LA QUESTIONE DEL FILIOQUE,

OVVERO

LA DISLOCAZIONE DELLA
DIVINA MONOTRIADE



di Romano Amerio


Riceviamo e volentieri pubblichiamo
il seguente intervento redatto dal Prof. Romano Amerio
e letto per suo conto dal Prof. Enrico Maria Radaelli nel 1995

enricomariaradaelli.it





Il Prof. Romano Amerio e il Prof. Enrico Maria Radaelli



Presentazione del Prof. Enrico Maria Radaelli

Propongo La questione del Filioque, una conferenza che tenni nel 1995 a Velletri per conto di Romano Amerio, che non poteva più muoversi da Lugano,
e che poi fu pubblicata come inedito da Fede e Cultura quando pubblicò la Conferenza su Romano Amerio tenuta ad Ancona nel 2007.
 
Il Filioque è un dogma evangelico, e nessun Papa può toglierlo dal Credo, cioè dalla dottrina della fede, ma in primis, per farlo, il Papa dovrebbe enunciare la cosa al massimo livello di entelechia a lui e solo a lui consentito, la Locutio ex cathedra; in secundis, lui è un antipapa, e, come dimostro nelle pagine finali dell’edizione definitiva del mio libro, un antipapa non potrà mai utilizzare tale Locutio

Testo dell'intervento


Il principio trinitario riconosciuto dalla nostra fede

La celebrazione indiscreta che la Chiesa e la teologia ammodernata fanno dell’amore è una perversione del dogma trinitario, perché la nostra fede porta che in principio sia il Padre, il Padre genera il Figlio, che è il Verbo, e, dal Padre e dal Figlio, si genera lo Spirito Santo, che è l’amore (Concilio di Firenze, Bolla Lætantur cœli et exultet terra). L’amore è preceduto dal Verbo, è preceduto dalla cognizione, e non si può fare dell’amore un assoluto: facendone un assoluto si cade nell’errore degli Orientali, che non accettano il Filioque del nostro Credo.

Gli Orientali dicono che lo Spirito Santo procede dal Padre ma non dal Figlio, mentre la fede cattolica dice che l’amore procede dal Padre e dal Figlio. Difatti l’amore procede dalla conoscenza. Quando si dice che l’amore non procede dalla conoscenza si fa dell’amore un valore senza precedenti, invece c’è un valore che precede l’amore ed è la conoscenza. Quindi questo avvaloramento indiscreto dell’amore implica una distorsione del dogma trinitario.

Bisogna dire che lo sviluppo dogmatico della Chiesa nei primi secoli fu fortemente influenzato dalle ragioni politiche: a un certo momento tutta la cristianità era ariana, perché c’erano imperatori che sostenevano gli ariani; poi, quasi improvvisamente, la cristianità tornò al dogma trinitario corretto.

Perché? Perché le opinioni degli imperatori erano mutate. In tutto lo svolgimento dottrinale c’è un grandissimo influsso politico; del resto: erano gli imperatori che convocavano i concilii; non sottoscrivevano, perché non facevano parte del concilio; ma erano loro che ordinavano la convocazione, il trasferimento, la chiusura del concilio.


Storicità e dogmaticità del Filioque

E quindi, che per la prima volta il Filioque appaia a Gerusalemme in una certa comunità monastica, non mi fa alcuna impressione, perché il movimento progressivo del dogma è un fatto storico: per secoli e secoli certi dogmi della Chiesa furono impugnati da certe correnti teologiche; per secoli e secoli ci furono correnti teologiche importanti che negavano l’Immacolata Concezione.


Esempio di chiarificazione del dogma nella storia: l’Immacolata Concezione

San Tommaso medesimo nega l’Immacolata Concezione, perché i teologi ortodossi dicono che la santa Vergine non aveva neanche “il debito” del peccato. Invece alcuni di questi sostenevano: non ebbe il peccato originale ma aveva il debito del peccato originale, e questo dissenso tra maculatisti e immaculatisti durò per secoli. San Tommaso era tra i maculatisti; i Domenicani in genere erano contro l’Immacolata Concezione, i Francescani erano pro: il grande maestro francescano che difese l’Immacolata Concezione è Duns Scoto, di poco susseguente a san Tommaso.

Non bisogna stupire, perché il dato di fede è dato all’intelletto e la vita dell’intelletto è questo progresso. Bisogna però che questo progresso avvenga dentro i limiti del dato di fede.


La chiarificazione del dogma e gli Apostoli

Credo, nel mio Iota unum, di aver fatto questa osservazione: noi, cristiani del secolo XX, ne sappiamo molto di più di quello che sapessero gli Apostoli, (1) perché, ad esempio, gli Apostoli non sapevano niente dell’Immacolata Concezione: perché il dogma procede non perché muti sostanza, non perché ad un certo momento dica una cosa e in un momento ulteriore ne dica un’altra, ma perché quella medesima cosa la dice più chiaramente, la intende più determinatamente.

