Riforma del papato, cantiere aperto

di Sandro Magister


Articolo pubblicato sulla rubrica Settimo Cielo dell'Autore


CITTÀ DEL VATICANO, 7 agosto 2014

C'è chi sostiene, anzi, se ne dice certo, che papa Francesco voglia riformare il papato al punto da "destrutturare" il ruolo del romano pontefice così come si è sviluppato nel secondo millennio dell’era cristiana, a partire dalla riforma gregoriana e attraverso il magistero del Concilio di Trento e del Vaticano I.

È quanto sembra ricavarsi da due rilevanti attestazioni che si sono susseguite nelle ultime settimane.

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Una di queste ha per protagonista il monaco laico Enzo Bianchi, fondatore e priore del monastero di Bose.
Il 23 luglio, dopo aver ricevuto da papa Francesco la nomina a consultore del pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, Bianchi ha rilasciato dirompenti dichiarazioni al sito Vatican Insider (Francesco vuole raggiungere l'unità anche riformando il papato).

L’incarico ricevuto dal priore di Bose di per sé non è di grande rilevanza. Ma ha avuto una eco entusiastica nel circuito mediatico, poste la vasta influenza che ha l'eloquio di Bianchi nel mondo cattolico – non solo progressista – e la assidua presenza della sua firma sulle prime pagine di importanti quotidiani laici italiani, come "la Repubblica" e "La Stampa".

Sparute invece le osservazioni critiche per la promozione – nel dicastero vaticano che si occupa del dialogo ecumenico – del fondatore di una esperienza monastica che si presenta come già interconfessionale, con un luterano tra i suoi membri d'antica data, apertissima e amichevole con protestanti e ortodossi ma intransigente e sprezzante con i tradizionalisti lefebvriani, gli unici ai quali riserva la qualifica di “scismatici”.

Particolarmente duro il commento di monsignor Antonio Livi, già decano alla facoltà di filosofia della Pontificia Università Lateranense, che è arrivato ad accusare Bianchi di attribuire al papa quelle che sarebbero solo sue elucubrazioni (Bianchi come Scalfari: usa il papa per i suoi fini).

Ma che cosa ha sostenuto Bianchi di così dirompente?

A Vatican Insider il priore di Bose ha detto di credere "che il papa voglia raggiungere l'unità anche riformando il papato, un papato che non fa più paura, come ha detto il patriarca ecumenico Bartolomeo al quale il papa è legato da amicizia".

Spiegando che la riforma del papato significa "un nuovo equilibrio tra sinodalità e primato", Bianchi ha aggiunto:
"Gli ortodossi esercitano la sinodalità e non hanno il primato, noi cattolici abbiamo il primato ma anche un difetto di sinodalità. Non c'è sinodalità senza primato e non c'è primato senza sinodalità. Questo aiuterebbe a creare un nuovo stile del primato papale e del governo dei vescovi".

Il monaco piemontese ha poi evocato una novità che può avere una traduzione anche pratica. Ha detto che il sinodo dei vescovi "esiste dal Concilio Vaticano II", che il consiglio dei nove cardinali che coadiuvano Francesco nella riforma della curia "è stato voluto dal papa", ma ha aggiunto che in futuro è ipotizzabile "un organismo episcopale che aiuti il papa nel governo della Chiesa, senza mettere in discussione il primato papale".

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Veniamo ora all'altra attestazione sugli intendimenti di Jorge Mario Bergoglio riguardo a una riforma del papato.

Qui il protagonista è l'arcivescovo americano John R. Quinn, 85 anni, titolare della diocesi di San Francisco dal 1977 al 1995 – quando volle lasciare a soli 67 anni anche in seguito ad abusi sessuali che avevano coinvolto un paio di suoi collaboratori nella curia diocesana – e presidente della conferenza episcopale degli Stati Uniti dal 1977 al 1980.

Il 7 luglio Quinn ha riferito al settimanale americano "National Catholic Reporter" che Bergoglio gli disse, pochi giorni prima del conclave che lo ha visto salire sul soglio di Pietro:
"Ho letto il suo libro e spero che verrà implementato" ("I've read your book and am hoping it will be implemented") (Quinn to priest group: Church poised at a moment of far-reaching consequences).

Il libro di Quinn letto e approvato dal cardinale Bergoglio risale al 1999 ed ha il titolo programmatico: “The reform of the papacy. The costly call to Christian unity". In Italia è stato tradotto dalla Queriniana nel 2000 con il titolo: “Per una riforma del papato. L’impegnativo appello all’unità dei cristiani”.
Il volume si presenta come una riflessione sull’enciclica di Giovanni Paolo II "Ut unum sint" del 1995. Enciclica, a detta dell’autore del libro, "chiaramente in rottura con il passato e in molti aspetti rivoluzionaria", in quanto "esalta l modello sinodale della Chiesa del primo millennio ed insiste sul fatto che il papa è un membro del collegio dei vescovi e che il primato deve essere esercitato in maniera collegiale".
La "Ut unum sint" insomma – sempre a detta di Quinn – "testimonia il fatto che l’accettare il Vaticano I e il suo insegnamento sul primato di giurisdizione non esclude una comprensione più ampia del primato" e "fa capire che il Vaticano I non era l’ultima parola".

