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| Corredentrice di Don Alvaro Calderón, FSSPX Tratto dal libro La Santa Misa y la Vida Cristiana,
pagg. 64-72
Pubblicato su https://catolicosribeiraopreto.com/a-corredentora-pelo-padre-alvaro-calderon/ ![]() La Donna era annunciata fin dall’inizio, associata al Dio-Uomo, come il progetto ultimo nell’opera della creazione, di cui gli Angeli conoscevano l’intenzione ma non la sapienza che l’accompagnava, quasi un’inversione dell’ordine naturale delle cose. «Il Signore mi ha posseduta all’inizio delle sue vie, fin dal principio, prima che creasse ogni cosa. Dall’eternità sono stata stabilita, e fin dal principio, prima che la terra fosse creata» [2]. La liturgia applica alla Beata Vergine Maria quei testi che parlano della Sapienza di Dio. Se Dio ha creato il mondo, lo ha fatto con l’idea dell’Incarnazione, e in questo grande progetto era stabilito, fin dall’inizio, che il Verbo avrebbe ricevuto la sua natura umana da una Donna, che sarebbe stata quindi incoronata Regina-Madre dell’intero universo. Lucifero peccò contro di Lei, creando un’inimicizia che sarebbe stata poi risolta da Nostro Signore; San Michele lottò per Lei come capo dei santi Angeli. Solo l’opera della redenzione dell’umanità giustificava il mistero dell’Incarnazione, perché era l’unico modo in cui l’uomo poteva espiare pienamente il suo peccato. E l’unica che poteva fare del Verbo Incarnato uno di noi era la Vergine Madre. L’esecuzione di questo progetto iniziò con il privilegio unico dell’Immacolata Concezione: “Dichiariamo, pronunciamo e definiamo la dottrina che sostiene che la Beatissima Vergine Maria, nel primo istante della sua Concezione, per una grazia e privilegio singolare di Dio Onnipotente, in vista dei meriti di Gesù Cristo, Salvatore del genere umano, è stata preservata immune da ogni macchia del peccato originale; questa dottrina è stata rivelata da Dio, e quindi deve essere creduta fermamente e inviolabilmente da tutti i fedeli” [3]. Questo dogma fu definito dogmaticamente nel 1854. Sebbene i Santi Padri non abbiano mai accettato che si potesse parlare di peccato nella Santa Madre di Dio, i grandi teologi scolastici ebbero difficoltà ad accettare il privilegio dell’esenzione dal peccato originale, in primo luogo per una ragione teologica: l’universalità del dogma della Redenzione. Alcuni, infatti, volevano esentare la Beata Vergine dal peccato originale a tal punto che non avrebbe avuto bisogno di Cristo Salvatore. Nella definizione del dogma, si afferma chiaramente che ella era esente “in considerazione dei meriti di Gesù Cristo, suo Figlio e Redentore dell’umanità”. In secondo luogo, vi era una difficoltà filosofica, poiché la biologia antica era costretta a distinguere tra il momento del concepimento e quello dell’animazione, ritardando quest’ultima di alcune settimane. Come avrebbe potuto essere preservata al momento del concepimento se non ci fosse stata un’anima spirituale capace di ricevere la grazia? Questa difficoltà scomparve con il progresso della ricerca biologica e, sebbene non sia menzionata nella definizione dogmatica, si afferma semplicemente che ella fu preservata “nel primo istante del suo concepimento”. In tutti gli altri, la grazia ha agito dopo la costituzione della persona mediante il concepimento, anche in coloro che sono stati santificati nel grembo materno, come san Giovanni Battista e certamente san Giuseppe. In tutti loro, la grazia ha agito come principio di redenzione, perché li ha salvati dal dominio di Satana, e come principio di riparazione, perché ha restaurato a poco a poco le ferite lasciate dal peccato originale. Nella Beata Vergine, al contrario, la grazia santificante è intervenuta nell’istante stesso in cui la persona è stata costituita mediante il concepimento – ed è per questo che si dice: - Non fu riscattata, perché non le
