COME SI TRADISCE ANCORA GESU’

ovvero

quando si esaltano i suoi traditori


di L. P.




Romagnano Sesia (NO): Venerdì Santo: Giuda si impicca


Non so quanti libri abbia io letti nel corso della mia relativamente lunga vita. Di moltissimi non conservo gran memoria se non il titolo e poco altro, ché il tempo, nel suo scorrere, tutto seco rapisce e financo le nozioni più ancorate e fisse che ritenevo, perciò, inamovibili dalla mia mente. Libri di svariati argomenti: letterarî, storici, filosofici, teologici, scientifici, narrativi, saggi, interi volumi, più o meno gradevoli, più o meno ostici, più o meno decorosi, facili, aspri, tiepidi.  Libri su cui ho vergato, a matita rossa e blu, i miei commenti, le mie correzioni, le mie riserve, le mie intemerate, le mie approvazioni, e da cui ho tratto insegnamenti e stimoli ad una ulteriore e più organica conoscenza. Ma non ricordo di averne  letto uno così serio, per la tematica, ma banale, insipido, supponente, affabulante, fastidioso e ridicolo nell’idealità, come questo edito dalla Editrice Bompiani 2014, il  “FA’ CHE QUESTA STRADA NON FINISCA MAI – UN’APOLOGIA DI GIUDA”  di Luca Doninelli, scrittore “cattolico”, in bilico tra Voltaire, Testori, Pasolini, don Giussani e, adesso, Giuda. Un libro che si propone per il vezzo snob del controcorrente e dell’originalità;  genere di gusto suicidario che da decenni, in casa cattolica, va alla grande.
   
Nemmeno il diffuso, nefasto e detestato, il fatuo e falsario “CODICE DA VINCI” del massone Dan Brown, al quale  dopotutto si deve riconoscere una qual coerenza dacché, agnostico e nemico della Chiesa cattolica, produce frutti in linea con la sua linfa, nemmeno quel suo libro, dicevo, è riuscito ad rivelarsi così dannoso come lo sarà questo di Doninelli. E la ragione sta proprio nel seguente ragionamento che un cattolico si potrebbe rivolgere:
Dan Brown è un ateo, perciò ostile alla Chiesa, e gli si può anche non credere. Ma Doninelli è un cattolico, perciò questo libro, in cui si parla in termini ammirati di Giuda, è la prova che molto, della religione cattolica, è mistificazione”.
Dico il vero quando riferisco di alcuni  miei amici, cattolici osservanti che, dopo aver letto i delirî e le farandole di Brown, ebbero moti di ribellione contro la Chiesa qualcuno, addirittura, proponendosi di non assistere più alla Santa Messa. Ci vollero fatica e durezza, documenti e buon senso alla mano, a farli  ricredere e ad ammettere il proprio abbaglio. Ed erano cattolici piuttosto acculturati. Si immagini, perciò, il danno provocato in coscienze semplici. Quanto successo in quel caso potrebbe ripetersi con il libro di Doninelli.
Ma vediamo:

un testo originale?
Niente affatto perché sul tema della riabilitazione di Giuda si sono, da tempo, esercitati numerosi ingegni, primo fra tutti l’autore di quel “Vangelo secondo Giuda” del IV sec., di matrice gnostica, dove il racconto si apre con la narrazione di un paradossale Gesù che suggerisce a Giuda di tradirlo. Un testo che è stato usato come prototipo per tutte le rimasticature successive in mano ad atei, agnostici, creativi, giocherelloni  e modernisti. Ricordiamo il “Processo a Gesù” di Diego Fabbri, Ed. Mondadori 1977, il “Giuda” di Pietro Zullino, Ed. Rizzoli 1988, i “Dialoghi di Giuda Iscariota” di Gabriele Consiglio, Ed. Lettere Meridiane 2014 e molti altri ancora, dello stesso tenore, di cui non è importante far nome. Perciò: Nihil novi sub sole.
   