Questo del Filioque, che sembra un teorema di astratta teologia, è un atteggiamento formidabilmente pratico, perché il mondo è pervaso dall’idea che il valore vero sia l’azione, il dinamismo.

Al contrario, sostituendo così, però fallacemente, la priorità della cognizione con quella dell’amore, si cade facilmente in un irenismo che vuole abbracciare ogni dottrina, ogni religione; questo abbraccio è possibile in quanto si prescinde dal Verbo, che è una verità, che è una legge.

I nazisti erano contro il Filioque, i comunisti sono contro il Filioque; e il dinamismo moderno, che pone il valore soltanto nell’azione, nell’entusiasmo, nell’impeto, non vuole il Filioque. Quando parlo dell’azione ho in mente l’enorme fenomeno del dinamismo, del tecnicismo, che è caratteristico del mondo moderno. I comunisti non sostengono il Filioque perché ripudiano la ragione: il comunismo è un sistema che maneggia l’uomo senza aver riguardo alla natura dell’uomo: ora, la natura dell’uomo è qualche cosa che si legge con la ragione. L’azione, in questi sistemi totalitari – nazismo e bolscevismo – non ha alcuna legge al di fuori di quella dell’azione stessa: perché ripudia il Filioque. Essi dicono: l’azione, l’amore, sono un valore che precede tutto; non “procede”, ma soltanto “precede”.

E se l’amore – per converso – “procede”, c’è qualcosa da cui esso procede e da cui riceve legge, riceve ordine. Quindi il Filioque è una questione intrinseca al problema del totalitarismo.

Mi ricordo che c’è un’affermazione di Paolo VI, che io devo anche aver citato nel mio Iota unum: (2) Paolo VI, ha un certo momento, ha detto: « Noi siamo i soli a difendere il potere della ragione ». Quando la Chiesa cattolica difende la legge naturale, difende la ragione. I veri razionalisti sono gli uomini di Chiesa [allorché difendono la legge naturale, n. d. c.], perché pongono la ragione, cioè il Verbo, in fondo a ogni cosa e a principio di ogni cosa. Il pensiero moderno invece mette l’amore, mette una forza che non ha in sé nessuna direzione e nessuna destinazione, perché l’amore crea i figli dell’amore.

Il pensiero moderno è un’implicita negazione della ragione: questo lo si vede  anche nell’imponente fenomeno della politica. Quali sono gli Stati che regolano la politica sulla ragione, o sulle ragioni? Gli Stati emanano delle ordinazioni a cui soggiace la vita umana; ma il motivo, la giustificazione di queste ordinazioni è l’ordinazione in sé. Tutta la nostra politica è un sistema di negazione della ragione, un sistema che nega che vi sia qualcosa di anteriore all’amore, alla volontà, alla forza dell’azione, perché è lo Stato che dà a se stesso il proprio destino e ogni destino che l’amore dà a se stesso è un destino plausibile, è un destino che diventa dovere. Non perché ci sia un riferimento al Verbo, ma perché c’è un riferimento alla forza dello Stato, alla forza dell’amore.


Goethe e la questione del Filioque

E poi c’è, definitivo, l’asserto dell’Evangelo di san Giovanni: « In Principio erat Verbum ». E, nel Faust di Goethe, c’è una scena in cui il dottor Faust sta leggendo la Bibbia e trova: « In Principio era il Verbo », e dice: « No, non può essere il Verbo! Ma: ‘In Principio era l’Azione! ». Il dottor Faust di Goethe rifiuta il Filioque. Questa è una scena molto significativa del Faust, e qui è proprio affermato il principio moderno del dinamismo, dell’impeto, del moto, della filantropia, questa carità orbata della ragione a cui è ordinata.


L’aberrazione a cui può portare la dislocazione del Filioque

C’è una dichiarazione, riportata anche nel punto 439 del mio terzo Zibaldone (3) di Pires, un vescovo americano a Verona; questo vescovo pronunziò questo giudizio: «La prostituzione è una missione d’amore presso i poveri, è un servizio di carità; e una suora, in certe circostanze, la deve preferire alla sua missione religiosa». Una suora può prostituirsi purché si prostituisca per carità, perché non c’è nulla che precede l’amore: l’amore è il primo e l’ultimo.

Vorrei quasi dire che al fondo del problema moderno c’è il Filioque, perché chi nega il Filioque concede il primato, indiscreto e assoluto, all’amore: l’amore non ha limiti, non ha remore; qualunque azione tu faccia “con amore”, quell’azione è buona.


