LE COLOMBE DI PAPA BERGOGLIO…
VOLANO BASSO

di L. P.





La fantasia dei registi “liturgisti” vaticani postconciliari ama descrivere gli incontri papali con una scenografia condita di tenerume e di pathos tale da suscitare epidermiche emozioni a far colpo sull’immaginazione e sul sistema neurovegetativo dei fedeli che, domenicalmente, accorrono in Piazza San Pietro. Talora accade, però, che l’epilogo del copione non si accordi col prologo  perché, o come afferma Dante “a risponder la materia è sorda” (Par. I, 129 ) o perché può succedere che il diavolo ci metta la coda o che, addirittura, Qualcuno voglia mandare un messaggio. Scegliete voi.
   
Sulla scia del defunto GP II, prossimo santo, anche papa Bergoglio, che preferisce alla solennità dei gesti, previsti e comandati dalla Liturgìa, le semplici manifestazioni domestiche, amichevoli e cameratesche, che non ama impartire la benedizione in nome della santissima Trinità ma inviare un familiare “buon pranzo”, non tralascia di esibirsi in scenette e quadretti in cui figurano bambini e bambine sicché ieri, all’Angelus di domenica 26 gennaio A. D. MMXIV, s’è affacciato alla finestra della terza loggia del Palazzo Apostolico in compagnìa di due bimbetti i quali, dopo aver letto un messaggio a nome della ACR – Azione Cattolica Romana – hanno liberato due colombe bianche, un “déjà vu”, a significare l’auspicio di pace.
   
Ciò che è successo, poi, ha fornito spunto per una riflessione che ora, se non dispiace, vogliamo girare ai lettori. Niente di eccezionale, per carità ma solo una peregrina ricognizione sull’episodio dacché i gesti, come le parole, sono “consequentia rerum”, esprimono cioè l’essenza delle cose.
Prima del lancio, prima che si librassero, dalle mani dei fanciulli, “solvendosi nell’aere aperto” (Pg. XXXI, 145 ), il Papa ha loro raccomandato di “liberarle verso il basso” poiché i volatili, due dei tanti addomesticati e tenuti in riserva per simili occasioni nel segno della pace, sarebbero rientrati, come spesso accade e come era prevedibile che accadesse nella giornata di freddo gelido, nella calda stanza papale.
   
Liberatele verso il basso”, raccomandazione che, al senso comune, suona piuttosto strana considerato che le colombe, come tutti gli alati atti al volo, tendono all’alto tale che, a mutuare questa attitudine, anche talune associazioni umane si fregiano di motti che echeggiano l’intenzione a volare o a salire oltre, come ad esempio il 3° Alpini il cui motto suona “Altius tendo” – tendo più in alto – o come la nostra Aeronautica militare che porta, sullo stemma, “Virtute siderum tenus” – con forza fino alle stelle. Ma, naturalmente, il consiglio del Papa si fondava sulla concretezza di una qualche esperienza passata.

  

Fatto si è che, non appena le due placide e miti colombe prendon l’aire, ecco improvvisamente fiondarsi e incombere un corvo e poi un gabbiano che, in unità di intenti, diciamo fraterni ed ecumenici, si lanciano famelici contro le due di cui una resta, fatalmente, vittima della voracità del gabbiano. E tutto, sotto lo sguardo allibito degli spettatori. Volavano basso, poverine, e non per loro colpa.
   
