Obbedisci !!! – L’obbedienza del cattolico



di Don Juan María de Montagut Puertollano, FSSPX


Don Juan María de Montagut Puertollano,
è il  Superiore del Distretto brasiliano della Fraternità San Pio X



Pubblicato su
https://catolicosribeiraopreto.com/obedecam-a-obediencia-do-catolico/













Con l’arrivo di nuovi fedeli e l’aumento delle controversie sui social media, è opportuno ricordare le distinzioni fondamentali su cui si fonda la posizione della Fraternità di fronte alla crisi della Chiesa.

Abbiamo sempre desiderato esercitare grande cautela nell’uso dei media digitali, a causa del rischio di distorsione dei contenuti causato dalla natura artificiale del mezzo, che pone l’insegnante di fronte a un pubblico incerto, anonimo e potenzialmente molto eterogeneo.
Tuttavia, per il bene dei nostri fedeli e la perplessità delle anime di buona volontà, è utile sottolineare alcuni principi che sono alla base del nostro apostolato.


“Una Congregazione di sacerdoti Indipendenti”

I nostri detrattori più benigni ci accusano di ribellione, dicendo che siamo un Congregazione di sacerdoti indipendenti, che esercitano un apostolato basato sulle proprie idee.

Vale la pena ricordare che la Fraternità ha la grazia di essere stata fondata da un arcivescovo il cui grande tesoro di vita sacerdotale consisteva nello spirito romano da lui acquisito durante il seminario che seguì a Roma.  

I nostri Statuti furono redatti per infondere questo spirito nei sacerdoti e nei fedeli, e furono approvati dalle autorità competenti dell’epoca.

I nostri sacerdoti vivono una rigorosa vita in comunità, cosa che non accade spesso negli ambienti moderni e perfino conservatori.

Il nostro apostolato e la nostra disciplina sono basati su una gerarchia di Superiori, cosa che conferisce alla Congregazione una grande unità, stabilità e solidità, proprio perché non si basa su giudizi individuali.

Le sanzioni e le soppressioni che la Fraternità ha subito nel corso della sua storia non sono state dovute alla disobbedienza ai suoi Statuti, i quali la uniscono al bene comune della Chiesa – ma sono stati dovuti alla denuncia della crisi nella Fede, come si legge in particolare nella dichiarazione fatta nel 1974.
Questa dichiarazione è per noi, ad ogni nuova lettura, una occasione per rinnovare i grandi ideali di amore per la Chiesa e il desiderio di soffrire coraggiosamente per il bene soprannaturale delle anime.


La virtù dell’obbedienza

E’ fondamentale stabilire correttamente lo stato della questione, poiché non si tratta di discutere l’importanza della virtù di obbedienza per un cattolico, ma di determinare concretamente come deve essere praticata questa importante virtù in ogni momento e quindi oggi.

L’accusa di indipendenza e ribellione nasce solitamente da un’idea impoverita della virtù dell’obbedienza. Non è raro trovare sui social media un appello puramente sentimentale all’obbedienza, non solo privo di adeguate distinzioni, ma anche disattento alla necessità e al dovere dei credenti cattolici di proteggersi dal male che distrugge la loro fede, la loro vita cristiana e le loro famiglie.

La virtù dell'obbedienza è una virtù morale che dipende dalla virtù della prudenza nella sua applicazione concreta. Se l’obbedienza cristiana non è guidata dalla prudenza soprannaturale, l’atto virtuoso che si intende compiere sarà viziato da difetto o eccesso.

Pertanto, San Tommaso d'Aquino definisce illeciti gli atti eccessivi di obbedienza (Summa Theologica, II-II Q. 104) o “obbedienza indiscreta” (cioè, obbedienza priva di ragione e distinzione), che non è più una virtù, ma piuttosto un’apparenza di virtù.

E per questo che la sottomissione di un individuo al proprio superiore dipende ovviamente dalla sottomissione di quest’ultimo al principio che gli conferisce autorità.
Purtroppo, è possibile che un’autorità legittima agisca contro il principio su cui si fonda la sua autorità.

A sua volta, la virtù della prudenza dipende dalle virtù teologali, origine dei principi che devono essere applicati in un dato caso.

Pertanto, la virtù della Fede è il criterio fondamentale su cui si fonda l’obbedienza. Un grave conflitto o perplessità nell’esercizio dell’autorità trova la sua regola primaria nella Fede.

Come ho detto prima, l’esercizio delle virtù morali nel cristiano non può mai essere disgiunto dall’esercizio delle virtù teologali; anzi, è al loro servizio, poiché il loro oggetto immediato non è un’azione umana concreta, ma Dio stesso, conosciuto (Fede), atteso (Speranza) e amato (Carità).
Pertanto, la pratica delle virtù teologali non ha limiti dovuti all’eccesso, poiché il loro oggetto è Dio stesso: Verità, Provvidenza e Amore infiniti.