Il lavoro di Doninelli si presenta di scorrevole e facíllima scrittura, estremamente volatile e privo di peso, e, per via di una sintassi paratattica, raramente si sprofonda o s’innalza nella grave e misteriosa complessità della vicenda evangelica.
Si tratta di un monologo di 131 pagine, più 2 di appendice con una nota dell’autore, lungo le quali Giuda parla di sé e dell’esperienza vissuta accanto al Messìa. Una finzione letteraria perché quanto Giuda dice di sé o di altri è farina del sacco dell’autore, di quel cosiddetto “Io narrante” di cui superfluo è citare esempî tanto la letteratura ce ne offre a iosa. Escluse le 6 circostanze in cui i Vangeli riportano interventi diretti di Giuda (Mt. 26, 15 / 26, 25 / 26, 48 / 27, 4  -  Gv. 12, 5) e da cui Doninelli prende spunto per le sue divagazioni gratuite, facendosi scudo con l’alibi di un Giuda ectoplasma che parla in prima persona pro domo sua, il resto è ricostruzione datata e riesposta. E se il lettore avrà pazienza e curiosità, potrà verificare, nel corso delle mie puntualizzazioni, la deriva modernista che guida l’autore nella sua navigazione sul mar di Galilea e nelle sue passeggiate in terra di Giudea.
   
Citare tutte le pagine in cui l’autore verga le sue fantasie sarebbe lavoro improbo dacché è tutto il libro, con tutte le righe, a dover essere evidenziato. Mi limiterò, pertanto, a fornire le tematiche ove maggiore aleggia il fuoco fatuo di questa apologìa che, fosse strumento a difesa in un vero tribunale, sarebbe per l’imputato causa aggravante per vilipendio alla storia, alla VERITA’. 
   
Tralascio alcune amenità quale quella relativa a Nazaret, definito paese “grezzo, dal cervello chiuso”, che al di là dell’episodio che vede i nazareni ostili a Gesù (Mt. 13, 53/58 – Mc. 6, 1/5 – Lc. 4, 14/30), non si capisce perché debba essere tale ritenuto e non, ad esempio, le città di Corazain, Bethsaida e Cafarnao, fatte oggetto di aspra condanna da Gesù stesso (Mt. 11, 20/24).
E non mi attarderò sui sospiri sensuali di un Giuda che manifesta il brio di una carnalità più volte dichiarata, capovolgendo, in questo suo peregrinare sulle donne, anche un preciso passo del Vangelo (Lc. 10, 38/42) in cui si parla della predilezione di Gesù per Maria, sorella di Marta, passo che Giuda/Doninelli modifica a pro di Marta.
Ma vediamo.
   
Giuda – ma è l’autore che parla – si descrive come superiore agli altri discepoli: ha studiato economìa (pag. 22), dubita della creazione divina preferendo credere allo gnostico demiurgo (pag. 43), e al caos primigenio (pag. 22), sa valutare le persone, disprezza Giovanni il Battista chiamandolo “matto” (pag. 9 e segg), tiene in antipatia Giovanni il discepolo (pag. 14), considera le religioni nate tutte da unico ceppo talché Jawhè, Allah e Zeus sono la stessa deità (pag. 23). Ė ciò che si crede oggi, e per quest’ultima affermazione egli è in numerosa ed eminente compagnìa, da quando con Assisi 1986/2011, il Magistero conciliare ha sancito, col sincretismo gnostico, l’uguaglianza delle religioni ridotte ad esiti di alte esperienze personali di pochi iniziati.
    
Ma ciò che costituisce il filo conduttore, da pag. 1 a pag. 137, è quel continuo attestare il suo amore, la sua stretta amicizia che lo lega a Gesù. «Io amai quell’uomo fino alla fine» (pag. 79) - «Potremo rivederci ed abbracciarci di nuovo, ed io – forse – potrò risarcirlo dell’amicizia che gli sottrassi» (pag. 136/137), pagine entro le quali si moltiplicano le dichiarazioni di amore che, tuttavia, non eviteranno di trasformarsi in odio e in tradimento!
E se per troppo amore si tradisce la persona cara, mi dica Doninelli, che potrebbe succedere se la si odia!
Intanto, non mi piace quell’ipotesi – assurda ed impossibile, oltre che eretica anche in un lavoro come questo, di origine teatrale – di un lontano, futuro reincontrarsi di Giuda con Gesù, perché il “cattolico” autore dovrebbe ricordare, e pesare nel suo vero ed unico significato, la addolorata ma dura e secca sentenza di Cristo: «Il Figlio dell’Uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell’Uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell’uomo che non fosse mai nato».
   