mancò mai la vita della grazia, ma piuttosto preservata,
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- né dovette essere restaurata, perché la grazia non intervenne per guarire una natura ferita, ma piuttosto per preservare la natura affinché non si costituisse con un disordine interiore. L’esenzione dal peccato originale non deve essere intesa come se la Beata Vergine avesse ricevuto la stessa grazia di Eva, adornata di doni preternaturali. No, quella grazia è andata perduta e non è stata trasmessa. La Vergine riceve la grazia di Cristo, in previsione del merito della Croce, ma l’ha ricevuta nell’istante stesso del suo concepimento, essendo costituita di una natura assolutamente sana e straordinariamente dotata anche in senso umano e corporeo – la Provvidenza ha agito anche disponendo del miglior patrimonio genetico in San Gioacchino e Sant’Anna – perché doveva essere la Madre del Redentore in corpo e anima. Nata come dono a genitori anziani che, secondo antiche tradizioni, vivevano a Gerusalemme in buone condizioni, fu presentata al Tempio all’età di tre anni, rimanendovi come educanda per la sua educazione. Se Santa Teresa decise di farsi suora a due anni e mezzo, e a quattordici sentì il bisogno di lasciare l’amato padre per dedicarsi a Dio, possiamo anche considerare che la Vergine Maria percepì questo bisogno all’età di tre anni. I sacerdoti erano allora molto corrotti, così come i rabbini, ma non mancavano anime sante nel Tempio di Gerusalemme, come la profetessa Anna e il vecchio Simeone. Potevano forse non riconoscere tanta santità nel cuore di questa bambina? Anime simili si scoprono e si attraggono a vicenda. Cosa non avrebbero potuto insegnare a una piccola anima così assetata di Dio e così ardente dei doni dello Spirito Santo? Quanto avrà pensato a quella Vergine che annunciò a Isaia la Madre del Redentore, quanto amore, quanta compassione avrà provato per Colei che avrebbe offerto suo Figlio come Agnello sacrificale. Non condivise forse con Simeone la convinzione di vedere l’Unto del Signore? Sicuramente, il voto di verginità fu fatto durante i suoi anni al Tempio – fatto per associarsi alla Vergine Madre del Redentore, probabilmente chiedendo a Dio di renderla un’umile serva al Suo servizio. Come è possibile che la figlia di una ricca famiglia di Gerusalemme appaia sposata in un povero villaggio della Galilea dieci anni dopo? Deve aver perso rapidamente i suoi anziani genitori, e non c’è da stupirsi che la piccola orfana abbia perso la sua eredità per gli avidi intrighi dei sacerdoti del Tempio. Ma tali manipolazioni facevano parte del piano della Provvidenza, che le diede lo sposo più degno con la sublime missione di custodire la Vergine e il suo Dio-Bambino: San Giuseppe. Lì, nell’umile casa di Nazareth, risuonava la preghiera dei patriarchi e dei profeti dell’Antico Testamento: “Rorate caeli desuper!” – “Riversate, o cieli, dall’alto la vostra rugiada, e le nubi facciano piovere i giusti; si apra la terra, e germogli il Salvatore, e nasca la giustizia!” [4] – salendo dal Cuore purissimo e ardente della Vergine, giungerà ad accenti di urgenza a cui il Cielo non potrà resistere: «Convertici, o Dio, nostro Salvatore, e distogli da noi la tua ira. Sarai forse adirato con noi per sempre? O prolungherai la tua ira per tutte le generazioni? O Dio, volgendoti a noi, ci farai rivivere, e il tuo popolo gioirà in te. Mostraci, Signore, la tua misericordia, e donaci la tua salvezza» [5]. Giorni prima di essere ricevuto da san Giuseppe, quando il sole iniziava l’equinozio di primavera che indicava un nuovo anno, quando le ore di luce cominciavano a superare le