Leone è un uomo grigio?


di El Wanderer


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Con questo titolo non intendo screditare Papa Leone, sebbene il termine “grigio” possa avere questa connotazione per alcuni, e ancor meno intendo applicargli la profezia di Parravicini. Semplicemente tento una caratterizzazione del Sommo Pontefice, per quanto provvisoria e imperfetta, dopo solo alcuni mesi del suo ministero petrino.

Giovanni Paolo II fu un Papa intelligente, con una enorme capacità dirigenziale e doti di comando.
Benedetto XVI fu intellettualmente brillante, ma con poche doti di comando, il che rese inefficaci molte delle misure da lui adottate e gli impedì di adottarne molte altre che sapeva che erano necessarie.
Francesco non fu intelligente né possedeva doti di comando, né carisma. La sua più grande “virtù” fu l’astuzia, potenziata dalla sua formazione nella Compagnia di Gesù e dal suo sangue portegno, con cui riuscì a raggiungere la sua posizione e a rimanervi, esercitando come un piccolo tiranno il potere delle Chiavi.

Leone XIV, per quanto posso osservare, non possiede nessuna delle caratteristiche dei Papi precedenti. Sarebbe quindi un uomo grigio?
Non è un uomo particolarmente dotato intellettualmente (lo dicono i suoi confratelli) e non è carismatico, ma piuttosto mediocre, o addirittura un po’ insipido. Questo non sarebbe particolarmente grave; lo sarebbe se gli mancassero le doti di comando. E sembra che non sia il caso. Fu Provinciale e per dodici anni Generale del suo Ordine, nonché vescovo. Cioè ha esercitato il governo per molto tempo, e sebbene molti potrebbero dire che lo ha fatto in ambiti molto ristretti della Chiesa, è certo che questo è stato il caso della maggior parte dei Pontefici romani, che hanno imparato a governare la Chiesa man mano che hanno esercitato il loro incarico.

Vediamo alcuni casi recenti: Leone non ha esitato ad adottare misure dure e molto politicamente scorrette negli ambienti vaticani: ha espulso dalla Segreteria di Stato, rinviandolo alla sua diocesi d’origine, un sacerdote problematico e con notevole influenza, senza prima farlo vescovo, che è la pratica abituale.
Ha nominato vescovo di Chillán (Cile), una diocesi insignificante, Mons. Andrés Gabriel Ferrada Moreira, che era Segretario del Dicastero per il Clero e di fatto il capo, dato che il Prefetto, un cardinale coreano è del tutto incompetente. Ferrada era un uomo pericoloso, un fervente bergogliano che credeva di avere assicurato il cammino verso la porpora cardinalizia e invece terminerà la sua carriera vendendo le famose salsicce di Chillán.

Per altro verso, e come stanno riportando alcuni media, le nomine di secondo e terzo livello nella Segreteria di Stato e in altri Dicasteri, sembrano rinnovare salutarmente l’atmosfera mafiosa della Curia, così dannosa e così tipicamente italiana.
Mi riferisco ad Anthony Onyemucho Epko, nigeriano, nominato consigliere, un posto chiave nella Segreteria di Stato con la novità che Padre Epko era estraneo alla Segreteria.
Poi Padre Mihăiţă Blaj, della Romania, è stato nominato sottosegretario per gli Affari Esteri della Segreteria di Stato; Mons. Jozef Barlaš, slovacco, sottosegretario del Dicastero per lo Sviluppo Umano (il cui Prefetto, il dannoso cardinale gesuita Czerny, lascerà l’incarico fra poche settimane); Padre Edward Daniang Daleng, agostiniano e nigeriano, vicereggente della Casa Pontificia (a breve si prevede il cambio del Reggente e il ritorno della figura del Prefetto), e sarebbe prossima la nomina di un nuovo maestro delle cerimonie, dato che l’attuale, Ravelli, del tutto incapace, è più vicino alle “sensibilità” liturgiche di Francesco, più che con quelle di leone, ed è assurdo che un arcivescovo faccia il chierichetto.
E’ facile comprendere che si tratta di cambiamenti importanti perché nelle grandi organizzazioni burocratiche, abitualmente i sergenti e i luogotenenti, non i colonnelli, a gestire in ultima analisi il meccanismo.
E sembrerebbe - e sottolineo il condizionale – che i cambiamenti siano per il meglio: per smantellare a poco a poco e silenziosamente le dannose cordate della Curia. Vedremo.

Altro fatto dal forte valore simbolico e che i media hanno opportunamente taciuto, è che pochi giorni fa, Leone XIV ha ricevuto in udienza privata la nota ed influente teologa austriaca Katharina Westerhorstmann, conservatrice e molto critica della deriva bergogliana, che, non solo non è mai stata ricevuta da Francesco, ma non è stata nemmeno ascoltata, nonostante le voci che si erano levate da parte dei sinodali: le è stato negato di parlare durante una di queste assemblee alla quale non era stata invitata.

