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| Leone XIV in Libano: incoraggiare il travagliato paese dei cedri ![]() Papa Leone XIV: celebrazione della Messa sul lungomare di Beirut Dopo quattro giorni passati in Turchia, Papa Leone XIV ha iniziato un viaggio di tre giorni in Libano. Dal 30 novembre al 2 dicembre, egli ha cercato di incoraggiare la speranza di un popolo duramente provato da una devastante crisi economica, dalla corruzione, dal collasso dei servizi pubblici e dal ricordo sempre vivo dell’esplosione del porto di Beirut nel 2020, senza parlare delle tensioni con Israele. Per Leone XIV, questa seconda tappa del suo viaggio apostolico ha fatto seguito a quelli dei suoi predecessori: Giovanni Paolo II, nel 1979 e nel 1997; Benedetto XVI, nel 2012. Egli ha voluto offrire al Libano, e con esso a tutto il Medio Oriente, un messaggio di pace, di speranza e di fedeltà al ruolo insostituibile dei cristiani in questa tormentata regione. Il Santo Padre ha scelto di pronunciare la maggior parte dei suoi interventi pubblici in francese, lingua familiare per il popolo libanese e tradizionalmente associata alla sua cultura cristiana. Il paese del Cedro, plasmato da una storia complessa in cui da secoli convivono comunità cristiane e musulmane, rimane oggi uno degli ultimi bastioni di una significativa presenza cristiana in Medio Oriente. Sebbene non si stato effettuato alcun censimento ufficiale, gli specialisti stimano che i cristiani costituiscono ancora quasi il 40% dei 5,8 milioni di abitanti, principalmente di cattolici, soprattutto maroniti, a cui si aggiungono i Greci ortodossi. Domenica 30 novembre: arrivo a Beirut Papa Leone XIV è stato accolto con i più grandi onori all’aeroporto di Beirut dalle autorità libanesi e dal Patriarca maronita. Dopo le salve di cannoni e la tradizionale accoglienza con pane e acqua, ha raggiunto la Capitale in papamobile, sotto la pioggia, e qui dei bambini ipovedenti hanno cantato per lui, mentre lui ha innaffiato simbolicamente un giovane cedro. Nel palazzo presidenziale ha incontrato il Presidente Joseph Aoun, e poi si è rivolto a circa 400 rappresentanti politici, civile e diplomatici, riuniti nel «salone del 25 maggio». Il Presidente Aoun, cristiano a capo di un paese ormai a maggioranza musulmana, ha riaffermato la determinazione dei cristiani a rimanere sulla loro terra: «Non moriremo, non ce ne andremo, non ci dispereremo. Non ci arrenderemo mai». Papa Leone XIV, riprendendo questo contesto di fragilità e di tensione, ha articolato il suo primo grande discorso sulla vocazione dei responsabili pubblici ad essere «artefici di pace» nelle circostanze «molto complesse, conflittuali e incerte». Alla fine di questo discorso, applaudito, il Papa ha modificato il suo programma: invece di ritornare direttamente alla Nunziatura, ha scelto di recarsi nel monastero delle Carmelitane della Teotokos ad Harissa. Qui ha salutato ciascuna suora e ha ricordato i tre pilastri della vita consacrata: umiltà, preghiera e sacrificio. Lunedì 1 dicembre: visita alla tomba di Charbel e incontro interreligioso Il secondo giorno è stato contraddistinto da una tappa centrale: la visita del Papa al monastero di San Marone, ad Annaya, dove riposa Charbel Makhlouf (1828-1898), monaco eremita maronita canonizzato nel 1977 da Paolo VI (1). In questo sacro luogo di preghiera, che attira ogni anno circa tre milioni di visitatori, il Papa si è presentato come «pellegrino di speranza». Nella sua allocuzione pronunciata in francese, Leone XIV ha sottolineato la figura di Charbel, «nascosto e silenzioso», plasmato per insegnare la preghiera a coloro che vivono senza Dio, il silenzio a coloro che vivono nel rumore, la modestia a coloro che vivono nell’apparenza, la povertà a coloro che cercano le ricchezze. Egli ha affidato all’intercessione di Charbel i bisogni della Chiesa e del Libano. Alla fine della mattinata, il Papa ha raggiunto