![]() |
![]() |
| Nicodemo: il rappresentante dell’intelligenza umana in cerca dell’unica cosa necessaria di Don Vincente Bédin, FSSPX ![]() Gesù e Nicodemo (Crijn Hendricksz Volmarijn - prima metà del XVII secolo) Nicodemo crede perché sa che Gesù è venuto da parte di Dio, «perché nessuno può fare i miracoli che Egli fa se Dio non è con lui». E’ per questo che Nicodemo è un modello. Nicodemo era un uomo di buona fede, la sua lealtà era reale. Era retto e coraggioso; non esiterà a prendere le difese del Signore davanti al Consiglio, e nell’ora più critica, quando le passioni saranno più violente e tutto sembrerà perduto, egli non esiterà a mostrarsi discepolo devoto e fedele, occupandosi del corpo senza vita del suo Maestro. La Tradizione narra che fu maltrattato dai Giudei nel corso dei tumulti che seguirono la morte di Santo Stefano, senza ottenere la gloria del martirio. Nicodemo era fariseo e al tempo di Nostro Signore i farisei erano la setta più in vista. Era anche un principe dei Giudei, cioè faceva parte del gran consiglio del Sinedrio. Il suo arrivo a notte fonda dal Signore non poteva rimanere a lungo segreto. Nicodemo andò dal Signore la sera di una di quelle giornate piene, nel momento in cui l’anima, liberata dai vincoli materiali, può respirare. E’ lui stesso che ci illumina sulle sue intenzioni. Rabbi, dice a Gesù, noi sappiamo che sei venuto da parte di Dio come dottore, poiché nessuno può fare i miracoli che tu fai se Dio non è con lui. Valutate questa affermazione iniziale e dite se essa dà una cattiva idea del carattere o dell’intelligenza di questo personaggio di alto rango. Egli non esita a dare a Gesù il titolo di Rabbi. Anche se si sa che la gentilezza orientale è spesso prodiga di questi appellativi onorifici, Nicodemo si inchina davanti ad una conoscenza ben diversa dalla credenza ufficiale. Il dottore ebreo, con rara imparzialità, non esita a confessare la sua impressione nettamente favorevole. Nicodemo è amabile, è rispettoso; diciamo meglio, egli comincia con un atto di fede. Lui, personaggio anziano e rispettato, si mette alla scuola di questo Rabbi di 30 anni. Gli dà, come hanno fatto Andrea e Giovanni, il titolo di «Maestro». E affinché questo titolo non sembri essere solo un appellativo onorifico, egli ne spiega la realtà che implica: «Nessuno è capace di compiere i miracoli che tu fai, a meno che Dio non sia con lui». Nicodemo non ha pregiudizi, egli guarda prima di tutto i fatti e i miracoli sono fatti. La sua fede si basa su cose concrete, non è una congettura incerta. Egli crede al valore probante dei miracoli e ragiona come farebbe un nato cieco. Il miracolo ha questo ruolo provvidenziale di sollecitare all’intelligenza umana uno sforzo di attenzione e alla coscienza un atto di virtù. Si tratta di riconoscere l’incomprensibile, l’inaccessibile alla ragione umana, si tratta di riconoscere il sigillo divino, di inchinarsi davanti all’autorità divina, di fare un atto di fede. Quindi, per Nicodemo, questi miracoli che Gesù compie sono sufficienti, e ne conclude, se non che Gesù è Dio – questo non è espresso chiaramente – almeno che Gesù viene da parte di Dio, che è il Messia. Per Nicodemo, la fede scaturisce direttamente dal miracolo. Se non si può dire che questa legge della fede derivante dal miracolo è universale e senza tempo, si deve almeno riconoscere che era necessaria per il popolo ebraico. «I Giudei esigono dei miracoli e i Greci la saggezza», dirà San paolo ai Corinti. Storicamente, la fede negli ambienti ebraici vicini a Gesù nasceva e poteva nascere solo dal miracolo. Fino a quel momento, Nostro Signore aveva solo agito; le parole che aveva pronunciato si collegavano agli atti compiuti e non rappresentavano ancora un insegnamento. Per il modo in cui Nicodemo saluta Gesù e afferma la sua fede nell’origine divina della sua autorità, come confermato dal miracolo, Nicodemo merita di servire da modello per i credenti del suo tempo. |