Questo non è il caso delle virtù morali, né di alcuna di esse, che perdono il loro carattere meritorio quando cadono nell’eccesso.


Sacerdoti e fedeli accusati di “disobbedienza”

Un buon pastore di anime, prima di condannare deve sforzarsi di conoscere i motivi che inducono qualcuno ad adottare un comportamento che, in apparenza, è riprovevole, prima di confermare se ha peccato o no; infatti, una cosa è l’obbligo di osservare sempre i Dieci Comandamenti (che vincolano tutti in ogni circostanza); altra cosa è l’esercizio concreto di ciascuna virtù.
Per esempio:  il figlio deve sempre onorare il padre e la madre, ma l’obbedienza a ciò che essi comandano non è assoluta, ma relativa a quanto comandato. Così, se un uomo, dopo aver apostatato la fede cattolica, ordina al figlio di abbandonare anch’egli la Chiesa per frequentare una setta protestante, questo figlio, se obbedisse peccherebbe gravemente.

D’altra parte, gli atti umani hanno una moralità oggettiva e, quando sbagliano, solo l’ignoranza (ciò che chiamiamo errare in "buona fede") può scusare o attenuare la gravità del peccato.
In questi casi, la carità che dovremmo mostrare verso l’ignorante che sbaglia è proprio quella di salvarlo dal suo errore.

Ora, nel nostro caso è esattamente il contrario: non c’è peccato di disobbedienza, né intenzionale né per ignoranza, perché sempre più fedeli cattolici si rendono conto che la crisi che la Chiesa sta vivendo oggi è una crisi di Fede, un pericolo per la Fede, e che da ciò conseguono una moltitudine di altri mali per la vita cristiana.

Pertanto, il caso non si conclude dicendo: “Va bene, la Fraternità e i suoi fedeli sono in buona fede, ma sbagliano perché non obbediscono”.
Al contrario, l’obbedienza alla Fede rende virtuosa la resistenza a un’autorità che esiste veramente, ma si allontana dalla sacra missione di confermare i fedeli nella Fede.


Una contraddizione moderna

Com’è possibile giustificare una resistenza consapevole che, infelicemente, finisce col diventare abituale?

È chiaro che la Chiesa sta affrontando una crisi terrificante, per non dire, senza mezzi termini, la peggiore crisi della sua storia.
I cosiddetti sacerdoti conservatori ammettono prontamente l’esistenza della crisi, ma tendono a non essere chiari e a non approfondire nel considerarne la storia, l’origine, le tappe e l’estensione.

Prima di trattare della virtù dell'obbedienza, è necessario definire l’essenza della crisi, poiché l’azione virtuosa dipende dalla natura e dalle caratteristiche del male che si sta affrontando. Non è difficile comprendere che due sono i tratti più caratteristici di questo male, che lo rendono la più grande battaglia di tutta la storia:

a) la profondità del suo oggetto. Trattasi di una crisi di Fede. Ciò che è messo in discussione oggi è l’essenza stessa della Chiesa e il suo operare nel mondo, che il Concilio ha cercato di riscoprire.

b) La statura dei responsabili. A conti fatti questa ridefinizione dell’operare della Chiesa è messa in atto dalle più alte autorità ecclesiastiche.

Una questione molto seria, che non può essere ignorata in un conflitto con i Superiori, è la legittimità della critica – o addirittura della disobbedienza – è avanzata da un suddito che desidera mantenere i limiti della virtù.
 
Per non nuocere alla brevità e alla semplicità del testo, basti sapere che non ci attribuiamo un’autorità illegittima quando ripetiamo le parole delle autorità stesse riguardo alle opere compiute negli ultimi decenni.

Paolo VI, nel suo discorso del 7 dicembre 1968, affermò che, dopo il Concilio, la Chiesa stava subendo qualcosa che poteva essere considerato un’“autodemolizione”.

In un’intervista del 1985, il cardinale Ratzinger affermò che il Concilio intendeva accogliere positivamente alcuni valori espressi da due secoli di cultura liberale. Nella stessa intervista, affermò anche che il Concilio Vaticano II è un “anti-Sillabo”, in quanto rappresenta un tentativo di riconciliazione ufficiale della Chiesa con la nuova era inaugurata dalla Rivoluzione francese.

