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| La bozza del Cammino Sinodale CEI: FERMATEVI FINCHE' SIETE IN TEMPO! ![]() Abbiamo ricevuto, riservatamente, l’ANTEPRIMA della bozza del Cammino Sinodale della Conferenza Episcopale Italiana che, come sappiamo, ha legami strettissimi con la Santa Sede. Prima di proporre il testo completo, sotto al post proponiamo, un’analisi critica del “Cammino Sinodale”: da un’idea teologica a un progetto sociologico. Confidiamo che molti vescovi leggano il testo della Bozza e si oppongano “in faccia”. Ma vediamo prima la nostra analisi (i punti critici sarebbero ben di più ma abbiamo cercato di concentrarci sui più pericolosi). Il documento “Lievito di pace e di speranza” si apre con una premessa che ne espone le intenzioni programmatiche e ideali. Sebbene l’evocazione del “lievito” come immagine di una Chiesa umile e dialogante sia affascinante e profondamente radicata nel Vangelo, un’analisi critica del testo rivela una tensione irrisolta tra la sua aspirazione teologica e una sua effettiva impostazione più vicina alla sociologia e al pensiero secolare. La Chiesa come “visione condivisa” Il testo sembra definire la Chiesa non come una realtà soprannaturale, fondata sulla rivelazione di Cristo, ma come il risultato di un processo umano e di una “visione condivisa”. Questa prospettiva rischia di minare le fondamenta stesse della fede cattolica. La Chiesa non è una democrazia né un club che può essere rimodellato in base al consenso o a un’ideologia. La sua identità, come “sacramento” di comunione, è un dono divino, una realtà che accogliamo, non un progetto che costruiamo da zero attraverso il dibattito. L’eccessiva enfasi sulle “relazioni” e sulle dinamiche di gruppo, se non saldamente ancorata a una dimensione verticale, rischia di trasformare la Chiesa in una semplice comunità orizzontale, ignorando la sua natura di Corpo Mistico di Cristo. La pace: un obiettivo secolare o un dono di Cristo? Il documento presenta la pace come la “missione più urgente” della Chiesa, ma il linguaggio utilizzato la descrive in termini generici. Non si parla della pace che è frutto della giustizia e della riconciliazione con Dio, ma di una pace che sembra essere un obiettivo umanitario e laico. Se la Chiesa riduce la sua missione a un progetto di pace senza radicarla nella persona di Cristo Risorto, l’unico che può offrire una pace autentica e duratura, si declassa al livello di un’agenzia sociale. Questa secolarizzazione della missione spoglia l’annuncio evangelico della sua specificità e della sua forza salvifica. Un’ecclesiologia confusa e divisiva L’uso del termine “Chiesa di Chiese” per descrivere il rapporto tra le Chiese locali e la Chiesa universale è un’ambiguità che alimenta la confusione ecclesiologica. La teologia cattolica insegna che la Chiesa universale non è la somma delle Chiese particolari, ma che il mistero della Chiesa intera è presente in ogni Chiesa locale. L’espressione usata nel documento, pur se ispirata da un’idea di comunione, rischia di suggerire una visione federalista o addirittura protestante, che mina l’unità del Popolo di Dio. Inoltre, l’inclusione di espressioni come “nostalgie clericali” nel testo, pur volendo denunciare un problema reale, non contribuisce al dialogo (e ci ricorda, purtroppo, certe brutte esternazioni del Papa Francesco). Il linguaggio accusatorio e divisivo contrasta con l’ideale di “sinodalità” e fraternità che il documento si propone di promuovere. In sintesi, la prima parte del testo, pur contenendo lodevoli aspirazioni, non riesce a superare una sottile ma profonda tensione. Le proposte sembrano volte a far sì che la Chiesa si adatti ai paradigmi del mondo, invece di essere un segno di contraddizione, perdendo il suo ruolo profetico e la sua unicità. Un’analisi critica del “rinnovamento” sinodale: dalla teologia alla sociologia La seconda parte del documento, pur presentandosi come un’ambiziosa guida per il futuro della Chiesa italiana, solleva una serie di criticità che mettono in discussione le sue stesse premesse. Se l’intento dichiarato è quello di un rinnovamento missionario, le proposte concrete sembrano in molti punti tradire questa vocazione, privilegiando un’ottica sociologica e ideologica a scapito della sua profonda natura teologica. La conversione: un atto umano o un dono divino? Il testo afferma che il discernimento dei “segni dei tempi” è alla base della conversione. Questa affermazione è teologicamente problematica. La conversione, nel suo senso più profondo, non nasce dall’analisi del mondo o dai suoi “segni”, ma dall’incontro con l’amore di Dio e dall’accettazione della grazia di Gesù Cristo, operante per mezzo dello Spirito Santo. Ridurre il fondamento della conversione a un’attività di studio e interpretazione culturale rischia di trasformare un evento di grazia in un processo di auto-realizzazione, spostando l’attenzione dall’azione salvifica di Dio all’iniziativa umana. Un manifesto politico con rischi ideologici Il documento propone una serie di iniziative concrete che, sebbene - forse - ben intenzionate, assomigliano più a un manifesto di un movimento politico o sociale che a un piano pastorale. La proposta di istituire osservatori, promuovere iniziative di disarmo o sostenere forme etiche di risparmio, pur essendo argomenti di grande rilevanza, sembrano confondere il ruolo della Conferenza Episcopale con quello di un’organizzazione