SAN VALENTINO: festa  a San Pietro

di L. P.



Finalmente, quest’anno e per la prima volta, il giorno 14 febbraio, dies albo signanda lapillo, sostituto dell’antica e pagana festa dei “lupercalia”, definito come “festa degli innamorati” (perché mai sia riservata però ai soli fidanzati non si sa) è stato sottratto alla gestione laica, mondana e commerciale che da decenni se ne era impossessata, e tratto all’ombra, o alla luce, della Chiesa.
Un bel colpo portato a segno dalla regìa vaticana.
   
Questo pensiero ci è rampollato allorché abbiamo letto prima, e visto poi nei numerosi servizi tv, che 30 mila fidanzati – 15 mila coppie secondo “Avvenire” (14/2/2014), 10 mila secondo altre testate – la maggior parte provenienti dall’Italia, hanno invaso festosamente piazza San Pietro dove papa Bergoglio ha loro rivolto ed indirizzato il saluto della Chiesa, e il suo, con parole di circostanza  inframezzate da esortazioni e da battute di lieto spirito. L’incontro è stato animato – si dice così, oggi, tanto per gli  eventi mondani che per quelli liturgici – da ballerini, danzatori e danzatrici, da cori, canti e ravvivato con multicolori nastrini, palloncini cuoriformi e cuscini di raso.
  
Per la prima volta, commentano i cronisti, un San Valentino diverso e più serio ma sempre festoso, a testimonianza “di quella rivoluzione ecclesiale che papa Francesco sta portando avanti”, nella prospettiva di un’apertura sempre maggiore alle esigenze dell’uomo e del mondo e nel solco di una scenografìa da tempo collaudata  e consolidata, voluta ed allestita da GP II con la messa in ribalta, in stadii, spianate e  spiagge, di oceaniche masse giovanili e non.
   
La GMG, tenutasi lo scorso anno a Rio, è stata, per il momento, l’ultimo esempio di straordinario entusiasmo  epidermico che caratterizza tali manifestazioni. Tre milioni di persone! Diciamo “epidermico” – diciamolo! -  perché se questi eventi alla Woodstock fossero prova di attrazione evangelica e di  rafforzamento della Chiesa avremmo dovuto assistere, dal 1978 ad oggi, a conversioni di massa, a epocali fenomeni di fede, senonché lo svuotarsi delle chiese, la rarefazione della frequenza ai sacramenti, il relativismo etico e la cifra edonistica della società cristiana (cfr. Peter Hahne: La festa è finita – ed. Marsilio 2006) ci dicono e ci attestano un grafico di tendenza inversa.
Il grafico è lì, ma lo sguardo della gerarchìa è là.
   
Tuttavia, non era questo il motivo del nostro presente semigoliardico intervento, quanto piuttosto un riferimento che – absit injuria verbis et factis! – si presta per similarità a un confronto paradossale oltre che a un senso di fastidio.
   
La vista di quelle 15/10 mila coppie di fidanzati festanti in piazza San Pietro ci ha portato alla memoria le immagini, non troppo lontane, di quegli oceanici riti matrimoniali (si fa per dire) – le così dette “Benedizioni” – celebrati con pompa magna dal sedicente, defunto “reverendo” Yong Myung Moon, il fondatore dell’altrettale sedicente “Chiesa della Unificazione” – ASUMC (Associazione spirituale unificazione mondo cristiano).
I lettori ricordano le cronache giornalistiche  e i servizii televisivi che ci proposero le fasi di quelle grandi adunate al Madison Square Garden di New York in cui migliaia di spose in bianco e sposi in nero, ordinati  per schiere a due a due, venivano uniti in “coniugio” dal suddetto reverendo e dalla di lui consorte, Hak Ja Han – la “seconda”, tanto per dare la dimensione etica di chi fondava la sua predicazione sulla famiglia e sulla fedeltà! -  Fu proprio durante una di queste affollate manifestazioni, il  27 maggio 2001, che  - ricordate? - Moon unì in vincolo carnale l’ex vescovo Emmanuel Milingo con la coreana Maria Sung.
     