Il recensore, che per primo sulla stampa (Il Giornale, 24 agosto 2014, pag. 19) ha dato notizia e valutazione di questo libro, scrive, senza essere smentito dall’autore, che “Doninelli guarda a Giuda con la più essenziale e difficile delle virtù cristiane, il perdono. E alla fine gli mette in bocca parole di un’umanità infinita (!) che riconosce se stessa nella forza misteriosa della pietà e dell’amore”.
Parole calde e appassionate, di sapore mistico, di circostanza ma fuori luogo, vuote ed offensive in tale contesto perché, prestando fede al verdetto emesso da Gesù – il Logos, la Via, la Verità e la Vita – Giuda non sta in Purgatorio né tanto meno in Paradiso ma, tertium non datur, brucia nell’Inferno. Sicché, nei confronti dei dannati, al cristiano è vietato nutrire sensi di pietà in quanto siffatto sentimento offende la Giustizia di Dio.
Non è Gesù che dirà ai dannati, posti alla sua sinistra: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli»? (Mt. 25, 41). Vi sembrano questi, caro recensore G. Conte e caro autore Doninelli, sensi di pietas e di compassione? Ora, se Dio stesso manifesta disprezzo ed esecrazione verso i dannati, con quale autorità un semplice uomo può permettersi di predicarne la compassione e il perdono?
La nostra maggior Musa scrive che “Qui vive la pietà quando è ben morta” (Inf. XX, 28) vale a dire che il vero sentimento di pietà (verso Dio), in questo luogo, nell’Inferno cioè,  è il non averla (verso i dannati).
   
Non mi è difficile percepire, in simile proiezione, il nuovo ed emergente, soffocante magistero bergogliano che, fatto strame dell’inerranza scritturale e della immutabilità del dogma, sta imponendo la pastorale evolutiva e mutante della misericordia, con frutti estremi, come questo libro, tipici dei movimenti ecclesiali: carismatici, neocatecumenali, C. L., focolarini, cursillos, s. Egidio e compagnìa cantando.
Ė la rinascita della origeniana ‘apocatastasi”, teoria che prevede, alla fine dei tempi, il perdono universale e  tutti gli uomini salvi. Siccome “Deus caritas est” e solo caritas, ergo ne consegue che non può, e non deve, comminare condanne eterne.
   
Altra persistente tematica è la critica ai miracoli e la loro demitizzazione. Giuda non ci crede (pag. 22)  e su quello di Cana, come sulla moltiplicazione dei pani e dei pesci (pag. 48) e sulla resurrezione di Lazzaro, egli esprime il rifiuto motivandolo con ragioni intellettuali, economiche e di opportunità.
Del primo e del secondo lamenta l’enorme spreco verificatosi subito dopo. A Cana, inventandosi una dinamica non descritta dal Vangelo: il vino restante – molto ottimo vino – viene, tra le bestemmie (?) degli invitati “ubriachi”, fatto fluire nel “canale di scolo” (24); del secondo - i pani e i pesci -  descrive un gioco di prestigio di cui vede solo gli “avanzi del miracolo”: dodici ceste di “pezzi di pane fatti per non essere moltiplicati, per rinsecchire ed essere dati ai maiali”. Sembrano tante dodici ceste, “ma a dividere quel pane per cinquemila non ne sarebbe toccato che un pezzettino a ciascuno” (pag. 46). Della resurrezione di Eliezer (Lazzaro) Giuda non mette in dubbio l’autenticità ma ne sottolinea due negativi aspetti: 1) l’antieconomicità di far risorgere un uomo per poi condannarlo a morire di nuovo (pag. 102) e, 2) l’infrazione alla legge di Dio commessa dal Messia che resuscita chi riposa nella pace della morte (pag. 105).
In questi frangenti Giuda anticipa – e Doninelli replica – Voltaire e il suo “Dizionario filosofico, voce: miracoli”, l’esegesi biblica della “Scuola di Tubinga” – sec. XIX -  segnalatasi nell’insegnamento di Baur e di Strauss per il rifiuto del soprannaturale, corredando il monologo con larga semenza di R. Bultmann (1884 – 1976), l’ideologo della “demitizzazione dei vangeli”, e il moderno scetticismo scientista marxista.
   