non governativa. Ancora più preoccupante è l’invito ad aderire a “giornate” promosse dalla società civile, una scelta che può facilmente condurre all’approvazione di agende ideologiche che spesso sono in netto contrasto con la dottrina della Chiesa. Se la Chiesa vuole essere una voce profetica nel mondo, deve agire con una sua identità e una sua agenda, non allineandosi acriticamente alle istanze secolari del momento. Una liturgia “antropocentrica” Il testo sulla liturgia è forse il più problematico. Suggerisce che la celebrazione debba “tornare ad essere un’esperienza significativa, attrattiva e accessibile”, e che essa “prende forma” anche dall’assemblea. Questa visione mina la natura stessa della liturgia cattolica, che non è un’esperienza umana da adattare alle sensibilità del momento, ma l’Opus Dei, l’opera stessa di Dio e la continuazione dell’ufficio sacerdotale di Cristo. La liturgia è un dono divino, non un prodotto che deve essere reso “comprensibile” attraverso “strumenti di analisi sociale” o “laboratori”. Un tale approccio rischia di snaturare la sua essenza, trasformandola da una realtà del Cielo in un’attività puramente terrena, minacciando così la “lex orandi, lex credendi” e l’unità della Chiesa stessa. Il paragrafo 30 esalta l’accoglienza di “tutti, tutti, tutti” come un’istanza evangelica. Tuttavia, le proposte concrete che ne derivano sembrano superare la distinzione tra l’accoglienza della persona e l’approvazione del suo stato di vita. - Matrimonio e Convivenza: Il
documento suggerisce percorsi di “integrazione” per chi vive in unioni
diverse dal sacramento del matrimonio, come le seconde unioni o le
convivenze. Questa proposta si pone in aperta contraddizione con
l’insegnamento del Catechismo della
Chiesa Cattolica che, richiamando la Rivelazione, ribadisce
l’indissolubilità del matrimonio (cfr. CCC 1640).
Il Catechismo afferma categoricamente che “se i divorziati si risposano civilmente, essi si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la Legge di Dio” e “non possono accedere alla Comunione eucaristica” (CCC 1650). Il testo sinodale, non facendo alcun riferimento a questa cruciale e irrinunciabile verità, rischia di banalizzare il sacramento e di ingannare i fedeli, suggerendo che si possa essere pienamente “integrati” nella vita ecclesiale senza una piena adesione alla verità della fede. - Identità e Sessualità: Ancora più grave è la proposta di “promuovere il riconoscimento delle persone omoaffettive e transgender” e di aderire a “giornate” promosse dalla società civile. La Chiesa è chiamata a trattare le persone con omosessualità “con rispetto, compassione e sensibilità” (CCC 2358), condannando ogni forma di discriminazione ingiusta. Tuttavia, la stessa carità pastorale non può in alcun modo confondere l’accoglienza della persona con l’approvazione delle sue tendenze o dei suoi atti. Il Catechismo è chiaro: “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati” e “in nessun caso possono essere approvati” (CCC 2357). La promozione di “giornate” che veicolano l’ideologia del gender, che nega la natura intrinseca dell’essere umano come maschio e femmina (cfr. CCC 369-373), è un atto di complicità con un’ideologia che la Chiesa ha fermamente condannato. Il paragrafo 31, dedicato alla “dimensione affettiva”, spoglia la sessualità della sua natura teologica e morale per ridurla a un mero campo di analisi psicologica e sociologica. La proposta di affidare la formazione e l’accompagnamento su questi temi a “realtà civili” e a “équipe” non meglio definite è un pericoloso passo indietro. - Sessualità e Moralità:
Il Catechismo della Chiesa Cattolica
insegna che la sessualità umana non è un impulso
disordinato ma un “bene” orientato verso l’amore coniugale e la
procreazione (CCC 2360-2361). La castità è una
virtù che è “compito di ogni battezzato” (CCC 2348-2350),
un cammino di santità che riguarda ogni persona,
indipendentemente dal suo stato di vita.
Le proposte del documento, invece, sembrano voler trattare la sessualità e l’identità come questioni che necessitano di “esperti” esterni al Magistero, disconnettendole dalla vocazione alla santità e alla vita di grazia. Questo approccio secolarizzato tradisce la profondità della visione cristiana, che integra la sessualità nella persona in quanto creata a immagine e somiglianza di Dio. In conclusione, i punti 30 e 31 non sono semplici raccomandazioni pastorali, ma un esempio di come un’iniziativa di dialogo possa trasformarsi in un’agenda di compromesso. Nel tentativo di essere “prossimo” al mondo, il documento rischia di compromettere la sua missione profetica e di allontanare i fedeli dalla verità della fede, offrendo risposte umanamente rassicuranti ma spiritualmente vuote, in un atto di pericoloso disorientamento dottrinale. Conclusione: un’opportunità mancata? Il documento, in definitiva, offre uno spaccato delle tensioni interne alla Chiesa italiana. Sembra che, in molti passaggi, il desiderio di essere “lievito” per la società si sia trasformato nel rischio di essere “farina” che si lascia modellare, perdendo il suo sapore e la sua vocazione profetica. Le proposte, se implementate, potrebbero portare a una Chiesa che, nel tentativo di farsi più vicina al mondo, finisce per assomigliargli, a discapito della sua unicità, della sua dottrina e, in ultima analisi, della sua stessa identità. Luigi Casalini
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