qui, invece, Leone XIV ha fatto un altro genere di affermazione, o meglio, ha cambiato la natura stessa della politica sovversiva conciliare. Ha infatti detto, apertis verbis, “Trovo altamente improbabile” che l’insegnamento della Chiesa in materia morale e sessuale possa cambiare, almeno non potrà mutare “certamente nel prossimo futuro”. A ben vedere e con cuore retto, qui non si tratta solo di lasciar chiaramente intendere che non sarà lui a fare chissà quali modifiche; ma si lascia intendere che queste modifiche comunque, prima o poi, potrebbero anche avvenire, come si evince inevitabilmente dalle sue parole. Ovvero, si tratta della pericolosa propagazione (vogliamo credere e sperare involontaria, ingenua) della normalizzazione di due idee in sé eretiche: 1) Che la dottrina morale
evangelica potrebbe comunque, un giorno magari lontano (e che vuol
dire, oggi, “lontano” nel tempo?), essere cambiata (anche se per ora
no);
2) Che il Papa possa avere il potere di cambiare la dottrina. Anche l’aggiunta “Penso che l’insegnamento della Chiesa continuerà così com’è” è riprova, sempre altamente sconcertante, di quanto stiamo affermando. E lo sconcerto dimora in quel “penso”, che lascia chiaramente intendere che lui pensa, crede, ma poi si vedrà… Come dire: “penso che domani piova”. Probabilmente lo farà, ma non è sicuro. Come detto prima, nemmeno Bergoglio era giunto a tanto. Egli, vecchio volpone gesuita, mai e poi mai avrebbe fatto (e infatti non l’ha fatto) uno scivolone del genere. Scriveva e diceva esattamente il contrario della dottrina cattolica, ma mai lo avrebbe ammesso. Non scordiamoci che non diede risposta alcuna ai legittimi Dubia dei cardinali (la seconda volta che furono presentati, ribadì semplicemente quanto aveva scritto e punì direttamente il cardinale Burke che aveva osato “sfidarlo”, almeno nella sua ottica perversa). Prevost, invece, non esclude in assoluto (e quindi ammette), come se nulla fosse, la possibilità – ora molto remota, ma domani chissà – di modificare l’insegnamento di Cristo e il magistero e la Tradizione bimillenaria della Chiesa Cattolica. Ovvero, la dogmatica. Morale, in questo caso, ma sempre dogmatica. Il che comporta la morte stessa della dommatica, che si fonda invece sulla perenne immutabilità delle verità rivelate e delle verità che la Chiesa ha definito tali e universalmente accettate nel corso dei secoli. Si chiama tecnicamente: “l’evoluzionismo dei dogmi”, antico sogno modernista ereticale già condannato da san Pio X nella Pascendi Dominici gregis” nel 1907. Sarebbe come dire: “Trovo altamente improbabile che in tempi brevi si possa affermare che Maria Ss.ma non è vergine” (in realtà, essendo stata presentata come “la ragazza della porta accanto” da Bergoglio e soci, ci si è già messi su quella strada); oppure: “Trovo altamente improbabile che in tempi brevi si possa affermare che Gesù Cristo non era Dio”. E così via. Avanzo questi esempi assurdi (ma davvero sono così assurdi? Davvero non esistono cardinali, vescovi, teologi, sacerdoti e suore, e un esercito immenso di laici, che non credono più a questi dogmi? Oppure in realtà sono legione oggi?) non per mera e spicciola polemica, ma semplicemente per far capire agli ingenui entusiasti che il solo ipotizzare il fatto che un dogma evangelico o di legge naturale possa in futuro mutare (“è altamente improbabile” vuol dire che non è impossibile, come ognuno può capire), costituisce un’apertura alla concretizzazione della mutazione dottrinale e dommatica, ovvero, all’eresia e alla distruzione del Depositum Fidei. Viene da pensare che Prevost sia molto più ingenuo di Bergoglio. Oppure