I vescovi olandesi e la sodomia

Era, del resto, l’argomento dei teologi olandesi che, nel ’64-65 [del secolo scorso, n. d. c.], predicavano la bontà dell’unione sodomitica. Ci fu un grandissimo movimento, in Olanda, per avvalorare la sodomia: «La sodomia non è un atto contro natura, non è un peccato gravissimo che sta tra i quattro peccati che gridano vendetta davanti a Dio, no: la sodomia è uno dei modi in cui si esprime l’amore», e, come io ho scritto nel mio Iota (4), gli olandesi arrivano al punto di celebrare i matrimoni tra omossessuali creando un rito proprio per la Messa di questi “matrimoni”; hanno creato una Missa pro omophilis. Missa che si legge nel bollettino della famosa Commissione per la riforma liturgica. In un numero del bollettino monsignor Bugnini parlava di questa Missa con orrore, in termini spaventati, in termini di abominio.


La pretesa della volontà di essere indipendente dalla conoscenza

Separare l’amore, la carità, dalla verità, non è cattolico. Si dice che il “volere” non dipende dal “conoscere”, ma che è un valore in sé, è l’azione per l’azione. E questo si vede anche nella teleologia, perché si dice che l’azione vale per se stessa: le azioni non varrebbero per il fine per cui sono fatte, quello che vale è l’azione per se stessa, cioè l’azione separata da ogni principio razionale: lo Spirito Santo senza il Verbo.

È un nuovo accanimento contro il Cristo, appunto perché il Cristo è la Ragione: il Cristo è la Ragione divina che, incarnata, è una individua persona storica; il Cristo è la Ragione divina incarnata individuata.

Le cose che sembrano più astratte, più staccate dalla vita, sono le cose che si trovano proprio nel cuore della vita.

Se si dice che l’azione vale per se stessa, che l’amore non ha nessuna regola, nessun precetto e nessuna precedenza, si tocca il punto più intimo della nostra esperienza umana, perché noi viviamo per una verità, questa: il fine dell’uomo, secondo il nostro catechismo, è di «conoscere e amare Dio». Ma prima c’è “il conoscere” e poi c’è “l’amare”, ma il godimento in cosa consiste? In una intellezione, in una visione; alla quale visione solo segue l’atto d’amore.

La carità che i beati hanno nella beatitudine del Cielo è l’effetto della visione, e in loro la carità cresce quanto cresce la visione. La carità, l’ardore dei beati, è proporzionale alla visione intellettiva, conoscitiva. Questa visione, poi, cresce per un lume soprannaturale, il lumen gloriæ. Quindi, secondo la teologia cattolica, in specie in san Tommaso, la nostra beatitudine è commisurata alla nostra conoscenza: Dio avvalora, innanzitutto, la nostra conoscenza e questa conoscenza, così avvalorata, si infiamma naturalmente.


Dante e la dottrina ortodossa: i beati prima vedono, poi ardono del veduto

Questa dottrina classica, nella teologia cattolica, è stupendamente esposta da Dante in un canto del Paradiso, il XIV: «Quando la carne, gloriosa e santa, sia rivestita, la nostra persona più lieta sia, per esser tutta quanta; perché s’accrescerà ciò che ne dona di gratuito lume – conoscenza – il sommo Bene, lume che, a Lui veder, me condiziona ». È quello che i teologi chiamano lume di gloria: è un’aggiunta di conoscenza e di potenza conoscitiva, al di sopra della natura.
Ma poi si dice: «Perché la visione crescer conviene. E alla visione l’ardor s’accende ». Cioè: l’ardore, la ca-rità, l’amore, si accende a seconda della visione. La visione dell’essenza divina è condizionata dal lume di gloria e quanto più cresce il lume di gloria, tanto più cresce la visione e conseguentemente tanto più cresce la carità: la carità è in stretta dipendenza dalla visione, dalla conoscenza.


Se lo Spirito Santo precedesse il Verbo la divina Monotriade sarebbe distrutta

La questione del Filioque è la radice, e questa inappropriata celebrazione dell’amore è una implicita distruzione del dogma della divina Monotriade: lo Spirito Santo in tal modo non procede dal Verbo , ma lo precede, anzi: precede tutto. Questa opinione è diventata tanto popolare perché oggi non si dice
«L’azione è buona se è conforme alla regola del Verbo»; ma si dice:
«L’azione è buona se è fatta con amore». Anche nella vita odierna noi pecchiamo quando “vogliamo”, atto volitivo, senza consultare la regola della conoscenza; noi diciamo: «Prima il volere poi il sapere», sovvertendo l’ordine delle processioni.