La considerazione più ovvia da fare è che, forse, sarebbe stato meglio che fossero rientrate nelle stanze vaticane piuttosto che affrontare lo spazio aperto. Ma a noi è venuto di tirar giù talune dilettevoli osservazione guarnite ora da lepidi ora da forti riferimenti nel segno di un senso morale. Intanto, il consiglio del papa – liberatele verso il basso! – ha fatto riemergere alla mente l’analoga, ma non eguale, esortazione che Dedalo indirizzava al figlio Icaro allorquando, fuggendo in volo dal Labirinto cretese, questi preso dall’entusiasmo, si ergeva in salita verso il sole. “Medio – que – ut limite curras/Icare – ait – moneo, ne si demissior ibis/unda gravet pennas, si celsior, ignis adurat/Inter utrumque vola” (Ovidio – Metamorfosi lib. VIII, 203/205) – ti consiglio, o Icaro, di correre a mezza quota perché se te ne vai troppo in basso l’acqua (del mare) ti appesantirebbe le penne, e se troppo in alto, il calore (del sole) te le brucerebbe. Vola tra i due piani.
    
Il fedele, assiduo lettore della Scrittura, potrebbe andare all’episodio dell’arcangelo Michele secondo quanto narra Giovanni (Ap. 12, 7): “Allora avvenne una guerra nel cielo. Michele e i suoi angeli, combattevano contro il dragone” solo che, nella lacrimevole  vicenda di cui si parla, chi vince è il dragone/gabbiano che abbatte a terra la colomba e la divora.
Ma è un dragone, il gabbiano o qualch’altro personaggio?


   
E che cosa vorrà dire, in termini segnici e simbolici?
Non ci si rimproveri di voler entrare nel territorio oscuro della semantica o della divinazione perché ci sembra che, da qualche tempo in qua, avvengano fenomeni del tutto naturali, certamente, ma coincidenti in momenti di particolare tensione come, ad esempio, la folgore deflagrata sul cupolone la sera dell’annuncio delle dimissioni di Benedetto XVI, il gabbiano che, in attesa dell’elezione papale di Bergoglio, stazionava sul fumaiolo della Cappella Sistina (che sia lo stesso che ieri s’è divorata la colomba?), altra folgore abbattutasi sulla mano del Redentore del brasiliano Corcovado, ed ora la colomba sbranata dal gabbiano (quello del fumaiolo?), davanti a migliaia di fedeli, in Piazza san Pietro quasi a dimostrare e a punire l’erroneità del consiglio papale (Gabbiano giustiziere).
  
Riferiamo, qui, quanto la letteratura simbolista ci dice riguardo questi uccelli.
La colomba, è notorio, rappresenta la femminilità, l’armonìa e la pace. Nell’iconologìa cristiana è il volto dello Spirito Santo, così come apparve a Giovanni nell’episodio del battesimo di Gesù;
Il corvo rappresenta il senso del mistero, lo spirito sciamanico, la magìa. In alchimìa esso esprime lo stato di putredine a cui soggiace la materia prima di avviarsi verso l’opus magnum;
Il gabbiamo simboleggia lo spirito della libertà, la tensione verso l’alto, l’intermediario tra spirito e materia.
Dunque, a dar retta al simbolismo suddetto, ci vien da pensare che il gabbiano, che uccide e divora la colomba, sia colui che punisce chi deroga dal proprio officio come quella colomba che tradisce la propria natura volando in basso. Verrebbe da pensare che il gabbiamo cancelli e denunci, col suo attacco, un falso concetto di pace, quella del mondo, quella che Gesù bollò come tale e che, oggi invece, viene spacciata come vera e degna di essere propugnata.
    
Ci sia permesso di pensare che l’episodio, al di là di quella legge naturale che legittima, in ambito animale “mors tua vita mea”, stia perciò a dimostrare come la Chiesa postconciliare sia più attenta alle cose basse, alle “cose di quaggiù”, che nel pellegrinare faticoso di questa vita preferisca la scorciatoia, che abbia addirittura perso di vista le alte mète. Il fervore con cui, ad esempio, si sta allestendo il Sinodo straordinario dell’ottobre 2014 durante il quale la Chiesa intenderà raccogliere le sfide – quante sfide, secondo papa Bergoglio! – sul divorzio, sull’omosessualità, sulla famiglia, sulla droga, questioni già discusse e liquidate dall’autorità di Cristo e degli Apostoli, all’insegna della “pastoralità”  e niente o poco sulle grandi verità teologiche, dice chiaramente che la “colomba”  vola bassa sicché il rischio di incorrere in corvi o gabbiani famelici è pressoché certo.

