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| Il viaggio di Papa Leone XIV in Oriente. Mie impressioni di
El Wanderer
![]() Papa Leone XIV con i Patriarchi cattolici orientali Nel primo periodo del pontificato di Francesco ero solito scrivere alcuni articoli per commentare i suoi viaggi in giro per il mondo. Il seguito mi sono vergognato per lui. Adesso mi sembra opportuno riprendere quella abitudine e riportare alcune impressioni sul viaggio recentemente concluso da Papa Leone XIV in Medio Oriente, che molti lettori potranno completare ed arricchire. Per me è stata una sorpresa molto gradevole constatare l’affetto con cui è stato accolto soprattutto in Libano e la deferenza mostratagli, non solo dai fedeli, ma anche dalle autorità Altro segno incoraggiante del viaggio del Papa è stata la freddezza con cui è stato trattato dalla stampa, citandolo a malapena nelle loro notizie; molto lontano dal sospettoso entusiasmo che accompagnava i viaggi di Francesco. Ma al di là dell’euforia delle masse, di cui è sempre meglio diffidare, vale la pena soffermarsi sulle parole e sui gesti del Pontefice. In primo luogo la decisione di compiere il suo primo viaggio in Oriente. Vero è che si trattava dei 1700 anni del Concilio di Nicea, ma è certo che l’Oriente ha un profondo significato per la nostra fede, qualcosa che noi latini dimentichiamo facilmente. La nostra fede è venuta dall’Oriente: il nostro padre nella fede, Abramo, era orientale, come lo furono i Profeti che previdero con parecchio anticipo l’arrivo del Redentore. La Santissima Vergine era orientale e diede carne orientale al Verbo di Dio. Orientali erano anche gli Apostoli e orientali la maggior parte dei Padri della Chiesa che hanno tessuto e posto le fondamenta della fede cattolica e apostolica. Quindi fare un viaggio in Oriente significa tornare alle origini della fede e significa offrire un riconoscimento ai nostri fratelli di questa parte del mondo, i vivi e i morti, per la loro testimonianza di tutto quello che hanno dovuto soffrire a partire dal VII secolo, quando ebbero inizio le conquiste musulmane delle terre cristiane. E’ per questo che mi sono sembrate molto importanti e anche commoventi l’incontro e la preghiera del Papa con i Patriarchi delle Chiese orientali cattoliche, ortodosse e precalcedoniane. Credo che sia proprio questo il significato del sano ecumenismo. Il fatto che abbiano recitato tutti insieme il Simbolo di Nicea è profondamente significativo. E le parole di Leone sono state rivelatrici in questo senso: «Il Simbolo della fede, professato in modo
unanime e in comune diventa in questo modo il criterio per discernere,
una bussola, un asse intorno al quale devono ruotare il nostro credere
e il nostro agire».
Il discernimento non si basa, come blaterava il suo predecessore, su criteri temporali, politici ed emotivi. Il discernimento si basa su ciò che detta la fede trasmessaci dai nostri Padri, tra cui quelli di Nicea. E avendo ben chiari questi principii basilari, come sembra che li abbia Papa Leone, è di grande auspicio che abbia detto quanto segue durante la Divina Liturgia celebrata dal Patriarca ecumenico di Costantinopoli e dai Patriarchi ortodossi di Alessandria e Antiochia: «Da parte mia, desidero confermare che la
ricerca della piena comunione tra tutti coloro che sono stati
battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, nel
rispetto delle legittime differenze, è una delle priorità
della Chiesa cattolica e, in modo particolare, del mio ministero come
vescovo di Roma, il cui ruolo specifico a livello delle Chiesa
universale consiste nell’essere al servizio di tutti per costruire e
preservare la comunione e l’unità»
E’ stato anche di particolare rilevanza il fatto che durante questa Divina Liturgia, in tutte le litanie nelle quali si prega per le autorità della Chiesa, la prima preghiera fosse per “Il santo vescovo e Papa di Roma Leone”. Alcuni sono rimasti sorpresi, o scandalizzati, perché durante la recita del Simbolo nello stesso luogo in cui fu composto, è stato omesso il Filioque. Non c’è niente di cui sorprendersi e ancora meno di cui scandalizzarsi. E’ stato recitato il Simbolo esattamente come fu redatto dai Padri di Nicea e di Costantinopoli. Ricordiamo che il Filioque è una aggiunta latina molto tardiva: la Chiesa di Roma la aggiunse nell’XI secolo. La Chiesa spagnola l’aveva fatto alcuni secoli prima di fronte all’eresia adozionista di Elipando di Toledo e Felice di Urgell, e oggi i fedeli cattolici orientali non la includono quando recitano il Credo. E questo non significa negare la processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio. Di questa questione abbia trattato già in questo sito e non ci ritorneremo adesso. Altro aspetto che mi ha profondamente colpito, visti i precedenti a cui abbiamo assistito, è che il Papa ci ha confermato nella fede, insistendo ripetutamente sul fatto che la Redenzione ci viene da Gesù Cristo, che è il Figlio di Dio incarnato e che in Lui e solo in Lui è la fonte della salvezza. Inoltre, in due occasioni ha messo in guardia contro i pericoli dell’arianesimo contemporaneo. Nel suo discorso al clero di Istanbul ha detto: «Vi è, però, un’altra sfida,
che definirei come “il ritorno dell’arianesimo”, presente nella cultura
odierna e a volte anche tra gli stessi credenti, quando Gesù
viene guardato con ammirazione umana, perfino con spirito religioso, ma
senza considerarLo realmente come il Dio vivo e vero presente tra noi.
