La pastorale “pelosa” del cardinale Scola



di Belvecchio






Quando abbiamo letto l’intervista che il cardinale Angelo Scola ha rilasciato a Paolo Rodari per La Repubblica, ieri 12 ottobre 2014, siamo stati tentati dal cestinarla, perché i contorsionismi ci provocano sempre un senso di ripulsa. Ma poi ci siamo ricordati che l’attuale arcivescovo di Milano è reputato un “conservatore”, tra l’altro molto vicino all’“emerito” Joseph Ratzinger, in fama di “tradizionalista”; e allora ci siamo applicati a leggerla con attenzione, ed ecco cosa ne è venuto fuori.

Oggi abbiamo un Papa la cui esperienza pastorale è passata attraverso il travaglio della condivisione profonda dell'emarginazione, della povertà, arrivando a formulare una teologia e una cultura significative per tutti. Per noi europei questo costituisce una provocazione che all'inizio può essere anche destabilizzante, ma che se fatta propria, come chiesto dalla natura comunionale della Chiesa, risulta assolutamente preziosa.

Questa affermazione rivela chiaramente quale è stato il motivo per cui è stato scelto Bergoglio alla guida dalla nuova Chiesa conciliare e conferma quanto abbiamo detto più volte circa la precisa volontà dei cardinali in Conclave di scegliere un uomo che avrebbe rivoltato come un calzino la dottrina e la pratica della Fede.
Rivelatore è quel “travaglio della condivisione profonda dell’emarginazione, della povertà” che avrebbe generato “una teologia e una cultura significative per tutti”. Come dire che per duemila anni la Chiesa e i papi non avrebbero capito granché dell’emarginazione e della povertà e quindi avrebbero formulato teologie e culture senza significato.
Sarà pure un modo di esprimersi, ma per un cardinale si tratta di un modo di pensare che è più prossimo a Marcuse e ad Adorno che a Gesù Cristo. Un atteggiamento mentale che considera “assolutamente preziosa” la detta esperienza, tenuto conto che nelle “periferie” argentine evangelizzate a suo tempo da Bergoglio, il 90 per cento delle coppie non sono sposate, la pratica religiosa è quasi inesistente e il cattolicesimo ha ceduto il posto a tutto quanto c’è di acattolico e anticattolico.
E come dice il cardinale: “Stiamo andando in questa direzione e, per questo, il futuro è carico di speranza.

Ma il tema dell’accesso alla comunione sacramentale dei divorziati risposati si è inserito nella necessità, sentita da tutti, di chinarsi sull’intera realtà della famiglia, preziosissima per la Chiesa e per la società”.

Espressione che rivela come il cardinale Scola sia convinto che la moderna realtà della famiglia, che corrisponde alla deflagrazione di ciò che dovrebbe seriamente essere, sia un dato da tenere in conto indipendentemente dai disvalori che esprime.

Ed è l’intera realtà moderna che viene vista in chiave di “comprensione”: “Inoltre nel dibattito sono emerse altre situazioni complesse e difficili. Ad esempio, il tema della poligamia ha avuto un grande peso sia negli interventi dei padri africani sia in quelli degli asiatici. Nessun argomento delicato, comunque, compreso quello della omosessualità, è stato taciuto”.

E a noi sembra che a questo logico bisogno di non tacere sulle diverse scomposte realtà che esistono oggi in seno alla compagine cattolica, si accompagni un eguale bisogno – illogico – di tacere sulla valenza di tali realtà e sulla portata dirompente che hanno nei confronti della famiglia cattolica.

Ritengo che il nesso tra eucaristia e matrimonio resti sostanziale. Pertanto coloro che hanno contratto un nuovo matrimonio si trovano in una condizione che oggettivamente non consente l’accesso alla comunione sacramentale. Lungi dall’essere una punizione, è l’invito ad un cammino. Queste persone sono dentro la Chiesa, partecipano attivamente alla vita della comunità. Si potranno rivedere talune esclusioni: per esempio la loro partecipazione al consiglio pastorale o la possibilità di insegnare in una scuola cattolica. Personalmente però, sul piano sostanziale, non trovo ancora una risposta alla possibilità che accedano alla comunione sacramentale senza colpire nei fatti l’indissolubilità del matrimonio.”