Naturalmente, chi riesuma siffatte lenzuolate di hegelismo è l’autore, di cui si capisce il disegno solo che, per ipotesi, lo si collochi nell’ambito di quei salotti snobisti, di cui parla Maurizio Blondet nel suo “«Gli Adelphi» della dissoluzione – strategìe culturali del potere iniziatico – Ed. Ares 1994/1999 Milano”, brillante e fondamentale opera in cui si svelano e si chiariscono l’influsso e l’attrattiva che esercita l’omonima casa editrice  - una “petite bande” - nel cui interno, in vincoli di intenti e sotto l’ala protettiva dei potentati mediatici,  immersi in una zuppa di culture variegate ma ben amalgamate e coese  per interesse, fervono e lavorano  esponenti del paganesimo, della neognosi, del nichilismo, del cattolicesimo liberale, della trasgressione, del pansessismo freudiano. Come dire: l’alchemica “conjunctio oppositorum” quella  che l’attuale Gerarchìa tenta con tutte le realtà ostili e contrapposte. Il diavolo e l’acqua santa.
Il libro di Doninelli si pone, idealmente, in questa nicchia così come ci si posero il pseudocredente Sergio Quinzio e l’apostata Elemire Zolla i quali, cattolici di molte chiacchiere, zelatori di un Cristianesimo esoterico, diffusero nelle opere il veleno dell’eresìa e della corruzione spirituale.
   
Ma non sfugge al lettore la malcelata consonante posizione di Giuda/Doninelli alla nuova pastorale bergogliana come ben si evidenzia laddove, ad esempio, parla della “carne di Dio”, espressione uscita nella visita papale, luglio 2013, a Lampedusa, isola di approdo clandestino. «No: poveri lebbrosi e ciechi erano per lui la carne di Dio» (pag. 54) afferma Giuda.
Un cattolico come Doninelli dovrebbe stare attento e distinguere tra pietas retorica e dogma, perché la Carne di Dio è l’Eucaristìa, e nient’altro, mentre i poveri, i lebbrosi e gli ultimi sono sua parte nell’eredità, i più cari, i più vicini, ma non la sua carne. Siffatta locuzione, assai evocativa e sensazionale, è priva di fondamento talché, calando sui fedeli, specie se proclamata dal pontefice, determina un cambio di valori. Ed, infatti, non è l’opera pastorale del Magistero attuale, tutta tesa alle “periferie” agli “ultimi”, alla “pace” e poco o niente al culto eucaristico?
E mi sembra che, stando ad alcuni spifferi che escono dalle sacre stanze, il sacramento eucaristico, col prossimo dibattito al Sinodo straordinario sulla famiglia in programma ad ottobre venturo, subirà un declassamento ulteriore con l’aggirare i comandamenti di Cristo -  “Quello che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt.  19, 4/6 ), e “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio” (Mc. 10, 11/12), - mediante un teologumeno, la cosiddetta tautologica  bergogliana “misericordia in ginocchio”, con che si  permetterà l’accesso dei divorziati/risposati, e delle coppie conviventi, alla Santa Comunione. Vale di più, per questa Gerarchìa, risolvere nel sociologico l’aspetto teologico, ovviare, cioè, ad un andazzo peccaminoso cancellando il monito di Cristo ed elevando l’andazzo peccaminoso a condotta normale e giustificata.
Non sono, perciò, lontano dal credere che il libro di Doninelli sarà ben accetto a Papa Bergoglio la cui pastorale sembra qui, in ante litteram, rielaborata da un Giuda rivisto ed aggiornato e in linea con lo spirito del Concilio.
   
Il lettore si sorbisca l’interpretazione giudesca sulle parabole del buon samaritano e del figlio prodigo, dove, relativamente alla prima, l’aggredito diventa un farabutto, uno dei tanti supposti oppressori del proletariato forse, esportatore di valuta forse, che, giustamente e ben gli sta, viene ripulito da briganti galantuomini, antecessori di Robin Hood, perché “aveva fatto il furbo sperando di non essere scoperto” (pag. 64) e che viene soccorso da un samaritano, appunto, che, secondo Giuda (o chi per lui), “era il suo sgherro”, diciamo il portaborse; e dove, relativamente alla seconda, il figlio maggiore viene descritto come un bischero bietolone, succube del padre che, scrive… Giuda, “su di lui aveva il dominio totale” (89) al punto che “questo giovane porta dentro di sé un dolore: lui si impegna con tutto lo zelo…  sa di non essere il preferito, e allora cerca la vendetta… che sarà quella di essere così bravi… così sottomessi… da obbligare il padre a sentire il rimorso per la sua iniquità” (pag. 90).
Padre padrone, figlio represso, livoroso e vendicativo.
  