Il Suo essere Dio, Signore della storia, viene così oscurato e
ci si limita a considerarLo un personaggio storico, un maestro
sapiente, un profeta che lottato per la giustizia, ma niente di
più. Nicea ce lo ricorda: Cristo Gesù non è un
personaggio del passato, è il Figlio di Dio presente tra noi che
guida la storia verso il futuro che Dio ci ha promesso».
E nell’incontro ecumenico di Nicea ha detto: «Questa domanda interpella in modo
particolare i cristiani, che corrono il rischio di ridurre Gesù
Cristo ad una specie di capo carismatico o superuomo, una distorsione
che alla fine conduce alla tristezza e alla confusione. Negando la
divinità di Cristo, Ario Lo ridusse ad un semplice intermediario
fra Dio e gli esseri umani, ignorando la realtà
dell’Incarnazione, così che il divino e l’umano rimasero
irrimediabilmente separati. Ma se Dio non si è fatto uomo, come
possono i mortali partecipare alla Sua vita immortale? Questa era la
posta in gioco a Nicea ed è in gioco anche oggi: la fede che
Dio, in Gesù Cristo, si è fatto come noi affinché
potessimo “partecipare alla natura divina”».
Si potrebbe dire che queste sono ovvietà, e con ragione, ma dato quello da cui veniamo, sembrano miracolose. Ricordiamo che Francesco, nei suoi viaggi, si applicò a snocciolare innumerevoli sciocchezze, che poi dovettero essere sbrogliate dai suoi interpreti. E non mi sarei sorpreso se fosse toccato a lui compiere questo viaggio, come aveva programmato, avesse riconciliato Ario, e commesso qualche altra follia simile a quella che commise con Lutero. Il fatto che Leone segnali questo nuovo arianesimo implica molto. Segnalo solo due aspetti: i teologi cattolici, che pullulano nelle Università cattoliche, sono chiaramente identificati come quelli che insegnano che Gesù Cristo non è Dio e che tale attribuzione sarebbe il frutto delle prime comunità cristiane. E vanno segnalati anche quei patrologi che negli ultimi anni si sono dedicati alla riabilitazione di Ario, insistendo che fosse un povero sant’uomo che dovette subire l’ira del terribile Sant’Atanasio. Questa confessione cristologica di Papa Leone si completa con le nuovissime cose che ha detto nell’omelia della Messa a Istanbul: «Il Signore, che aspettiamo glorioso alla
fine dei tempi, viene a bussare ogni giorno alla nostra porta. Stiamo
preparati (Cfr. Mt. 24, 44), con l’impegno sincero di una vita buona,
come ci insegnano i numerosi modelli di santità che
arricchiscono la storia di questa terra».
Quanto tempo è passato dall’ultima volta che abbiamo sentito parlare un Papa della fine dei tempi? E non si è trattato solo della rivendicazione della divinità di Nostro Signore, ma anche della figura della Sua Santissima Madre. Ho trovato molto sorprendente che nell’incontro ecumenico a Beirut, e non solo davanti ai rappresentanti delle Chiese ortodosse, ma anche ad ebrei e musulmani abbia detto: «[…] questo Santuario di Harissa, che è
ornato da una imponente statua della Vergine con le braccia aperte per
abbracciare tutto il popolo libanese. Che questo amorevole e materno
abbraccio della Vergine Maria, Madre di Gesù e Regina della
pace, guidi ciascuno di voi… »
E poco dopo, nel discorso ai giovani: «Miei cari amici, tra tutti i Santi e Sante
risplende la Tutta Santa Maria, Madre di Dio e Madre nostra. Molti
giovani portano sempre con sé la corona del Rosario, in tasca,
al polso o al collo. Quant’è bello guardare a Gesù con
gli occhi del Cuore di Maria».