è più astuto ancora? O semplicemente non pensa quando parla? O pensa lucidamente? Ma come si può dire “Trovo altamente improbabile” (“penso che non”) che un dogma possa mutare? Ma quale Papa del passato ha mai detto, o ha solo lasciato intendere, una cosa simile? Quale padre? Quale dottore? Quale fedele teologo (oggi merce pressoché esaurita)? Quale santo? Affermare che “certamente nel prossimo futuro” una cosa non accadrà, altro non significa – come è evidente – che potrebbe accadere in tempi più lunghi. Il compito precipuo del Papa non è rallentare ora la Rivoluzione nella Chiesa, lasciando però uno spiraglio aperto per il futuro, al fine di mantenere calmi i ribelli sovversivi; il compito del Papa è la conservazione e la difesa senza remora, ambiguità e cedimento alcuno del Depositum Fidei ricevuto dai suoi predecessori, tra cui, in primis, ciò che viene insegnato direttamente nel Vangelo. La morale sessuale non è questione “trattabile”. Come si suole dire oggi, non è “disponibile”. Ancora Giovanni Paolo II e Benedetto XVI (che parlava di “valori non negoziabili”) su questo sono stati fermi. Nemmeno loro, occorre ammettere, hanno mai detto: “penso che”… “non nel prossimo futuro”, “Altamente improbabile oggi”. Figuriamoci tutti i Papi del passato. In pratica, per chi non è cieco, per chi non si fa cieco, per chi non finge di essere cieco, è chiaro che ciò che conta in questa intervista non è il fatto che si rimanda il cambiamento in materia dommatica morale, ma il fatto che lo si ammette possibile in linea di principio, nero su bianco, anche se “altamente improbabile” (per ora). È come quando, in un’intervista del solito Biagi al solito cardinale Martini, alla domanda se la Chiesa avrebbe mai ammesso le donne al sacerdozio, il secondo rispose lapidariamente e ironicamente: “Non in questo secolo”. Era il 1999. Nemmeno Bergoglio ha usato “altamente improbabile”. Questa è la verità. Inutile controbattere che deve barcamenarsi tra progressisti e conservatori per mantenere la pace, “costruire ponti”, ecc: lo facesse pure, ma non cedendo a un’impossibile apertura all’evoluzione della dottrina immutabile della Rivelazione, della dommatica e della legge naturale. E veniamo ora alla seconda questione, quella che tutti noi aspettavamo da tempo: il rapporto con il mondo della Tradizione e del Rito Romano antico. Fin dal giorno seguente la sua elezione, dicemmo, messo per iscritto, che il tavolo di prova di Leone sarebbero stati la sua posizione in campo morale, quella sul trans-umanesimo e ciò che avrebbe fatto e deciso appunto riguardo la scellerata politica di persecuzione bergogliana alla Tradizione e al Rito di sempre (vedi https://www.aldomariavalli.it/2025/05/09/leone-xiv-le-impressioni-del-giorno-dopo/). Un problema di cui Prevost non era direttamente responsabile, ma di cui inevitabilmente avrebbe portato il peso e avrebbe dovuto affrontare in qualche modo. Sono passati quattro mesi e ora, quanto facilmente previsto si avvera. Per la prima volta, Leone XIV ammette l’esistenza del “problema” (come lui stesso lo ha definito). E lo fa con evidente fatica: si capisce dalle sue parole che, fosse per lui, ne farebbe volentieri a meno di questa “patata bollente”, che dovrà però in qualche modo gestire suo malgrado, perché causa di “polarizzazione” (questo è il termine, che spesso usa, per stigmatizzare le divisioni; a nostra umilissima opinione, la polarizzazione di una questione teologica o spirituale o ideale o politica è la prima condizione verso la ricerca della Verità). Se la prende con il mondo tradizionalista, perché, a suo dire, avrebbe politicizzato il problema (?) Mah… e non sarebbe disposto al dialogo. Su questa ultima affermazione, v’è da restare basiti veramente, essendo esattamente il contrario della verità dei fatti. Quanti vescovi in questi sessant’anni sono stati pronti al dialogo con i fedeli che chiedevano il ripristino del rito di sempre? Quanti Papi, Benedetto XVI a parte? Quale dialogo si è avuto? O per caso il “dialogo” offerto è stato quello delle scomuniche e delle sospensioni a divinis a pioggia? Davvero stupefacente il Pontefice americano! Anche il riferimento al rito nuovo montiniano in latino è inaccettabile. Come se il problema fosse la lingua! Certo, la spirituale maestosità del latino è insostituibile (greco a parte); ma la questione non è solo e tanto linguistica (altrimenti andremmo tutti al rito nuovo in latino: al quale invece non va nessuno, essendo un ibrido “spiacente a Dio e agl’inimici suoi”): la questione è spirituale, dommatica, dottrinale. Liturgica, appunto. Avendo lui il compito di “de-polarizzare” gli scontri, non potrà tout-court seguire la scellerata politica persecutoria del predecessore, e, prima o poi, dovrà affrontare la problematica con il mondo della tradizione (si sa che ha incontrato il cardinale Burke e che questi celebrerà in Vaticano la Messa a fine ottobre), come del resto ha apertamente dichiarato: ma è evidente che le illusioni dei primi tempi sono ormai svanite. Detto in un concetto breve: se il mondo della Tradizione non ha più il nemico di prima, non ha però nemmeno l’amico che molti attendevano. Almeno, questo si evince chiaramente dalle sue parole. Poi, saranno i fatti a parlare. Ciò che traspare da queste parole è il fatto che non vi si riscontra alcuna vera comprensione del problema, anzi: il problema è sentito solo come un “problema” che grava, come un dente da cavare. Non come l’occasione aurea per aiutare l’immensa celestiale unica e insostituibile eredità della venti volte secolare liturgia della Chiesa di sempre. Una sorta di… “Ma guarda un po’ che mi doveva capitare!”. “Diamogli tempo”. Ecco cosa sta facendo nel tempo che gli stiamo dando: fra sodomiti accolti con il sorriso, fra donne atee ed erotomani messe a dirigere l’Accademia delle Belle Arti del Vaticano, fra “giubilei” genderisti e ora fra “altamente improbabili” (e quindi non teologicamente e praticamente impossibili) mutamenti della dommatica morale della Chiesa Cattolica. Essendo il Papa, preghiamo per lui. E per la Chiesa. E per noi. Per il resto, restiamo fermi sull’insegnamento del Dottore Angelico: “Essendoci pericolo prossimo per la fede, i prelati devono essere ripresi, anche pubblicamente, dai sudditi» (Sum. Th. II-II, a. XXXIII, IV, ad. 2). Il Depositum Fidei della Chiesa Cattolica non può essere mutato da nessuno al mondo, nemmeno dal Papa, chiunque sia. Perché la Rivelazione, la Tradizione e la legge naturale sono eterne e immutabili, e superiori al Papa, di cui invece egli è servo. Perché «Nessun servo è più del suo Padrone» (Gv 13, 16). E il compito del servo è quello di fare e tramandare ciò che il Padrone ha creato, detto, insegnato, voluto, comandato. E ciò che la Chiesa ha infallibilmente stabilito nel corso della sua storia. Ciò che è di legge divina e naturale e ciò che è dommatico nella Chiesa è immutabile per sempre, ieri, oggi, domani, fino alla fine dei tempi. Questa eredità immutabilmente oggettiva è proprio il grande scoglio da superare per la realizzazione della religione universale globalista. Leone XIV ha fatto capire ai progressisti incalliti che occorre ancora tempo. E qui ognuno dovrebbe trarne le logiche conseguenze. Ciò che pochissimi però faranno. Come sempre. |