il Santuario di Nostra Signora del Libano, ad Harissa, per un incontro con i vescovi, i sacerdoti, i religiosi, le religiose e gli operatori pastorali del paese. In un contesto di partenza in massa di numerosi Libanesi, compresi cristiani, in cerca di un avvenire più stabile, Leone XIV ha salutato la fedeltà della Chiesa libanese e ha ripreso l’immagine dell’ancora: «Se noi vogliamo costruire la pace, ancoriamoci al Cielo». Momento problematico sul piano dottrinale: nel pomeriggio si è svolto un grande incontro ecumenico e interreligioso sulla piazza dei Martiri, al centro di Beirut. Questo luogo, altamente simbolico, è ad un tempo memoria della resistenza libanese e punto di ritrovo per le manifestazioni popolari. Il posto deve il suo nome ai nazionalisti libanesi giustiziati per impiccagione su ordine di Dejemal Pascià, governatore ottomano, il 6 maggio 1916. L’evento è commemorato dalla statua di bronzo posta al centro della piazza. Accolto dal Patriarca siro-cattolico, dal Patriarca maronita, dal grande imam sunnita e da un rappresentante sciita, Il Papa ha raggiunto una tribuna in cui erano presenti altri capi religiosi. La cerimonia includeva letture, canti cristiani, recita di versetti del Corano, testimonianze sulla convivenza e interventi di capi sunniti, sciiti, drusi, ortodossi e di altre comunità. Nel suo discorso, Leone XIV ha citato l’esortazione Ecclesia in Medio Oriente di Benedetto XVI e la dichiarazione Nostra Aetate del concilio Vaticano II. Ed ha affermato che «gli occhi del mondo sono puntati sul Medio Oriente, culla delle religioni abramitiche», ed ha anche augurato che su questa terra le campane della chiese e gli adhan (richiamo alla preghiera islamica), possano «fondersi ed elevarsi in un unico inno» per glorificare «il Dio unico» e come supplica per la pace. Questo linguaggio, in linea col dialogo interreligioso promosso a partire dal Vaticano II, è in contraddizione con l’unicità salvifica di Cristo e della Chiesa. L’idea che cattolici e musulmani adorino uno stesso «Dio unico», crolla non appena si esaminano le loro fondamentali professioni di fede. Il segno della croce proclama la Santissima Trinità e la Redenzione, affermando l’unico Dio in tre Persone, cuore del cristianesimo. La shahada [professione di fede islamica] invece insiste sulla assoluta unicità di Allah «senza associati», rigettando esplicitamente la Trinità e la divinità di Cristo. Se le due religioni riconoscono un Dio creatore, questo punto comune minimale non basta a superare le loro inconciliabili divergenze. Laddove i cattolici confessano un Dio Trinità, incarnato in Gesù Cristo, i musulmani vi devono una blasfemia. Parlare quindi di «Dio unico» condiviso è illusorio, e questo è il dramma del dialogo interreligioso contemporaneo: invece di chiarire i concetti, indicare gli errori e proporre la verità di Cristo, esso sceglie volontariamente l’ambiguità per raggiungere un altro obiettivo. Poiché quest’obiettivo non può essere la fede cattolica, esso diventa una sorta di pace terrena e di coesistenza orizzontale, presentate come valori supremi. Ecco che si parla allora di «amore fraterno», di «adorazione dello stesso Dio», di «mutuo arricchimento», scartando ciò che costituisce il cuore della fede: che il vero Dio si conosce solo tramite Nostro Signore Gesù Cristo; che Maria è grande solo perché è la Madre di Dio; che la grazia ci viene dai sacramenti della Chiesa, unica arca di salvezza. Di fronte a queste illusioni, è salutare ricordarsi dell’avvertimento di San Pio X nella lettera Notre Charge Apostolique: «No, Venerabili Fratelli, non vi è vera fraternità al di fuori della carità cristiana, che, per amore di Dio e di Suo Figlio Gesù Cristo, nostro Salvatore, abbraccia tutti gli uomini per sollevarli tutti e per condurli alla stessa fede e alla stessa felicità del Cielo. Separando la fraternità dalla carità cristiana così intesa, la democrazia, lungi