La parte finale, in cui Giuda parla del tradimento e del bacio, è quella dove trova compimento l’apologìa che Doninelli si è proposto. Cristo non è il Messia, è un santo folle che rischia di finir male, sicché “io lo volevo proteggere dal mondo e, lo dico una volta per tutte, anche e soprattutto, da se stesso” (pag. 127) tanto è vero che lo stesso bacio, segno di intesa con il potere della sinagoga, è un segno di cui lo stesso Messia non vede lo scopo. “Amico, sei qui anche tu? – disse -  Queste furono le sue parole, senza il minimo accenno al bacio e al tradimento di cui i cronisti malevoli parlarono in seguito” (pag. 126).
Falso smaccato, perché il passo citato (Mt. 26,50) recita: «Amico, per questo sei qui!», per tradire. Falso e spudorato perché Giuda, o chi per lui, omette la domanda/accusa che Gesù gli rivolge col dirgli: «Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell’Uomo?» (Lc. 22, 48). Facile, quindi, apparire incompreso cancellando passi di cruda incidenza.
   
Ma per quanto si legga, al di là di vane tirate patetiche, di contorsioni logiche e concettuali, non appare il benché minimo supporto con che si possa dare a Giuda un centesimo di consenso e di approvazione. Tutto è già stato confezionato e costruito sul falso attestato di amore posto in premessa e da cui scaturisce, conseguentemente, l’apologìa di se stesso. Ma ce ne vuole per convincere il lettore, convincerlo che amare profondamente una persona vuol dire tradirla, pure se a spingere Doninelli  in questa sua interpretazione sia stata, tra le altre, la lettura del  testo di G. Ricciotti, “Vita di Gesù Cristo” – ed. Tip. Vaticana 1941 -. Ed infatti, anche il canonico regolare lateranense esce dal seminato quando interpreta  pag. 645/649 (§532-533-534) il tradimento di Giuda come l’esito di un eccessivo amore, nonostante gli evangelisti scrivano essere stato, il suo scopo, il solo lucro.
Ma non mi meraviglio – e me ne dispiace -  dacché il predetto storico, in pieno afflato preecumenistico, è lo stesso che stese ammirata prefazione a quel “La Bibbia aveva ragione” – 2 vv. ed. Garzanti 1956 - del protestante Werner Keller, un centone in cui tutti i miracoli biblici sono spiegati in chiave razionalista e scientifica e, perciò, privi della connotazione divina.
Se un amore eccessivo fosse stato la causa del tradimento, pensate che Gesù non ne avrebbe tenuto conto, come tenne conto del pentimento di tanti peccatori, fino al ladrone? Ma la storia è ben diversa, dal momento che per il traditore Gesù ha parole di definitiva condanna. Evidentemente il preteso amore che Giuda nutriva era quello verso un possibile e futuro Messia/Re, un uomo padrone di una nazione, di cui egli sarebbe stato l’amministratore e gran referendario, un amore verso un soggetto che, invece, si dimostrava e si dichiarava re di un altro regno, quello dei cieli. Era, il suo, un amore per le cose di questo mondo: la gloria, la potenza, il piacere, il primato, i privilegî, le stesse cose  che Satana offrì a Cristo nella terza tentazione (Mt. 4, 8) e che parimenti promise a Giuda entrandogli nell’anima (Gv. 13, 7).
Doninelli, Ricciotti, e i tanti come loro che si collocano nello stesso alveo, confondono in Giuda la brama con l’amore, l’interesse con l’affetto, l’opportunismo con l’obbedienza, l’ipocrisia con l’ammirazione . Cristo, nella mente di Giuda, rappresentava un ideale di natura esclusivamente umana sicché lo svelamento della Verità lo condusse a trasformare questo amore “economico” in odio. E, da qui, il tradimento.
    
