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Ne uccide più l’odio irreligioso che la fede di Marcello Veneziani ![]() Charlie Kirk nel corso di un dibattito Ha ragione Carlo Verdelli sul Corriere della sera a perorare questa petizione di principio e di buon senso. Però quando poi vedi l’uso politico che fa di questa condivisibile preoccupazione, comprendi che qualcosa non funziona. Per cominciare, l’occasione è data dall’omicidio di Charlie Kirk, dove è successo qualcosa che è esattamente il contrario di quel che denuncia Verdelli: l’uccisione di Kirk non è stata armata dalla rabbiosa intolleranza degli integralisti cristiani, di chi trascina Dio in politica e nella vita privata, ma il contrario: un credente e praticante in Dio e nella fede applicata anche nella vita civile è stato assassinato dai suoi nemici che pensano e credono esattamente all’opposto e vogliono impedire a chi non la pensa come loro di esprimersi e perfino di vivere. Dovremmo dire che l’ateismo ha ucciso un credente, e un fanatico nemico di Dio patria e famiglia ha usato l’estrema violenza per eliminare un testimone a viso aperto di quella fede. E non si tratta di un caso o una deviazione di percorso: almeno dalla Rivoluzione francese in poi, i fautori della tolleranza e i nemici della fede, uccidono, ghigliottinano, massacrano coloro che invece credono in Dio, in Cristo e nella religione. C’è chi uccide in nome di Dio (oggi lo fanno soprattutto gli islamici) e c’è chi uccide i seguaci di Dio. Il sottinteso della tesi di Verdelli è che il colpevole sia la vittima, cioè che sia stato Kirk e quelli come lui ad alzare la tensione e dunque a provocare l’assassino. Tesi che non voglio nemmeno commentare, e che Verdelli del resto ha il pudore di non esplicitare. In secondo luogo, l’uso e l’abuso politico e ideologico della fede non è solo di chi trascina Dio nella battaglia contro l’aborto o la dissoluzione delle famiglie e della società tradizionale; ma anche di chi nel nome di Dio accogliente apre le porte ai migranti, giustifica le violenze nate dalla povertà e dal disagio, giustifica i crimini se sono compiuti da neri o da rom e traduce la religione in una specie di sindacalismo trascendentale, fino a confondere Cristo con Spartacus, e Dio con una Ong celeste. Anche questa, come quella, è una traduzione del cristianesimo nella propria ideologia, con la pretesa di parlare nel nome di Dio; anche in questo caso c’è abuso di fede e strumentalizzazione del Vangelo ai fini della lotta politica e sociale. In realtà, la storia dell’umanità, anche solo a limitarla ai duemila anni di cristianesimo, è sempre stata un intreccio di sacro e profano, di religione come instrumentum regni, di fede combinata col consenso dei popoli o per legittimare il potere dei re e di massacri compiuti in nome di Dio o contro di Lui. Che sia un male è evidente ma il suo opposto non è il trionfo del bene, del giusto e del vero. Una società che bandisce il riferimento a Dio e alla costellazione di principi che vengono di solito semplificati nella triade Dio patria e famiglia, è solitamente preda di idoli, ideologie, egoismi, interessi, patologie e pretese che non sono certo migliori di quelli a cui si oppongono. Lo dimostra l’esperienza della storia, ma lo conferma soprattutto il nostro presente. Eliminando quei principi si eliminano i fondamenti di una vita civile: perché quei principi insegnano innanzitutto il senso dei nostri limiti e dei nostri confini; in secondo luogo generano uno spirito comunitario e un sistema di relazioni indispensabili alla vita, allontanando la prospettiva dell’isolamento o della guerra di tutti contro tutti. In terzo luogo sono il fondamento di una civiltà e di un sistema sociale fondato su comuni principi e comuni appartenenze; quasi tutto quel che ha generato una civiltà, dai muri di cinta agli edifici sacri e civili, dalle cerimonie ai simboli, dai riti alle liturgie, dall’arte all’ispirazione poetica, dalle leggi ai diritti e al mutuo soccorso, è nata da quei fondamenti. E se la nostra società annega nel peggior individualismo, lo dobbiamo proprio all’aver rimosso e negato quei principi che ci inserivano e ci proiettavano in un noi comunitario, uscendo dalla prigione dell’Io. Quei principi ci insegnano a rispondere dei nostri comportamenti, a non sentirci onnipotenti e liberi di fare tutto quel che vogliamo, ci educano alla responsabilità. Nel nostro tempo è d’uso giudicare il senso della famiglia, l’amor