dall’essere un progresso costituirà in regresso disastroso per la civiltà». La sera, il Papa ha incontrato i giovani a Bkerke Martedì 2 dicembre: memoria delle vittime del porto di Beirut e Messa sul lungomare Il mattino presto, il Papa si è recato all’ospedale della Croce a Jal el Dib, gestito dalle Suore Francescane della Croce. Fondato nel 1919 dal Padre Jacques Haddad, è uno dei più grandi centri di assistenza per persone con problemi di salute mentale, del Medio Oriente. Nel suo commovente discorso, la Superiora Generale ha ringraziato il Santo Padre per la sua presenza tra «persone dimenticate», e i «volti assenti dei media e dell’opinione pubblica». La Madre Marie Makhlouf, senza riuscire a trattenere le lacrime, si è chiesta: «Come è possibile che una istituzione povera, che non possiede nulla, ha potuto sopravvivere nonostante l’esplosione, la carestia, la pandemia e il crollo delle strutture statali?». Il Sommo Pontefice ha poi salutato con molta gratitudine il personale dell’ospedale, la cui presenza «competente e attenta» e la cui «cura per i malati» sono un «segno tangibile dell’amore compassionevole di Cristo». «Voi siete come il buon Samaritano che si ferma accanto all’uomo ferito e si prende cura di lui per aiutarlo ad alzarsi e guarirlo». E ha proseguito dicendo: «a volte possono sorgere la stanchezza o lo scoraggiamento, soprattutto a causa delle condizioni di lavoro in cui vi trovate, che non sono sempre favorevoli. Io vi incoraggio a non perdere la gioia di questa missione e, malgrado le difficoltà, vi invito a tenere sempre presente il bene che avete la possibilità di compiere». L’ultimo giorno del viaggio è stato ampiamente dedicato al ricordo delle vittime dell’esplosione del porto di Beirut, avvenuta il 4 agosto del 2020 e che ha causato più di 200 morti, 7.000 feriti e centinaia di migliaia di sfollati. Il Papa si è recato sul luogo del dramma. Davanti alla stele commemorativa ha pregato in silenzio, alla presenza del Primo Ministro Nawaf Salam e delle famiglie delle vittime, che portavano i ritratti dei loro cari e continuano a chiedere verità e giustizia. A nome del Sommo Pontefice è stata deposta una corona di fiori, mentre il Papa ha acceso una candela prima di salutare le famiglie, molto commosse. Poco dopo, Leone XIV ha raggiunto il lungomare di Beirut, il «Beirut Waterfront», per celebrarvi la Messa, alla presenza di 150.000 fedeli di diversi riti orientali. Nella sua omelia, il Papa ha ricordato ai Libanesi che la prova può condurre al lamento o alla rassegnazione, ma che il cristiano deve, con la grazia di Dio, mantenere l’azione di grazia. Ha anche ricordato la bellezza del Libano, cantata nei Salmi, nel Cantico dei Cantici e dai profeti, ed ha affermato che la «gloria del Libano» è chiamata a risplendere nuovamente. Ma ha anche esortato i responsabili nazionali e la comunità internazionale a rinunciare alle logiche di vendetta e di violenza, per privilegiare i cammini di riconciliazione e di pace. Prima di ritornare a Roma, Papa Leone XIV ha pronunciato il suo ultimo discorso all’aeroporto internazionale di Beirut, nel corso di una cerimonia di addio organizzata dalle autorità libanesi. Il Presidente della Repubblica, Joseph Aoun, ha salutato in arabo una visita che ha portato «parole di speranza e di conforto», vedendo nella venuta del Papa quella di un «padre venuto a ricordarci che il mondo non ha dimenticato il Libano». Prendendo la parola in inglese, Leone XIV ha parlato di un popolo libanese resiliente, «Forte come i cedri» e «pieno di frutti come gli ulivi» del paese. Ha rivolto un saluto particolare alle regioni che non ha potuto visitare: Tripoli a Nord, la Bekaa ad Est, e il Sud, duramente colpito dai conflitti. NOTA 1 - Senza pregiudicare la santità di Charbel, la Fraternità San Pio X si riserva di giudicare le canonizzazioni effettuate dopo il Concilio, a causa dei gravi e fondati dubbi su questi atti. |