Questi testi, tratti qua e là dai suoi discorsi, sono né più e meno che la conferma nella fede. E questa è la funzione principale del successore di Pietro: «Conferma i tuoi fratelli nella fede», comandò il Signore. E possiamo anche osservare alcuni segni. Mi è parso significativo che in diverse occasioni ha cantato o recitato il Padre Nostro in latino. Per esempio ad Istanbul davanti al clero e ai fedeli cattolici, nonostante avesse fatto il suo discorso in inglese, le preghiere le ha dette in latino; e lo stesso ha fatto nella dossologia celebrata insieme al Patriarca Bartolomeo. Può essere un piccolo gesto, ma con i tempi che corrono è molto significativo. Ma più significativo è stato il suo rifiuto di pregare nella Moschea Blu di Istanbul. Sebbene la Sala Stampa della Santa Sede gli avesse approntato per l’occasione una preghiera silenziosa. Il muezzin della moschea ha raccontato ai giornalisti: «gli ho chiesto se volesse fermarsi a lodare Allah ed egli mi ha risposto no, e che preferiva continuare la visita». Leone ha rifiutato. Il gesto è profondamente significativo; in fondo ha detto che preferiva continuare a fare il turista piuttosto che pregare un dio che non è né il suo né quello della sua Chiesa, in sostanza ha smantellato la cantilena del fu Francesco secondo cui non fa differenza essere di qualunque religione, o di nessuna. Quanto siamo lontani dagli scandali a cui ci aveva abituato Papa Francesco, che non solo ha affermato nel 2019 che “il pluralismo e la diversità delle religioni… sono espressioni di una saggia volontà divina“, ma ha anche reso culto alla Pachamama dentro lo stesso Vaticano! E continuiamo con i sempre odiosi, ma necessarii, paragoni. Prima abbiamo visto la proclamazione cristologica di Papa Leone: Gesù è il Figlio di Dio incarnato nel seno della Vergine Maria per la redenzione dell’umanità. Francesco invece, nel 2018 diceva che “quando fu crocifisso, Gesù cessò di essere Dio e divenne l’uomo Gesù … sentendo in quel momento il dubbio che fosse stato ingannato”. Conferma nella fede contro confusione dei fedeli. Infine, non posso fare a meno di notare un’altra notevole differenza col defunto predecessore. Tutti ricorderanno che nei suoi viaggi, Francesco saliva la scaletta dell’aereo portando una valigetta nera, come un commesso viaggiatore pronto ad offrire calze di seta o altri ninnoli ai suoi clienti. Oppure, in mezzo a imponenti operazioni di sicurezza con auto e moto, egli guidava la sua Fiat 600 bianca, perché era molto umile. … Era imbarazzante quanto apparisse ridicolo quando cercava di ostentare la sua autoproclamata umiltà con la sfacciataggine e la volgarità che lo caratterizzavano. Leone invece, pur non essendo un uomo particolarmente carismatico, ha dimostrato che conosce il suo ruolo e si comporta degnamente. Inoltre, è evidente che gli piace essere Papa, e questo è molto importante. Un piccola aggiunta: quanto accaduto durante il viaggio di Sua Santità ha dimostrato al mondo intero quello che abbiamo ripetuto in diverse occasioni in questo sito e che anche molti media hanno detto: Mons. Diego Ravelli, il maestro delle cerimonie pontificie, deve andarsene il prima possibile. E’ stata vergognosa la sua ignoranza della liturgia e di ciò che avrebbe dovuto fare il Papa nelle diverse cerimonie. In diversi video si vede il Santo Padre che chiede alcune indicazioni e cosa dovesse fare, e Ravelli è riuscito solo a dire che non lo sapeva e si è messo a sfogliare le pagine di un libricino. E’ non è una scusa dire che si trattava di liturgie di un altro rito, perché se fosse davvero il maestro delle cerimonie avrebbe dovuto imparare le basi del rito bizantino, sapendo che il Papa vi avrebbe preso parte; e avrebbe dovuto cercare una guida adeguata. Non mi sorprenderei se, ora che Leone XIV ha incominciato a mettere ordine in casa sua, licenziasse una volta per tutte l’inesperto Ravelli, elemento di Francesco, e mettesse al suo posto un sacerdote idoneo. E ancora una brevissima nota: è stato motivo di commozione vedere la profonda gioia e la felicità interiore da sempre dimostrate dal venerabile cardinale Kurt Koch, un sant’uomo tra i pochi rimasti nella Chiesa. |