ore di oscurità, il 25 marzo, il serafino san Gabriele, «uno dei sette spiriti che stanno davanti al Signore» [6], lo stesso che aveva comunicato al profeta Daniele il tempo della redenzione [7], rivelò dalle profondità del mistero di Dio che era l’Eletta del Cielo come Madre del Redentore, e le diede la missione di chiederne il consenso. Normalmente, solo i cori inferiori degli Angeli agiscono immediatamente tra gli uomini, in modo tale che gli angeli custodi siano sempre presi tra i cori inferiori degli Angeli e degli Arcangeli, ma prima della Regina prescelta dovrebbe avvicinarsi un ambasciatore supremo. Come era giusto che Eva fosse figlia e compagna del primo Adamo, così ora era giusto che la nuova Eva fosse compagna e Madre dell’ultimo Adamo. La Maternità di Maria doveva essere il vincolo che avrebbe unito il Redentore a noi, figli di Adamo, bisognosi di Redenzione. Il Verbo voleva redimerci facendosi uno di noi, affinché potessimo fare qualcosa di unico con Lui, associandoci all’opera della Redenzione. Ma la Redenzione non sarebbe stata gratuita, bensì attraverso la Croce, e la nostra associazione all’opera della Redenzione significava associarci al Sacrificio del Redentore. Pertanto, il Verbo non volle sposarsi con la nostra umanità senza chiedere il nostro consenso, perché ciò che ci avrebbe chiesto non era cosa da poco. E questo consenso fu chiesto alla Beata Vergine, degna rappresentante, perché sarebbe stata Regina e Madre di tutti gli eletti. Il «Fiat mihi» di Maria, «avvenga di me» [8], è il «Fiat nobis» di tutti noi: «avvenga di noi». Ella lo ha pronunciato con piena consapevolezza delle sue implicazioni, perché istruita dallo Spirito Santo sul Sacrificio del Redentore. Sapeva che quel fiat andava mantenuto ai piedi della Croce, quando la spada trafisse il suo Cuore Immacolato. Così lei, e così noi, se vogliamo essere suoi sudditi e figli. Dopo il suo consenso, lo Spirito Santo discese nel suo grembo purissimo e compì l’opera della Creazione. Egli è lo Spirito d’Amore, ed è proprio dell’amore che si comunichi, perciò Egli ha compiuto la suprema comunicazione – non solo dando l’essere a ciò che non esisteva, non solo elevando la natura spirituale a partecipazione della natura divina, ma assumendo una natura umana nella persona stessa del Verbo di Dio. È proprio dell’amore unire, e lo Spirito Santo ha unito il creato al divino, il tempo all’eternità, la giustizia alla misericordia: «Misericordia e verità si sono incontrate, giustizia e pace si sono baciate. La fedeltà è germogliata dalla terra e la giustizia si è affacciata dal Cielo. Perché il Signore donerà la Sua bontà e la nostra terra darà il suo frutto» [9]. L’amore rinnova ogni cosa, e ha concluso il vecchio affinché il Nuovo potesse iniziare: «Manderai il tuo Spirito e saranno creati, e rinnoverai la faccia della terra» [10]. La Vergine Santissima non è stata solo il Tempio vivente dove è avvenuta l’unzione del Sommo Sacerdote, ma è stata anche la Nuova Terra che, sotto la rugiada del cielo, ha portato il Frutto atteso, perché Ella non è solo il luogo dell’Incarnazione, ma anche la materia vivente, disposta dall’amore, in cui ha agito lo Spirito Santo: «Et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine». La Maternità Divina presuppone una consacrazione di tutto l’essere della Vergine Santissima, mediante la quale ella è innestata nel mistero stesso dell’Unione Ipostatica. La paternità e la maternità umane non sono il risultato di un atto puramente biologico, come nelle piante, ma di un atto propriamente umano, più spirituale che fisico. La moglie si unisce al marito nel desiderio di cooperare con Dio alla trasmissione della vita, in una donazione d’amore che continuerà con l’educazione della prole concepita. In