Si osservi: quando Gesù, dopo i quaranta giorni di digiuno e di preghiera nel deserto, venne tentato da Satana, questi, portandolo sul pinnacolo del tempio, non gli chiese di spiccare il volo, di andarsene verso l’alto, ma di gettarsi giù, “si filius Dei es, mitte te deorsum” (Mt. 4, 6) e non solo per tentare Dio ma perché Satana non potrà mai chiedere all’uomo di elevarsi, ma di precipitare “in basso”. Chi ha orecchi da intendere, intenda.
   
Noi ci limitiamo, con un mezzo sorriso, a pensarle queste cose tingendole anche con il colore della divagazione e della satira benevola. Certo, se fossimo stati uomini d’altri tempi, quali egizii, greci o romani, ci saremmo seriamente impressionati davanti ad uno spettacolo quale quello offertosi ieri, domenica 26 gennaio A. D. MMXIV, in Piazza san Pietro. La letteratura classica tenne in alta considerazione eventi simili da cui, come dai sogni, tirava oroscopi ed oracoli. Omero ci narra – Odissea XX, 297/298 <Pindemonte> - che “alla sinistra loro/un’aquila comparve altovolante/che avea colomba trepida tra l’ugne”. Ed ancora “Un’aquila volò, che bianca e grande / domestica  oca, con gli adunchi artigli / dalla corte rapìa…” (Odissea XV, 160/162), per dire che un’aquila – Ulisse, cioè – avrebbe fatto scempio dei Proci.
    
Qualcuno ricorderà che, qualche anno fa’, una cicciola attricetta di svenevoli costumi e già deputata nel Parlamento italico come rappresentante  del Partito Radicale, invitata quale madrina ad una manifestazione arcobaleno/pacifista in occasione di parate militari, coronata con un serto di fiori la testa dai sericei capelli platinati , liberò una nivea colomba la quale, meschina, volò tanto in basso da finire stritolata sotto i cingoli di un carrarmato in movimento.
Alla faccia della iridata pace! Qualcuno commentò: “Si vis pacem para bellum”.
   
E’ lecito, allora, chiederci di che tipo sia questa  pace che si vuol celebrare nelle innumerevoli manifestazioni che punteggiano lo scorrere dei giorni? Non sarebbe opportuno che gli uomini di Chiesa rammentassero, ogni tanto, sia chiaro, non sempre, che cosa pensasse Gesù della pace?. Noi ci prendiamo l’onere e l’ufficio di ricordarglielo.
Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi” (Gv. 14, 26/27).
    
Partiti dall’episodio delle colombe, vogliamo concludere con un’informazione di particolare curiosità che, oltre ad irrobustire la conoscenza in genere, chiarisce il senso di quanto detto e lo colloca nelle giuste coordinate logiche e semantiche.  Nel 2008 fu presentato, per le edizioni del CNR, una ricerca d’arte condotta da Sandro Barbagallo, dal titolo “Lo zoo sacro vaticano. Iconografia e iconologia zoomorfa nella Basilica di San Pietro”. In essa l’autore elenca 67 specie di animali, rappresentate da pitture e da sculture, che si trovano nella basilica. Il 90% è di carattere simbolico e il restante 10% di semplice decoro.
   Si contano 700 api, 470 colombe ( meno due…), 100 draghi, 38 leoni, 35 aquile, 24 serpenti, 15 agnelli, una decina di cavalli, 7 delfini, 4 cani, 3 pipistrelli, 2 lucertole, 1 gatto, 1 coccodrillo, 1 unicorno, 1 maiale.
    
Ieri, domenica 26 gennaio, A. D. MMXIV, si sono aggiunti, un gabbiano già noto  e un corvo.








gennaio 2014

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