Infine, nel 2012, il cardinale Brandmüller affermò che “Dignitatis Humanae” rappresenta una discontinuità, soprattutto perché priva di un fondamento sufficientemente chiaro nella Sacra Scrittura o nella Tradizione, e che, poiché questi testi non hanno lo status di definizioni infallibili, possono essere oggetto di dialogo e dibattito teologico.

Infine, e per citare un altro esempio recente, dalla bocca del cardinale Gerhard Mülher (Catholic Herald, 24 aprile 2025): “Nessun cattolico è obbligato a obbedire a una dottrina errata. Il cattolicesimo non consiste nell’obbedire ciecamente al Papa ignorando la Sacra Scrittura, la Tradizione e la dottrina della Chiesa”.

Pertanto, la contraddizione tra l’insegnamento moderno e quello tradizionale, oltre ad essere evidente, è affermata dalle stesse autorità, non per mala volontà o per interpretazione personale.
La perplessità di fronte a tali parole, per non parlare dell’effetto delle stesse riforme, giustifica la ricerca di principii solidi, permanenti, su cui fondare la nostra pratica religiosa, prima che la nostra Fede sia messa a rischio.

Questo evidentemente non costituisce una autorità parallela, semplicemente ci protegge da un veleno molto forte e sottile, dal quale ci proteggiamo cercando l’alimento sicurissimo.

In conclusione, quando si tratta di obbedienza, un cattolico retto e obiettivo non può che scegliere tra obbedire a 1900 anni di Magistero omogeneo e chiaro nell’espressione della Fede o obbedire a discorsi che portano alla relativizzazione di quella stessa Fede, o addirittura alla sua perdita.

Ogni Papa deve obbedire a Cristo, di cui è Vicario, per comandare – anche infallibilmente – nel nome di Cristo. E poiché Nostro Signore Gesù Cristo non abbandona la Sua Chiesa, nemmeno in tempi di confusione, la Tradizione cattolica ci offre la luce per la nostra Fede e le pure fonti di grazia nella liturgia secolare.
Pertanto, mentre preghiamo e aspettiamo che le autorità della Chiesa tornino a ciò che è sempre stato e ovunque tramandato (San Vincenzo di Lerino), continueremo a resistere ai nuovi sviluppi che distruggono l’unità della Chiesa nella sua Fede e nel suo culto. Solo a questa condizione può tornare la vera “comunione ecclesiale”, cessando di essere l’espressione eterea di un legame fragile, solo canonico per il clero o solo sentimentale per i fedeli.


Il dialogo delle autorità

Ma questo non è ancora tutto quello che si può dire sull’obbedienza.
Troviamo qualcosa di altrettanto grave nelle ripetute affermazioni di queste stesse autorità, quando affermano che la loro dottrina vuole essere un contributo a un dialogo universale.
Sebbene si tratti di una questione complessa, la legittimità dei dubbi sul consenso a un dialogo che ha già prodotto risultati così dannosi per l’intera Chiesa è abbastanza chiara.
Questo effetto non si misura solo dai numeri, come la gravissima diminuzione del numero di fedeli, sacerdoti e religiosi, ma soprattutto dal declino qualitativo, data la mancanza di formazione dei fedeli, la divergenza tra i sacerdoti su questioni di moralità di base e la mondanità della vita religiosa, prodotta da un dialogo che, per principio, abdica all’esercizio dell’autorità in favore di principi liberali.


“Aiutare la Chiesa dall’interno”

Per finire, vale la pena dire ancora qualcos’altro sempre sull’obbedienza, ma questa volta in modo più concreto.

In definitiva, qual è il modo d’agire più adeguato di fronte a tutto questo?

Ognuno di noi, nel proprio ambito, è responsabile delle sue azioni.
Esiste quindi un esercizio di obbedienza, prudenza e Fede che è proprio di ogni membro della Chiesa e in questo caso un ordine sbagliato di un superiore potrebbe diminuire la nostra responsabilità, ma non annullarla.

Saremo giudicati per la nostra posizione di fronte a questa crisi e quindi c’è un dovere molto serio per risolvere questo stato permanente di perplessità.

Ci addolora profondamente il fatto che dei semplici fedeli, molte volte privi di formazione religiosa di base, debbano discernere su questioni così gravi e sottili, ma l’evidente contraddizione tra l’insegnamento moderno e quello tradizionale esige una soluzione adeguata.

Nel giorno del giudizio, padri di famiglia, sacerdoti e vescovi non potranno attribuire la responsabilità delle loro azioni ai loro superiori, quando ci troveremo di fronte ai frutti maturi di quest’albero.
Per non parlare dell’assurdità di frasi come “meglio sbagliare col Papa che fare tutto senza di lui”, o di appelli sentimentali che soddisfano il pubblico prigioniero delle reti sociali. 