Adamo ed Eva, l’atto del concepimento sarebbe animato dalla carità infusa, fungendo da causa strumentale nella trasmissione della grazia santificante alla prole, in modo analogo a come agisce il battesimo in relazione alla grazia di Gesù Cristo. La relazione di paternità e maternità, quindi, è una relazione umana, che risiede primariamente nello spirito e non nella pura carne. Il “Fiat” della Beata Vergine fu un consenso materno all’azione dello Spirito Santo, con il quale dispose la sua anima e il suo corpo affinché il concepimento del Verbo avvenisse in lei. I Santi Padri insistono nel chiarire che, prima di concepire il Verbo nel suo grembo purissimo, Ella lo concepì prima nel suo spirito, con un atto del tutto speciale di fede nelle parole dell’Angelo: «Beata colei che ha creduto» [11]; di speranza nella Redenzione: «Il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore» [12]; e dell’amore intensissimo con cui cominciò ad amare il suo Dio come suo Figlio: «Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome» [13]. Lo stesso intendeva il Signore quando corresse la lode fatta a sua Madre: «Mentre diceva queste cose, una donna esclamò tra la folla: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!». Egli rispose: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica!» [14]. Infatti la relazione materna che la Vergine ha con suo Figlio è una relazione il cui soggetto non è solo il corpo, ma anche (e ancor più) lo spirito, perché il suo fondamento è l’azione propriamente materna, che è più spirituale che corporea. Ora, la relazione materna termina nella persona stessa del Figlio, perché con il concepimento il Figlio ha cominciato a esistere. Pertanto, sebbene la maternità della Vergine si riferisca alla natura umana assunta dal Figlio, essa termina tuttavia nella persona stessa del Verbo che la assume. Ciò deve essere inteso in modo molto stretto. È vero che, sebbene Gesù Cristo sia veramente figlio di Maria, la sua filiazione umana nei confronti di lei non è propriamente una relazione reale, perché una Persona divina non ammette relazioni reali con le sue creature – poiché esse presumerebbero una modificazione accidentale che la semplicità divina non consente [15]. Da ciò consegue che la maternità della Vergine si dice divina in senso stretto, in quanto ha concepito la persona divina del Verbo; si dice anche divina in un certo aspetto, in quanto la carne e il sangue che le furono presi per conformare il corpo del Figlio finirono per essere assunti dal Verbo, in una condizione che era in un certo modo divina, come abbiamo detto sopra. Come la materia presa dalla Vergine si esaurisce nella condizione di purezza cristallizzata implicita nel corpo assunto di Gesù Cristo, che – come abbiamo detto – può esistere in questa condizione solo ricevendo l’essere dal Verbo stesso di Dio –, lo stesso si deve dire della Maternità della Vergine, non di tutto il suo essere, ma solo della sua relazione di Madre di Gesù Cristo: è una Maternità assunta, appartenente all’ordine ipostatico, che non cessa di essere umana, ma che ha una condizione di purezza cristallizzata che non potrebbe verificarsi ed esistere in nessuna semplice donna – che esiste in lei solo attraverso la sua relazione con il Verbo divino. Per questo, san Tommaso d’Aquino giunge ad affermare che «sia l’umanità di Cristo, per l’essere unita a Dio, sia la beatitudine creata, per essere godimento di Dio, sia la Beata Vergine, per essere Madre di Dio, hanno una certa dignità infinita, a causa del bene infinito che è Dio. E sotto questo aspetto, nulla si può fare di meglio di loro, così come nulla si può fare di meglio di Dio» [16]. Questa condizione della Maternità della Vergine ha una proprietà e due conseguenze. La