Merita di essere citata, a corredo di approfondimento, l’ottima osservazione del nostro amico Belvecchio secondo la quale, nella concettualità parallela di V.T e N.T della formula “En arché” – In principio – (Genesi - S. Giovanni), abbiamo il fratricida Caino che si pone prototipo nella trafila degli anti- Dio, e Giuda traditore come il capostipite degli anti-Cristo. “Quando comincia o ricomincia qualcosa di decisivo, c’è sempre colui che dà inizio al suo contrario”.
Doninelli ci avrà pensato?
    
Il lettore sprovveduto ed ingenuo si troverà nella condizione di considerare gli evangelisti come falsarî, Giovanni stesso un viziatello superbo e spiritoso, Gesù un profeta nazareno entusiasmante e maldestro che, entrato nelle nasse della propria “vocazione” non seppe venirne fuori, condannando lui, Giuda, l’unico che l’amava, a tradirlo per salvarlo. Senza tacere di quell’impressione, sottile e silenziosa come un tarlo, che sia Gesù in dovere di chiedere scusa a Giuda.
   
Nella nota AL LETTORE, Doninelli scrive che «Giuda… una specie di revenant… torna dall’aldilà… alla gente di questo nostro tempo facendo proprie alcune domande che lo agitano, relative al senso dei rapporti umani: amicizia, amore, fiducia… Il suo disaccordo con Gesù…  apre una finestra sul senso particolare di una grande amicizia».
Sfido il lettore più acuto ed intelligente a scovare, in questa riflessione, specie nella parte finale, il significato autentico, il motivo documentato che dia la spiegazione di tutto il libro. Che il caso Giuda imponga delle domande, suona ovvio, ma altrettanto ovvio che non apre alcuna finestra. Ė stata già chiusa e sigillata.
   
In conclusione: il lavoro, di cui mi sono doverosamente occupato, è uno dei tanti prodotti dello spirito che, attualmente, percorre ed anima la cattolicità, uno spirito del tipo Amnesty International, Nessuno tocchi Caino, il  cui fondo ideologico è un pelagianesimo non  dichiarato ma evidente che, trova, la sua legittimazione nel pensiero di GP II così come viene annunciato nell’enciclica “Tertio millennio adveniente” sotto la teorìa della “Redenzione universale”  ribadita nelle altre tre successive: Redemptor hominisDives in misericordiaDominum et vivificantem.
Considerando, tuttavia, che, secondo quanto afferma il cardinale GF Ravasi, anche l’arte blasfema rappresenta, nel suo intimo tormento, una ricerca, seppur tragica e deviante, dell’Assoluto, cioè di Dio, perché io dovrei negare a Doninelli  la convinzione e il diritto di scrivere che il tradimento di Giuda altro non fu che un eccesso di amore esigendo, a furor di popolo, il “santo subito”?
   
Se lo prenda questo diritto, faccia pure tanto ne dovrà rispondere.
Oh, la nostalgìa per i vecchi, tosti ma salutari “Index librorum prohibitorum” e “Syllabus”!
Mi domando, a questo punto, perché mai Doninelli, un cattolico, – tale sé dicente – abbia sentito l’urgenza di prodursi su un tema di evidenza tragica, senza dubbio, svolgendolo secondo un’ottica irenistica e pietistica e antistorica, contraffacendo la stessa Parola di Cristo.  A chi gioverà questo brodo di giuggiole?
  
In seconda di sovraccoperta si legge: «Solo dopo aver compiuto  il suo gesto Giuda comincia a rendersi conto dell’enormità del proprio sbaglio, e dell’orrore che, attraverso quella porta aperta, fa il suo ingresso nel mondo. Tuttavia l’ultima parola non è ancora stata pronunciata: nemmeno tutte le tenebre del mondo possono cancellare la realtà dell’affetto che li ha uniti» .
E quale sarebbe questa parola? “Perdono”?
Doninelli potrà anche scriverla o suggerirla, ma Qualcuno più in alto di lui ha già chiuso il “libro  che ‘l preterito rassegna” (Par. XXIII, 54) con la scritta: Fine!
Certamente questo libro riscuoterà il plauso dell’opinione corrente e politicamente corretta, tanto laicista che cattoliberale.
Ma si ricordi, Doninelli, di quel monito “Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi” (Lc. 6, 26).



GIOTTO, Giuda in bocca a Lucifero, Cappella degli Scrovegni, Padova



settembre 2014

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