Bene, abbiamo riportato queste note perché immediato e naturale è stato  correlare tra loro questi eventi: i matrimonii massivi mooniani e le 15 mila coppie in piazza San Pietro. Nessuna differenza?
   
Certo che  se la Santa Sede avesse programmato una Santa Messa, ad esempio, dentro la Basilica petrina, non solo avrebbe differenziato, eccome!,  il raduno cristiano da quello di Moon, ma i fidanzati avrebbero vissuto “anche” momenti di adorazione, di riflessione silenziosa e di rinnovato impegno e di raccoglimento, ché se è stato bello e facile, davanti alla telecamera, sentirsi  felici per l’esperienza vissuta e dirsi pronti alla responsabilità della famiglia futura, più certificato, più encomiabile e serio lo sarebbe stato davanti a Cristo Eucaristìa.
Ma poiché papa Bergoglio (Il Giornale, 12 febbraio 2014) ha affermato che la Santa Messa è da celebrare “con” i fedeli e da riservare ai soli peccatori - ergo, proibita a chi si sente senza peccato -  aver amministrato una simile solennità senza il Sacrificio della Croce dà ad intendere che quelle 15 mila coppie di futuri sposi fossero esenti da macchia e, quindi, non bisognose del cibo eucaristico.
E, poi – ecco il vero motivo del nostro intervento -  ci saremmo aspettati che in questo giorno, nella trista concomitanza dell’approvazione di una iniqua e criminale legge – l’estensione dell’eutanasìa anche ai bambini – votata dal parlamento belga, ci saremmo aspettati, dicevamo, che ai futuri genitori Sua Santità, non come vescovo di Roma ma come Vicario di Cristo, di Colui che disse “Sinite parvulos venire et nolite eos prohibere ad me venire; talium est regnum caelorum” (Mt. 19,14), avesse rivolto un suo rigoroso, inflessibile e inesorabile  commento con l’espresso attestato del rispetto della vita, dono di Dio e con la chiara esecrazione e secca condanna di quella legge e di quel governo. 

Ma forse, un po’ perché il Magistero ha riconosciuto l’assoluta indipendenza e separazione del potere civile da quello teologico divino, un po’ perché la Chiesa non è più disposta ad usare  il bisturi della severità ma la medicina della misericordia – salvo quando tràttasi dei Frati Francescani dell’Immacolata, o di cattolici quali Gnocchi, Palmaro e De Mattei -  un po’ forse per non guastare la festa, il Papa ha taciuto mentre volteggiavano, nel cielo romano di color pervinca, i palloncini cuoriformi sospinti dall’elio, dai baci e dai canti.
E, d’altra parte, come già papa Francesco I ha autorevolmente precisato, la Chiesa non può starsene sempre a parlare di aborto, di eutanasìa, di omosessualità. “Majora  praemunt”, ci sono cose più importanti come suggerire, ad esempio, il modo per vivere durevolmente  il matrimonio, e cioè, usare tre parole chiavi: permesso, grazie, scusa!
    
Insomma: c’è un tempo per ogni cosa, così come sentenzia l’Ecclesiaste. “Per tutto c’è un momento e un tempo per ogni azione, sotto il sole… un tempo per piangere e un tempo per ridere… un tempo per abbracciare e  un  tempo  per  astenersi  dagli  abbracci… un tempo  per tacere e un tempo  per  parlare…” (Eccl/Qoel. 3, 1/9 ).
   
Il greco antico indicava il “momento” opportuno, la convenienza, la giusta misura, la buona occasione col termine “kairòs”. E oggi, secondo il nostro parere di scalcinati  tradizionisti  fedeli da quarta fila, non “sarebbe stato”, ma “era” il momento per parlare.
Il greco? Ma se la Chiesa ha bandito il latino –védasi ancora la vicenda dei Frati Francescani dell’Immacolata a cui è stato interdetta l’applicazione del Summorum Pontificum – figuriamoci il greco.

Kairòs: chi  era costui?




febbraio 2014

AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI
AL PONTIFICATO DI PAPA FRANCESCO