proprietà che presenta, e che ci interessa particolarmente, è la sua permanenza. Così come è stata portata all’esistenza non dall’atto umano di essere proprio della Vergine – stiamo usando un linguaggio tomistico – ma dal Verbo divino stesso come principio di esistenza dell’unione ipostatica, così essa esiste finché esiste l’unione ipostatica, cioè per tutta l'eternità. Poiché la relazione materna di una madre umana si perde quando il suo bambino muore, perché il concepito cessa di esistere, l’anima del suo bambino non è propriamente una persona. Ma la Maternità della Vergine non è andata perduta prima della morte del Figlio sulla Croce, perché il concepito non ha cessato di esistere, e sia il corpo che l’anima di Gesù Cristo sono rimasti ipostaticamente uniti al Verbo di Dio. Ella continuò ad essere la Madre della Vittima offerta, la Madre del Corpo divino che tenne tra le braccia quando fu deposto dalla Croce, e la Madre dell’Anima divina che discese agli inferi per comunicare la vita eterna ai Giusti dell’Antico Testamento. E come la Beata Vergine conservò il suo diritto materno verso la Vittima della Croce, lo conserva verso la Vittima degli altari, dove Corpo e Sangue sono separati in modo incruento. Oltre a questa proprietà, la Maternità divina ha – come abbiamo detto – due conseguenze, che corrispondono a quelle che abbiamo indicato per l’umanità di Gesù Cristo mediante il fatto dell’Assunzione. In primo luogo, essa è salita a una condizione superiore alla pienezza di grazia che la Vergine ebbe attraverso l’Immacolata Concezione. La Maternità della Vergine, come abbiamo detto, fu mossa principalmente da atti eccellenti di fede, speranza e carità, e la condizione di Assunzione ipostatica che ella acquisì per opera dello Spirito Santo, cioè la purezza cristallina, le conferì, come per riflusso, una fermezza e una forza uniche a tutto l’organismo soprannaturale della Vergine, alla sua grazia santificante e alle sue virtù e doni infusi. Era simile a quanto avviene con i battezzati grazie al carattere battesimale, che è anch’esso – come diremo – una realtà che appartiene all’ordine ipostatico. Simile, ma di gran lunga superiore, perché il rapporto di Maternità rispetto al Redentore è di gran lunga superiore a quello che possiamo avere di partecipazione al Sacerdozio attraverso il carattere battesimale. Nel momento stesso del concepimento del Verbo, subito dopo il "Fiat" della Vergine, la pienezza di grazia dell’Immacolata Concezione ricevette un’espansione quasi infinita, poiché Ella passò dall’essere, sì, la più santa delle creature di Dio, all’essere la Madre del Redentore. A una nuova pienezza corrisponde un nuovo ufficio, ma all’ufficio divino di essere Madre di Dio corrisponde una pienezza di grazia divinamente maggiore, che può essere spiegata solo dalla nuova disposizione prodotta in Lei dalla sua divina Maternità. E la seconda conseguenza, che corrisponde alla strumentalità che l’umanità di Cristo può assumere essendo unita ipostaticamente al Verbo, è la condizione di cooperatrice del Redentore che la relazione di Maternità ha concesso alla Beata Vergine, cioè la sua condizione di Corredentrice e Mediatrice di tutte le grazie. Abbiamo detto che quanto più lo strumento o il ministro è unito all’agente principale, tanto più elevate possono essere le operazioni per cui può essere utilizzato da quell’agente principale. Ora, dopo la natura umana stessa di Cristo, nulla era più unito al Verbo di sua Madre. Poiché la madre ha un diritto sul figlio, come la terra sul suo frutto, e data la permanenza di questa relazione materna della Madre con il Figlio, nulla può togliere questo diritto materno. Se la morte stessa non avesse avuto successo, non avrebbe potuto farlo nemmeno il matrimonio