E’ quindi chiaro che la necessità di proteggere la nostra Fede ricercando una solida dottrina e l’esercizio di un apostolato basato esclusivamente sulla legittima e ardente richiesta di alcune anime in cerca di una dottrina sicura, non ci colloca fuori dalla Chiesa.
Nonostante i disaccordi con i vescovi locali, la fedeltà ad un principio superiore, richiesta dalla mancanza di una dottrina solidamente definita, non impedisce la nostra adesione alla Chiesa, ma anzi la garantisce.
Siamo puniti non per aver adottato novità quantomeno dubbie.
Ora, non è l’adesione alla Tradizione che dovrebbe essere la base del dubbio sull’appartenenza alla Chiesa, ma piuttosto la novità stessa.
 
Inoltre non è noto alcun Papa che abbia affermato – nemmeno nel corso di un dialogo – che non siamo cattolici; tutt’altro. I sacerdoti e i vescovi che lo affermano, non solo agiscono grossolanamente, non facendo distinzioni in una materia così complessa, ma emettono anche un giudizio indipendente.

In tal modo, trovandoci all’interno della Chiesa, l’argomento secondo cui si dovrebbe rimanere nelle parrocchie “per aiutare la Chiesa dall’interno”, oltre ad essere profondamente dannoso per le anime, è doppiamente falso, perché la fedeltà alla Tradizione non esclude dalla Chiesa e, d’altra parte esiste un grave dovere di proteggersi dall’errore, oltre a non contribuire all’autodemolizione della barca di Pietro.

La crisi nella Chiesa, sebbene possa essere misurata, in qualche modo, dalla gravità e dalla frequenza degli scandali liturgici e morali, non consiste essenzialmente in questo. Gli scandali sono gli effetti ultimi di una corruzione dei principii e delle verità, derivante dal liberalismo moderno, che è alla base del moderno apostolato e ne fonda le azioni.
Pertanto, un fedele che desideri proteggere la sua famiglia e soprattutto non essere strumento di tali errori, deve astenersi non solo dagli scandali, ma da tutto quello che apre l’anima a questi due secoli di cultura liberale.


L’obbedienza soprannaturale di Mons. Marcel Lefebvre

(Conferenza a Ecône, marzo 1984).

Altri dicono anche: “Non sono responsabile. Faccio quello che mi dicono i miei superiori. Non sono più intelligente del Papa. Il Concilio ha parlato, il Papa ha parlato, io non sono responsabile...”.
Ma quando moriremo, chi sarà giudicato, quando Nostro Signore giudicherà le nostre azioni? Non chiederà chi ha ordinato questo o quello, ma dirà: “Cosa hai fatto? Perché hai agito male? Hai fatto la cosa giusta o quella sbagliata? - Ma mi è stato ordinato di fare questo! - Non eri obbligato a fare questo! Dovevi pensare alla bontà o alla cattiveria di ciò che ti è stato chiesto di fare”. Questo è ovvio; è semplice buon senso.

San Tommaso prevede scenari in cui sarebbe male per il suddito obbedire: la prudenza suggerirà allora di non fare ciò che il padrone ha ordinato. La libertà del suddito si manifesta in tale resistenza, così come si manifesta in altri momenti nella sollecita sottomissione. Perché non esiste stato di servitù, per quanto completo, che possa privare l’uomo dell’uso della sua ragione e della sua libertà.

Pertanto, se c’è obbedienza cieca, cioè obbedienza compulsiva, che non pensa più a quello che sta facendo, che non vuole più pensare a quello che facendo, allora non si tratta più di un atto umano, di un atto meritorio.

A mio avviso, questo è un punto molto importante e pertinente. È incredibile che questa mancanza di obbedienza, che ci viene veementemente attribuita, possa essere costantemente usata contro di noi, come se non dovessimo più pensare e dovessimo chiudere gli occhi e fare ciò che ci viene detto – che sia buono o cattivo, conforme alla verità o meno, conforme alla Tradizione della Chiesa o meno: “Non importa, devi obbedire!”

Ecco, questa è proprio la situazione in cui ci troviamo. Siamo accusati di non obbedire. Vogliono farci perdere la virtù elementare della prudenza, che ci impone di riflettere su ciò che ci viene comandato di fare. E poiché siamo responsabili delle nostre azioni, saremo noi ad essere accusati al Giudizio Universale, accusati in base alle nostre azioni; non gli altri, che non sono responsabili, o che sono responsabili di ciò che fanno, ma non di ciò che facciamo noi stessi. Lo stesso San Tommaso risolve molto opportunamente, molto pertinentemente, il dubbio che l’esercizio dell'obbedienza solleva per la virtù della prudenza».




 
settembre  2025
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