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|   La straordinaria avventura dell’evangelizzazione del Giappone di Don Bernard de Lacoste, FSSPX Don
Bernard de Lacoste è  
      Direttore del Seminario Internazionale San Pio X a Ecône, Svizzera; e Direttore del mensile Courrier de Rome Pubblicato sul sito francese della Fraternità San Pio X La Porte Latine ![]() San Francesco Saverio dipinto di Joseph Vien - Versailles 1753 Nel XVI secolo, giunsero i Portoghesi; accompagnati da sacerdoti cattolici per annunciare il Vangelo ai quei poveri pagani che non avevano mai sentito parlare di Gesù Cristo. Tra questi missionari, uno brillava di modo particolare: il gesuita San Francesco Saverio. Colmo di una ardente carità e di un immenso zelo apostolico: San Francesco Saverio cominciò con l’imparare la lingua giapponese (molto complicata), poi iniziò a viaggiare da un’isola all’altra: predicando, celebrando la Messa, battezzando e amministrando i sacramenti del matrimonio, della penitenza, dell’estrema unzione, ecc. Nel 1551, dopo due anni trascorsi nel Paese del Sol Levante, egli ritornò in India su richiesta del suo Superiore: Sant’Ignazio. Aveva battezzato 3000 Giapponesi. Dopo di lui, i Gesuiti e i Francescani si stabilirono in Giappone e consolidarono la Chiesa nascente. Nel 1600, il Giappone contava 200.000 cattolici e 300 chiese. Fu allora che ebbe inizio una terribile persecuzione, sotto il governo di un uomo ferocemente ostile al cristianesimo: Toyotomi Hideyoshi. La legge era semplice: era vietato essere cristiano, pena la morte. Allora i cristiani si prepararono al martirio con fede e coraggio. A Nagasaki, la polizia arrestò sei Francescani spagnoli, tre Gesuiti giapponesi e diciassette laici giapponesi, membri del terz’Ordine di San Francesco. In seguito questi furono crocifissi e trafitti con le lance. Era il 1597. Saranno canonizzati nel XIX secolo da Papa Pio IX. Il sangue dei Martiri è seme dei cristiani. Dopo questa sanguinosa persecuzione, un periodo di pace permise alla Chiesa di crescere rapidamente. Le conversioni al cattolicesimo si contarono a migliaia. Ma quindici anni dopo arrivò una nuova prova: tutti i missionari furono cacciati dal paese. I cristiani si trovarono ad affrontare un dilemma: o l’apostasia o la morte. La maggior parte rimasero fedeli a Cristo, ma furono decapitati o bruciati vivi. 205 di essi vennero beatificati da Papa Pio IX. Alcuni anni dopo, arrivò alla guida del paese un nuovo capo, il quale intensificò la persecuzione. Le crudeltà furono tra le più mostruose che abbiano disonorato l’umanità nel corso dei secoli. Si trattò di una disumanità fino ad allora sconosciuta ai popoli, perfino ai più barbari. Vero è che in tutti i paesi dell’Estremo Oriente, come la Cina, la Corea e l’Indocina, la penetrazione del cristianesimo ha sempre fatto i conti con esplosioni di violenza. Ma in Giappone la lotta anticristiana fu caratterizzata da una atrocità particolare. Io non oso descrivere le torture, perché i lettori potrebbero sentirsi male. Ciò che fu ammirevole è che la maggior parte dei cristiani preferirono la tortura e la morte al rinnegamento di Gesù Cristo. Il governo giapponese, mosso da un odio viscerale verso il cattolicesimo, si spinse oltre. Per essere sicuro che un cristiano non entrasse più nel paese, fece incidere o dipingere delle croci in tutti porti, sulle banchine, così che nessuno potesse scendere da una nave ed entrare in Giappone senza calpestare il segno sacro, cosa che, secondo il governo, equivaleva ad una apostasia. Inoltre, tutti gli abitanti dell’Impero furono costretti a calpestare una immagine di Cristo o della Vergine, così da poter vedere chi si sarebbe rifiutato e scoprire quindi i cristiani nascosti, che venivano uccisi. Durante questo periodo difficile, i cattolici rimasero privi di sacerdoti, della Messa, dell’Eucarestia e della Confessione. Avrebbero potuto perseverare nella fede senza l’aiuto di questi mezzi soprannaturali? Si potrebbe pensare che no. E tuttavia, un gran numero rimase fedele. Come? Grazie alla preghiera in famiglia, mattino e sera, e grazie alla preghiera di ogni comunità riunita la Domenica, sotto la guida del responsabile della preghiera. Questi cristiani perseguitati recitavano il Rosario tutti i giorni, come era stato insegnato loro dai missionari. E mantenevano il sacramento del Battesimo. Essi pregavano con la speranza che Dio mandasse loro nuovamente dei missionari. Dovettero aspettare 250 anni. 250 anni senza Messa, né confessioni, né cresime, né estrema unzione, né benedizione, né sermoni (peggio di quanto è accaduto con il confinamento del covid!). Un bell’esempio da seguire: anche noi, come i Giapponesi, manterremo la fede se pregheremo ogni mattino, ogni sera, e se reciteremo ogni giorno il Rosario. Ma se smettiamo di pregare, rischiamo di abbandonare tutto, privi dell’aiuto di Dio, e così di perdere la nostra anima per sempre. A Parigi, in rue du Bac, vi era un seminario che formava i futuri missionari per l’Asia. I seminaristi ardevano dal desiderio di evangelizzare l’Estremo Oriente, di soffrire e anche di morire per Cristo e di salvare le anime. A metà