che Nostro Signore avrebbe celebrato con la Chiesa. Perché sebbene Dio avesse dato come legge che un uomo lasciasse il padre e la madre per unirsi alla moglie, questa legge non si applicava a Lei. Gesù Cristo avrebbe sposato la Chiesa, ma il consenso reciproco che avrebbe suggellato tale unione dipendeva, o meglio, consisteva – come abbiamo detto – nel “Fiat” della Vergine. La libera accettazione della sua Maternità era la condizione della Redenzione, perché da essa dipendeva il legame tra il Redentore e i redenti, e quindi la decisione stessa dell’Incarnazione. Pertanto, né la morte sacrificale né le nozze redentrici con la Chiesa potevano separare la Madre da suo Figlio. Gesù Cristo Le apparteneva, ed era Sua responsabilità consegnarLo, o meno, all’immolazione della Croce, proprio come Isacco apparteneva ad Abramo, e Dio chiese ad Abramo di immolarlo, e il merito di quel sacrificio apparteneva sia a Isacco, che obbedì, sia ad Abramo, che lo liberò. Era compito della Beata Vergine scatenare l’Ora della Passione. Quando chiese a suo Figlio un miracolo a Cana, proprio durante uno sposalizio, Gesù Cristo rispose che la Sua ora non era ancora giunta, perché sarebbe bastato che la Luce risplendesse con lo splendore dei Suoi miracoli perché le tenebre si voltassero e la crocifiggessero. E Lei iniziò quell’ora spingendolo al miracolo: era il Suo ruolo di Madre. Ed Ella sarà lì, ai piedi della Croce, a consumare il sacrificio nel Suo ufficio di Corredentrice. In quanto Donna, non aveva diritto all’ufficio sacerdotale, come Abramo, che avrebbe sacrificato Isacco con le proprie mani, ma in quanto Madre [di Maternità divina] nessuno poteva togliere la vita a suo Figlio senza il suo consenso. Ciò che Gesù disse della propria vita poteva essere detto anche dalla Beata Vergine Maria: «Nessuno me la toglie; io la do volontariamente; ho il potere di darla e il potere di riprenderla; questo è l’ordine che ho ricevuto dal Padre». E nessuno poteva togliere la vita a suo Figlio senza togliere la sua, perché Egli era l’anima della sua anima, e formavano un’unica Vittima. Corredentrice con il Redentore, ella era anche necessariamente Mediatrice di tutte le grazie con «l’unico mediatore tra Dio e gli uomini, che è Gesù Cristo uomo» [17]. Nessuno, infatti, può entrare nel regno della salvezza senza associarsi al consenso materno della Beata Vergine, al suo «Fiat». Dio non farà nulla in me se non dico con Lei «avvenga di me secondo la tua parola». Come diremo più avanti, non possiamo essere oggetto di Redenzione senza appartenere a Gesù Cristo come membro del suo Capo, e la madre non è solo madre del capo, per quanto sia ciò che viene prima. Gioiosissima diede alla luce a Betlemme il Capo del Corpo mistico, e addoloratissima terminò di dare alla luce il Corpo sul Calvario: «A Sua Madre disse: Donna, ecco il tuo Figlio. Poi disse al discepolo: Ecco la tua Madre» (18). Il Cuore Immacolato di Maria è il regno della Redenzione, è il Tempio della Nuova Gerusalemme, l’unico luogo dove si può trovare il Redentore, Ella è Madre della Chiesa e in un certo modo si identifica con la Chiesa; fuori di Lei non c’è salvezza: “Extra Mariam nulla salus”. Non c’è quindi grazia che possa passare da Gesù Cristo agli uomini che non passi attraverso la sua mediazione materna. NOTE 1 – Apoc 12, 1. 2 – Prov. 8, 22-23. 3 - Papa Pio IX, Bolla Ineffabilis Deus, 8 dicembre 1854. 4 – Is. 45, 8. 5 – Sl. 84, 4-7. 6 – Tb. 12, 15. 7 – Dn. 9, 21. 8 – Lc. 1, 38. 9 – Sl. 84, 11-13. 10 – Sl. 103, 30. 11 – Lc. 1, 45. 12 – Lc. 1, 47. 13 – Lc. 1, 49. 14 – Lc. 11, 27-28. 15 – Non spiegheremo in dettaglio. Si veda San Tommaso, Somma Teologica, III, q. 35, a 5. 16 – San Tommaso, Somma Teologica, I, q. 25, a 6 ad 4. 17 – I Tim. 2, 5. 18 – Gv. 19, 26-27. |