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Chi divide veramente la Chiesa? di Padre Santiago Martín ![]() Nella festa di San Francesco d’Assisi, Papa Leone XIV ha firmato la sua prima esortazione apostolica. Si intitola “Dilexi te” (Io ti ho amato) ed è la continuazione di “Dilexit nos” (Egli ci ha amati), la quarta enciclica del suo predecessore, Papa Francesco. In realtà, questa esortazione era già praticamente terminata quando Francesco si ammalò e morì. Leone ha ordinato di rivederla e ora è un testo che, a prescindere dalle sue origini, è opera sua, perché lui lo assume come tale. Ma nel corso della settimana sono successe anche altre cose. Prima di parlarne, credo sia necessario fare una premessa. Non ho alcuna intenzione di criticare il Papa. Non spetta a me farlo. Lui è il Papa e merita la mia obbedienza e il mio rispetto. Ma, per aiutarlo a compiere il ministero petrino, che include l’obiettivo che ha fissato come guida del suo pontificato, quello di unire la Chiesa, forse posso contribuire segnalando alcune cose che possono nuocere a tale obiettivo e persino danneggiare la sua immagine. Intorno a qualsiasi leader si forma subito una cricca di adulatori che gli dicono che tutto ciò che fa è meraviglioso e perfetto; forse al leader fa piacere ascoltare continuamente lusinghe e finisce per credere che qualsiasi minima obiezione gli venga fatta sia una mancanza di rispetto e un attacco. Quando ciò accade, il suo governo – ripeto, quello di qualsiasi leader – è destinato al fallimento. Questa settimana ha continuato a suscitare scalpore la questione del premio che l’arcidiocesi di Chicago, presieduta dal cardinale Cupich, voleva assegnare al senatore democratico Dick Durbin. Di fronte allo scandalo suscitato, è stato lo stesso senatore a decidere di rifiutarlo. In realtà, sembra che, oltre ai dieci vescovi che si sono pubblicamente espressi contro l’assegnazione di tale premio, molti altri abbiano scritto al Presidente dell’episcopato americano chiedendo che fosse emessa una nota pubblica di condanna. La notizia sarebbe arrivata persino al nunzio e, per evitare ulteriori danni, Durbin ha fatto un passo indietro, di sua iniziativa o su saggio consiglio. La questione avrebbe potuto finire lì, se non fosse stato per alcune dichiarazioni del Papa, in una fugace conferenza stampa concessa all’uscita da Castel Gandolfo, in cui, in qualche modo, si è allineato alla tesi secondo cui bisognava valorizzare i quarant’anni di servizio del senatore e, in particolare, ciò che aveva fatto a favore degli emigranti. Ha paragonato l’aborto alla pena di morte, senza equipararli, ma chiedendosi se fossero “pro vita” coloro che erano a favore di quest’ultima. Queste parole del Papa hanno causato sorpresa e dolore a molti cattolici e hanno danneggiato l’obiettivo del Papa di unire la Chiesa. Un importante scrittore cattolico italiano, Stefano Fontana, è arrivato ad affermare che, con questo tipo di interviste fatte con leggerezza, “il papato si degrada al bazar delle opinioni” e ha assicurato che con gesti del genere “si alimenta la confusione”. È stato Benedetto XVI a rifiutare di equiparare l’aborto alla pena di morte, partendo dal fatto che in un caso la vittima è totalmente innocente, mentre nell’altro è colpevole, salvo errore giudiziario. Sono totalmente contrario alla pena di morte, ma di fronte all’aborto, che è la prima causa di mortalità degli esseri umani nel mondo, credo, insieme a Papa Benedetto, che le due cose non possano essere equiparate. E se scendiamo al tema dell’emigrazione, che non implica l’uccisione dei migranti illegali, l’equiparazione è ancora più ingiusta. Sono anche contrario alla politica migratoria che sta attuando il Presidente Trump, per il modo in cui la sta attuando, ma non è la stessa cosa uccidere un innocente che rimandare nel suo paese un migrante illegale. Inoltre, tornando al caso del premio a Durbin, fintanto che sarà in vigore il divieto di comunione ai politici che