del XIX secolo, il direttore del seminario attendeva con impazienza che il Giappone aprisse le porte agli stranieri. Si dovette attendere il 1858; quando il Giappone, per motivi commerciali e finanziari, autorizzò l’ingresso degli Europei. Ma allora il cristianesimo era sempre proibito e punito con la morte. Le Missioni Straniere di Parigi approfittarono di questa apertura per inviare dei sacerdoti. I missionari arrivarono in Giappone con discrezione e cercarono con ansia le tracce di cristiani. Erano sicuri che dopo 250 anni vi sarebbero stati ancora dei cattolici clandestini. Ma come riconoscerli, in questo paese in cui la vera religione era vietata? Padre Petitjean si trovava a Nagasaki da cinque anni. Diceva la Messa tutti i giorni, ma nessuno vi assisteva. Apparentemente il suo apostolato era infruttuoso. Non vi era alcun parrocchiano. Tuttavia, egli non si scoraggiò, certo che Dio avrebbe finito col fargli ritrovare la traccia dei cattolici. Fu allora che, il 17 marzo 1865, verso mezzogiorno, si verificò uno degli avvenimenti più sublimi di tutta la storia della Chiesa. Mentre Padre Petitjean pregava nella sua chiesa, un gruppo di una quindicina di persone, uomini donne e bambini, si avvicinò e si fermò davanti alla porta della chiesa. Il Padre aprì la porta e una delle donne gli disse: «Noi abbiamo lo stesso cuore, noi e voi». Il Padre fu felice di sentire una tale affermazione e si chiese se si trattasse di un gruppo di cristiani. Ed ecco che la donna, per verificare se questo sacerdote fosse un successore dei primi missionari, gli rivolse tre domande fondamentali, la cui risposta era decisiva per quei laici giapponesi. 1° domanda: dov’è l’immagine di Santa Maria? Alla domanda, il cuore del sacerdote si riempì di gioia. Se mi fanno questa domanda – pensò – è perché sono cattolici. Pieno di immensa felicità, egli mostrò al gruppo la statua della Santa Vergine. «Guardate – disse una donna con gioia – è proprio Santa Maria, che tiene tra le braccia il suo augusto figlio Gesù!». Sentendo questo, Padre Petitjean ebbe la certezza che la Provvidenza gli aveva inviato i cattolici che da 250 anni attendevano il ritorno dei missionari. 2° domanda: Il vostro capo è il Papa di Roma? Come si chiama? E’ lui che vi ha mandato? Il Padre rispose che Pio IX, il Papa, era il suo superiore e che era stato lui che aveva mandato i missionari francesi in Giappone. 3° domanda: Siete sposato, avete dei figli? Il Padre rispose che era volontariamente celibe, che aveva rinunciato al matrimonio come i suoi confratelli. Allora, il gruppo manifestò una gioia immensa. «Sono loro! Infine, dopo 250 anni di attesa, abbiamo ritrovato i missionari!». Da notare che le tre domande poste erano ben scelte. Infatti, se un sacerdote ama e prega la Santa Vergine, riconosce l’autorità del Papa e rimane celibe, è la prova indubitabile che egli è cattolico. Ma arrivò la polizia e il piccolo gruppo dovette uscire in tutta fretta dalla chiesa. A partire da questo storico incontro, i sacerdoti riceveranno in cristiani segretamente, la notte, per insegnare il catechismo e per prepararli alla Confessione e alla prima Comunione. Un po’ la volta, i missionari scoprirono dei villaggi interamente cattolici, che pregavano di nascosto. Una delle loro preoccupazioni fu quella di verificare la validità del Battesimo. In ogni villaggio, un uomo era incaricato di amministrare questo sacramento; era chiamato il battezzatore. La formula latina (ego te baptiso in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti) era sta trasmessa oralmente di generazione in generazione, ma era difficile per un Giapponese apprenderla a memoria e pronunciarla in latino. Un giorno, il sacerdote interrogò il battezzatore: «Con quale formula dai il Battesimo?». Il laico rispose: «Baochiso in nomine Patero, Firio e to sura Supiritsu Santo». Io lascio ai teologici il compito di dire se tale formula fosse valida o no. Tuttavia, in diversi villaggi, i missionari ritennero necessario ribattezzare tutti i cristiani sotto condizione, per sicurezza. L’anno seguente, Padre Petitjean fu nominato dal Papa Vicario Apostolico del Giappone. Fu consacrato vescovo a Hong Kong. L’apostolato si sviluppò, le conversioni al cattolicesimo si moltiplicarono. Ma ecco che si scatenò una nuova persecuzione. A Nagasaki, molti cristiani furono torturati; ma le autorità non osarono ucciderli, per timore di rappresaglie da parte delle potenze europee. Si dovette aspettare il 1873 perché il governo sopprimesse gli editti persecutori. Nel 1882, Mons, Petitjean ordinò sacerdote un diacono giapponese, il cui padre era stato torturato in sette occasioni per la sua fede. Nel 1891, Papa Leone XIII istituì l’arcivescovado di Tokio con tre vescovadi suffraganei: Nagasaki, Hakodate e Osaka. Oggi il Giappone conta solo lo 0,4% di cattolici. La Fraternità San Pio X vi ha istituito un Priorato. Il Priore è Don Walliez, belga, Suo vicario è Don Onoda, un sacerdote giapponese che ha fatto il seminario a Ecône 30 anni fa. Vi è anche una suora della Fraternità che è giapponese: suor Maria-Esperanza; che è di stanza a Ecône. Santi Martiri di Nagasaki, pregate per noi!  |