Tuttavia, è venuta fuori una questione che ritengo molto pericolosa.
Era prevedibile che nei primi mesi di pontificato, Leone si riferisse con frequenza al suo predecessore in termini elogiativi. Il problema è che sono passati diversi mesi e lui continua a farlo, e io temo molto che, a causa dell’ingenuità propria degli Americani, Papa Prevost abbia finito col credere a Bergoglio. I sacerdoti e i vescovi argentini, per la maggior parte, fingevano di credergli e ripetevano i suoi mantra, ma in queste pampas del Sud lo conoscevamo e sapevamo che i suoi erano solo retoriche pontificie, cioè parole ed iniziative vuote destinate solo a confondere ed a perpetuare il suo incarico. Prevost, invece, innocentemente crede a queste politiche di cartapesta, facili da plasmare e da bruciare, e le porta avanti. Se consideriamo solo le notizie di questa settimana, sappiamo che gli ultimi documenti emanati dal Dicastero per la Dottrina della Fede che hanno causato tanti problemi, erano stati preparati durante il precedente pontificato. Perché Leone non li ha bloccati? Sicuramente per rispetto dell’eredità di Francesco. Qualcosa di simile potrebbe essere accaduto con la nomina del cardinale polacco Grzegorz Ryś, bergogliano, sinodale e ultraprogressista per i suoi colleghi, quantunque in Occidente possa passare come conservatore, come vescovo di Cracovia, la sede più importante del paese.

Inoltre, vale la pena chiedersi se Leone avrà l’abilità sufficiente per gestire, quando la questione riemergerà, l’accusa di aver coperto un sacerdote peruviano, a lui vicino, che ha commesso abusi sessuali su minori e a cui, curiosamente, è sta concessa la dispensa dallo stato clericale solo pochi giorni fa, dopo la presentazione della denuncia alle autorità canoniche. Questa dispensa arriva senza indagini, senza chiarire i fatti, senza la verità. Semplicemente, gli viene concessa la grazia e il caso è chiuso, come se niente fosse accaduto, mentre il delitto è stato prescritto dalla giustizia peruviana. E se ci fosse stato un insabbiamento nessuno lo saprà mai. E’ tutto molto oscuro.
E rimanendo nel Perù, come si comporterà di fronte all’accusa secondo la quale Mons. Jordi Bertomeu, che ha gestito il caso del Sodalicio de Vida Cristiana, avrebbe ricattato questa istituzione per conto della Segreteria di Stato, chiedendo ingenti somme di denaro in cambio della mancata denuncia all’FBI per riciclaggio di denaro.

Si tratta di questioni irrisolte che stanno sporcando, e molto gravemente, la figura pontificia.  

Ma voglio segnalare quello che è, secondo me, il caso più grave di questa – fingiamo ignoranza per un momento – ingenuità: il famoso “sinodo sulla sinodalità” iniziato nel 2021 e che avrebbe dovuto terminare nel 2023. Quando Francesco si rese conto che, a causa di questa iniziativa insensata, avrebbe dovuto firmare dei documenti e prendere decisioni che non gli interessavano, decise che il sinodo si sarebbe concluso nel 2028, sperando di essere già morto per quella data. Bergoglio non ha mai creduto nella “chiesa sinodale” e non è stato mai interessato a realizzarla; basta vedere il modo in cui prendeva le decisioni. Leone, invece, da l’impressione che ci creda e che non si sia reso conto che si trattava di una delle tante cortine fumogene architettate dal suo predecessore. E questo è un problema.

In un recente articolo pubblicato da Messa in Latino, Luis Badilla sbroglia l’intera matassa del sinodo sulla sinodalità: una colossale insensatezza. Ma al di là di questa farsa, la questione è che 2028 verranno pubblicati i documenti finali ed emergeranno due questioni molto controverse: il diaconato femminile e la questione LGBT. E siccome le vecchie abitudini sono dure a morire, possiamo intuire a cosa porteranno le conclusioni sinodali. Abbiamo già avuto un’anteprima nel documento della Conferenza Episcopale Italiana e il cardinale Grech, che presiede il sinodo ha già detto che “il diaconato femminile è un approfondimento naturale della volontà di Cristo.
Che farà a questo punto Papa Leone? Firmerà i documenti sinodali che daranno il via all’esercizio dell’omosessualità come una relazione umana lecita e all’ordinazione delle donne diaconesse?

Non sappiamo cosa ne pensi. In una lunga intervista pubblicata qualche mese fa ha affermato che a riguardo non ci sarebbero stati cambiamenti “per ora”. Ci saranno nel 2028? Perché è proprio lì che si vedrà la forza del Pontefice. La pressione delle lobby progressiste su questi due argomenti è forte, ma il Papa avrebbe potuto allentarla sospendendo, per esempio, il sinodo, o ordinando che questi due argomenti non venissero discussi.

Bergoglio ha tergiversato su queste questioni e, se necessario, avrebbe fatto come ha fatto nel caso dell’Amazzonia. Molte chiacchiere, ma ha detto no all’ordinazione degli uomini sposati. Questa è stata la sua astuzia. Leone resisterà alla pressione? Avrà l’astuzia sufficiente per tirare fuori un coniglio dal cilindro come faceva abitualmente il suo predecessore? Io credo di no. Ma in ogni caso spero che si renda conto che l’approvazione di questi due temi significherebbe irrimediabilmente un profondo scisma nella Chiesa. A quel punto incominceremmo a percorrere con fermezza la via anglicana.





novembre  2025
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