hanno sostenuto leggi abortiste, sembra incongruente che vengano loro assegnati premi cattolici. E ora arrivo a ciò che mi preoccupa di più: discernere chi è il separatore e chi è il separatista. Chi polarizza, chi divide? Il vescovo che decide di dare un premio pubblico a un politico che è stato scomunicato nella sua diocesi di origine, senza nemmeno consultare o informare quel vescovo, o il vescovo che lo viene a sapere dalla stampa e protesta? Chi crea la divisione, chi va contro la legge o chi la difende? Io faccio quello che voglio e, se protesti, la colpa è tua. La sinistra si è appropriata di ciò che chiamiamo “il racconto”, la narrazione di ciò che accade, con una capacità di manipolazione sorprendente. In questo modo possiamo arrivare a concludere che l’assassino o lo stupratore è la vittima e che chi è stato assassinato o violentato o il poliziotto che cattura il criminale sono i colpevoli. Ciò che è accaduto in questa sfortunata vicenda va oltre la consegna di un premio che non ha grande importanza. Ciò che si discute in fondo è se i difensori della dottrina cattolica siano i colpevoli della divisione e della polarizzazione nella Chiesa, o se lo siano coloro che violano e insegnano a violare tale dottrina, sia dal punto di vista dogmatico, sia da quello liturgico o morale. E così arriviamo alla seconda questione della settimana. Quattro vescovi hanno deciso di compiere un atto di riparazione per l’ammissione ufficiale di diverse organizzazioni lgbtq che hanno varcato la Porta Santa di San Pietro per ottenere il giubileo. Almeno alcuni di loro lo hanno fatto con manifestazioni pubbliche di rivendicazione della loro richiesta che gli atti omosessuali siano accettati come moralmente leciti dalla Chiesa. Non si sarebbe potuto evitare quel pellegrinaggio, che questi vescovi considerano una profanazione del tempio dove riposano le spoglie del capo degli apostoli? Era necessario l’incontro, con tanto di foto sorridente, del Papa con uno dei promotori di tale atto? Entrambe le cose hanno giovato alla causa dell’unità della Chiesa che il Papa vuole raggiungere e all’immagine stessa del Papa, o l’hanno danneggiata? Alcuni sono contenti di tutto questo e altri sono molto infastiditi. Ma chi sono gli uni e chi sono gli altri? Coloro che rifiutano la dottrina della Chiesa sono contenti e coloro che la difendono sono delusi. È questa la via dell’unità? È possibile un’unità che non si basi sulla verità? Le cose che sento e leggo contro Papa Leone sono terribili e mi rifiuto di condividerle, ma, poiché lo amo e amo l’unità della Chiesa, credo che ci siano cose che devono essere evitate per il bene di tutti. Un’altra questione: gli anglicani hanno nominato per la prima volta nella loro storia una donna come arcivescovo di Canterbury e primate della comunità anglicana. La reazione dell’associazione che raggruppa l’85% degli anglicani nel mondo è stata immediata e durissima: rifiuto totale e rottura della comunione. La reazione cattolica, invece, è andata oltre la cortesia e l’ha accolta calorosamente. Può esserci qualche dubbio, per chi ha ancora un paio di neuroni funzionanti, che questo è ciò che accadrà a noi cattolici se verrà approvato il diaconato femminile? Perché così è successo agli anglicani, che hanno finito per avere la loro “papessa”, che non si chiama Giovanna come quella della leggenda, ma Sarah. È la tecnica della fessura aperta nella porta che è stata utilizzata con l’aborto. L’importante è aprirla, anche solo un po’, poi l’apertura si allargherà. Poiché il tempo è superiore allo spazio, ora sembra che ciò che si debba fare sia consolidare le aperture, per allargare gradualmente la breccia. E se protesti, sei una persona che divide e polarizza, perché per non esserlo devi limitarti ad accettare ciò che dicono e persino applaudirlo, come diciamo in Spagna, “anche con le orecchie”. O sei un adulatore o diventi separatista, polarizzatore e nemico. A questo siamo arrivati. Preghiamo per il Papa. |