Da questo postulato Quinn fa discendere una serie di proposte concrete che concernono il governo della Chiesa.
Ad esempio, riguardo alla conferenze episcopali, a dispetto delle norme restrittive contenute nel motu proprio del 1998 sulla loro natura teologica e giuridica, Quinn sostiene che esse siano da considerarsi una vera realizzazione della collegialità episcopale e abbiano un reale ruolo di magistero, anche dottrinale.
Riguardo al sinodo dei vescovi, indica la necessità di sottrarlo al controllo della curia romana, escludendo da esso l'automatica presenza dei capi di dicastero.
Riguardo alla nomina dei vescovi Quinn auspica, in ossequio alla "autentica ecclesiologia" del Vaticano II, che nella scelta dei candidati sia drasticamente ridimensionato il ruolo dei nunzi, dando invece un ruolo preminente ai vescovi delle relative province ecclesiastiche e in subordine ai presidenti delle conferenze episcopali.
In pratica, quindi, "la lista dei nomi scelti dai vescovi dovrebbe essere inviata a Roma direttamente dall’arcivescovo della provincia metropolitana, con l’indicazione dell’accordo del presidente della conferenza", mentre "non dovrebbe esserci nessuna discussione sulla lista tra i vescovi della provincia e Roma", né tanto meno qualsiasi ruolo del nunzio. E se Roma non si trovasse d’accordo sulla lista "questa dovrebbe essere rinviata alla provincia per ulteriori considerazioni ed emendamenti". A tutto ciò dovrebbe essere aggiunto anche un maggiore coinvolgimento dei preti e dei laici, purché siano evitate politicizzazioni, faziosità e rotture della riservatezza.

Queste nuove modalità nell’elezione dei vescovi servirebbero – sempre secondo Quinn – ad ovviare ai "gravi problemi" sollevati dalle procedure in vigore. E cita il ritardo nel riempire le sedi vacanti, l'eccessiva "enfasi" nello scegliere candidati che diano sicura fiducia dottrinale, il trasferimento di un vescovo da una sede all’altra, la moltiplicazione degli ausiliari.

Quinn sostiene inoltre di togliere al collegio cardinalizio l'esclusiva nell’elezione del papa. Suggerisce di associare al conclave i patriarchi delle Chiesa cattoliche orientali, pur senza che sia loro concessa la porpora, di far partecipare al voto almeno alcuni presidenti delle conferenze episcopali, e di consentire alle grandi organizzazioni laicali di indicare agli elettori le qualità che esse vorrebbero vedere nel nuovo papa.

Infine, per Quinn, nodo decisivo di una riforma del papato finalizzata all’unità dei cristiani non è solo quello della centralizzazione ma anche quello della riforma della curia romana.

Una curia romana che anzitutto dovrebbe contare meno vescovi e meno preti. E a questo proposito Quinn bolla come "abuso del sacramento dell’ordine sacro e dell’ufficio di vescovo" il fatto che i segretari dei dicasteri vaticani siano elevati sistematicamente alla dignità episcopale.

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Queste dunque le riforme auspicate da Quinn alla fine dello scorso millennio, quelle che l'allora cardinale Bergoglio, alla vigilia del conclave del 2013, avrebbe detto – secondo lo stesso Quinn – di voler implementare.

La domanda viene naturale. Oggi che Bergoglio è diventato papa e ne ha il potere, che intenzione ha di promuovere, favorire e persino imporre l’applicazione di queste riforme?

Alcune decisioni fin qui prese da Francesco sembrano andare in questa direzione, come la creazione del consiglio dei nove e il potenziamento del sinodo dei vescovi.
Ma altre vanno nella direzione opposta, come la continua elevazione a vescovi dei segretari non solo degli uffici curiali, ma anche del governatorato e dello stesso sinodo.

Riguardo poi alla delicata questione delle nomine episcopali nelle diocesi – argomento che è stato toccato nell’ultima riunione del "C9" – non si sa se la prassi indicata da Quinn abbia o no cominciato ad essere implementata in Argentina. Di certo, nessuna delle pur numerose provviste episcopali in quel paese dal marzo 2013 a oggi è passata in Vaticano al vaglio dei membri della congregazione per i vescovi. Così come non vi sono passate le nomine, in Italia, alle diocesi di Isernia e di Locri.

In Argentina, oltre al suo successore a Buenos Aires, papa Francesco  ha operato un'altra ventina di provviste episcopali, otto delle quali (diventate sette dopo l'inspiegata rinuncia di uno degli eletti avvenuta dopo la pubblicazione della nomina ma prima della consacrazione) riguardano però vescovi ausiliari. Anche in questo campo quindi il pontefice argentino non sembra voler seguire le indicazioni del pur  lodato libro di Quinn.

Ma siamo solo a meno di un anno e mezzo dall’inizio del pontificato. Troppo presto per capire fino a dove Francesco voglia spingersi in una effettiva riforma del papato.




agosto 2014

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