patrio e il senso religioso, solo alla luce delle loro degenerazioni in familismo e abusi domestici, nazionalismo guerrafondaio e fanatismo religioso. Ma non si possono cancellare i principi fondativi di ogni civiltà nel nome del loro cattivo uso o delle loro espressioni degradate, che pure esistono e vanno combattute. Sarebbe come cancellare l’amore perché ci sono tanti casi di abusi, violenze e prevaricazioni nel nome dell’amore. In realtà, anche la società contemporanea ha bisogno di riconoscersi in principi superiori e in valori comuni, cercando un punto di equilibrio tra libertà e autorità, ordine e flessibilità, essere e divenire, unità e differenze, tradizione e mutazione. E una società sopraffatta dalla rapidità dei cambiamenti, fluida, mutante, tendenzialmente anarchica e individualista, ha ancora più bisogno di solidi contrappesi in quella direzione. Certo, un conto è ispirarsi a principi trascendenti, un altro è professare fedi e regimi teocratici; una cosa è amare la verità, un’altra è armare la verità e pretenderne di averne il monopolio e il possesso esclusivo (pretesa oggi assai diffusa soprattutto in ambito radical-progressista, molto più che tra conservatori, tradizionalisti o credenti). Anche la verità come l’amore è una ricerca e un’aspirazione; se diventa un possesso rinnega se stessa. Se cancelli la religione dalla vita, non cancelli la dipendenza ma la trasferisci in altri ambiti o la affidi ad altre agenzie: oggi, per esempio, la psicanalisi ha trasferito la fede nella terapia, e il ruolo del sacerdote in quello dello psicoterapeuta. Ma è solo un esempio tra i tanti. Frank Furedi nel suo saggio Contro la psicologia sottolineava la deriva terapeutica negli Stati Uniti che rende vulnerabili e dipendenti individui e società. Anziché curare, acuisce la fragilità e dunque la dipendenza della gente. Altro che la religione. Si capisce Kirk e il mondo che in lui si riconosce se si capisce la preoccupante rilevanza di fenomeni come questi negli Usa. Per non parlare di altre peggiori dipendenze tossiche di cui è infestata l’America. Come tutto questo venga poi tradotto nella politica contemporanea è naturalmente oggetto di giudizi contrastanti e di valutazioni opposte. Gli abusi e le distorsioni sono sotto gli occhi di tutti; ma c’è chi continua a vedere abusi solo da una parte e a considerare di quei principi solo i loro abusi. Così precipitiamo nella miseria del dibattito quotidiano, meschino, orbo e manicheo. Prima di condannare la discesa forzata di Dio in politica, chiedetevi quali voragini va a colmare e quali demoni ci sono dalla parte opposta. Ancora una volta è dunque la Medicina intesa come arte del curare, del prendersi cura di ogni persona malata e sofferente, che ne fa le spese e sembra in balia delle scelte politiche. Anche in questo caso, è più che mai da far proprio l’appello del cardinale Pizzaballa alla mitezza, una virtù dimenticata e disprezzata, ma assolutamente indispensabile. Una mitezza che richiede coraggio, che è tutt’altro che debolezza. Se il mite è disposto a porgere la propria guancia, si impegna per proteggere le guance altrui. Una mitezza che deve difendere le ragioni profonde dell’etica medica, che oggi è interpretata a macchia di leopardo e subendo influenze politiche. Per questo alla causa dell’aiuto alle vittime di questa tragedia non servono i flash mob più o meno spettacolari, o le giornate di “digiuno di solidarietà” lanciate la scorsa estate (e ci permettiamo di ricordare che il digiuno ha senso e valore se consiste in una rinuncia per un bene, ad esempio devolvendo la somma equivalente a un pranzo, altrimenti è solo dieta); il dissenso e l’indignazione non devono essere a senso unico. Non basta protestare contro Israele, ma occorrono scelte etiche ad ampio raggio, contro ogni minaccia alla vita umana in ogni fase della sua vita, e occorre un reale rispetto per i pazienti, qualunque tipo di idea essi professino. Alcune organizzazioni di “sanitari pro Gaza” hanno invitato a boicottare una casa farmaceutica israeliana. Se si fossero mobilitati in modo analogo durante la pandemia Covid forse avremmo visto scenari diversi. Se tale rete si fosse espressa contro la sospensione dei colleghi medici, infermieri, operatori sanitari di ogni qualifica, avremmo avuto molte ingiuste sofferenze in meno. L’auspicio è che l’impegno umanitario per Gaza porti a una sensibilizzazione più generale sul preoccupante reset in corso della Medicina. |