Io credo che nella fede cattolica lo Spirito Santo abbia sempre “proceduto”: difatti, nell’Evangelo, è il Verbo che dice «Vi manderò lo Spirito Santo ». È il Cristo, è il Verbo, è la Seconda Persona che annuncia: «Vi manderò lo Spirito Santo, il quale vi insegnerà ogni vero» (5). E, dopo la resurrezione del Signore, gli Apostoli aspettano lo Spirito Santo che è stato promesso dal Cristo e che è nato dal Cristo. Non è che lo Spirito Santo venga, proceda, dal Padre. No: lo Spirito Santo è mandato alla Chiesa dal Verbo.

Anche riguardo alle teorie teologiche del cardinal Martini, espresse nelle sue interviste al «Sunday Times » e ad Alain Elkann (6), il fondo degli errori è sempre il medesimo: “La nostra religione non è ancorata nel Verbo, la nostra religione è fondata sull’amore”. Egli pone un’equipollenza tra tutte le religioni perché tutte le religioni, e tutte le dottrine, tutte le eresie, giovano a sviluppare e a mantenere nel genere umano il senso religioso; e il senso si trova egualmente bene nella Chiesa cattolica, nella confessione protestante, nel buddismo e nell’islam.

Il senso è questo: la religione cattolica ha perduto la sua peculiarità, è pareggiata a ogni altra religione, perché tutte le religioni assolvono a questo compito primario che è il senso religioso: l’unica cosa che conta è la tensione verso Dio.

A questa stregua, l’essere più religioso è satana, perché satana aveva una tensione massima verso la divinità: voleva essere Dio! Ora, una tensione maggiore di quella di una creatura che vuole essere Dio non si può immaginare. Il diavolo, poi, non solo viveva questa tensione scardinata, ma la suggerisce ai Progenitori: «Voi sarete come dèi» (7).

Quindi, quando si dice che la nostra religione “è una tensione verso Dio”, si dice una cosa sbagliata, si raccoglie il suggerimento di satana, vòlto ad annientare il Cristo, sola ragione di ogni tensione. L’importante non sarebbe la dottrina, ma questa tensione, questo dinamismo spirituale; e questa teoria l’aveva già sviluppata in alcuni articoli de « L’Osservatore Romano » monsignor Rossano; io, nel mio Iota unum, li esamino e li critico diligentemente (8).

Monsignor Rossano sosteneva questa tesi: che anche nelle altre religioni c’è questa tensione verso la divinità che è il fondo della nostra religione e di qualunque religione. Queste tendenze sono state sanzionate dall’avvenimento di Assisi del 1986 (9). Il falso ecumenismo insegna che la religione è in tutte le religioni, con ciò determinando l’annientamento della verità.

Questo è tutto. Non è tutto ciò che andrebbe detto sulla questione, intorno alla quale gira tutta la vita umana, ma è tutto ciò che posso dire io nelle circostanze in cui mi trovo, in cui sto discendendo verso la fine della mia vita.


NOTE

1 - Questa convinzione si trova nel libro due volte, v. ROMANO AMERIO,
Iota unum… cit., la prima volta a p. 190, nota 13: « Non accedo infatti
al la sentenza inverisimile secondo la quale gli Apostoli conoscevano perfettamente le verità di fede poi gradualmente riconosciute, ma non le manifestarono»; la seconda in: IBIDEM, p. 594: «L’intelligenza della fede si perfeziona e il cristiano del secolo XX ha della verità una cognizione più grande che non avessero gli Apostoli medesimi e la Chiesa primitiva»; l’impostazione del Luganese nasconde un errore confutato da san Tommaso, v. ENRICO MARIA RADAELLI, Romano Amerio… cit., pp. 177 segg, da: «Il secondo punto… »; in sintesi: la chiarificazione del dogma può essere e spesso effettivamente è progressiva, ma la sua conoscienza, se pur sintetica e forse anche implicita, è già tutta nella sua origine, così come fu data e la ricevettero gli Apostoli.
2 - ROMANO AMERIO, Iota Unum… cit., p. 297.
3 - IDEM, Zibaldone (in sei voll.), Edizioni del Cantonetto, Lugano,
1990-1996, vol. III, Aforisma 439, pp. 65-66.
4 - IDEM, Iota Unum… cit., p. 357.
5 - Ioan., XVI, 13.
6 - CARLO MARIA MARTINI - ALAIN ELKANN, Cambiare il cuore, Bompiani, Milano, 2005.
7 - Gen. III, 5.
8 - Cfr. ROMANO AMERIO, Iota Unum… cit., pp. 475-76.
9 - L’Autore si riferisce alla riunione ecumenica e interreligiosa promossa
da Papa Giovanni Paolo II ad Assisi nel 1986, la prima di altre
analoghe adunanze svoltesi da allora a oggi, a cui aderirono con grande
pompa tutti i capi di tutte le religioni storiche della terra.






novembre  2025
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