Una sorta di qui lo dico e qui lo nego, ma soprattutto la maniera moderna di riaffermare che il divorzio pone fuori dalla comunione cattolica, ma non tanto – “sono dentro la Chiesa, partecipano attivamente alla vita della comunità” –;  esclude dalla comunione sacramentale, ma non tanto – “Si potranno rivedere talune esclusioni” -; colpisce nei fatti l’indissolubilità, ma non tanto – “non trovo ancora una risposta alla possibilità che accedano alla comunione sacramentale”.
Insomma una sorta di anticipazione di ciò che leggeremo nel documento conclusivo di questo Sinodo: il matrimonio è indissolubile, sì… però; no la comunione ai divorziati risposati, sì… ma.
In perfetta continuità con il linguaggio biforcuto del Vaticano II.

Tale che il rimedio pratico – pastorale – si profila essere l’allineamento della disciplina della Chiesa alla legislazione laica: dichiarare nulli i matrimonii di coloro che vogliono rompere l’indissolubilità del matrimonio e vogliono divorziare e risposarsi… magari più e più volte – “molti padri hanno chiesto di rivedere la modalità di verifica della nullità del matrimonio dando più peso al Vescovo. Io stesso ho fatto una proposta in tal senso”.

E non poteva mancare l’ossequio delle direttive del mondo con il riconoscimento che “È fuori dubbio che siamo stati lenti nell’assumere uno sguardo pienamente rispettoso della dignità e dell’uguaglianza delle persone omosessuali”… con tanto di rottamazione del Vangelo e della legge di Dio.
Fino al punto che si possa giungere al riconoscimento delle coppie omosessuali, a condizione che per queste si inventi una nuova terminologia e si eviti di usare i termini “famiglia” e “matrimonio”: “Per quanto riguarda le loro unioni, le parole indicano le cose. Non è giusto suscitare, direttamente o indirettamente, confusione su una cosa decisiva come la famiglia. Ritengo che la parola ‘famiglia’, insieme alla parola ‘matrimonio’, vada riservata all’unione stabile, aperta alla vita tra l’uomo e la donna. Per il duo o coppia omosessuale si dovrà trovare un altro vocabolo.”

L’ipocrisia e la falsità di questa dichiarazione è quanto di più sovversivo si potesse ascoltare dalla bocca di un cattolico, figuriamoci di un cardinale!
Il quale non si ferma qui, ma introduce, per le coppie omosessuali così legittimate, anche l’approvazione dell’adozione e dell’uso dell’inseminazione artificiale e dell’utero in affitto: “Anche la questione della filiazione, soprattutto con la surrogazione di maternità, apre un problema molto grave”.

E quando il giornalista gli chiede: “C’è una nuova freschezza nella Chiesa?”, il cardinale, invece di precisare che non di freschezza si tratta, ma di sporcizia, ci informa che: “la Chiesa è davanti a una grande prova: il confronto con la rivoluzione sessuale è una sfida forse non inferiore a quella lanciata dalla rivoluzione marxista”.
Espressione che fa tremare le vene i polsi, poiché vista la resa decretata dal Vaticano II di fronte al dilagare del marxismo, fa presagire una pastorale impegnata nella promozione della rivoluzione sessuale… peraltro col solito ritardo endemico di appena cinquant’anni rispetto il mondo. La vittoria definitiva di Marcuse sul Vangelo.

E bravo il cardinale!

Il quale sembra convinto della bontà dell’assurdo:dobbiamo paragonarci con visioni dell’uomo assai diverse. Non basta una risposta intellettuale. Occorre rigenerare dal basso il popolo di Dio, con una nuova educazione all’amore che incominci fin dall’adolescenza”.

Cosa che, tradotta in termini pratici o, se si vuole, in termini “pastorali”, può solo significare che si seguirà l’esempio del mondo e nelle nostre parrocchie si praticherà l’“educazione sessuale”, la propaganda omosessualista, la cultura del “gender” e qualunque altra porcheria il mondo ci vorrà proporre per la definitiva perdizione delle anime.

Come definire questa prospettiva se non col termine “apostasía”?
Gli uomini di Chiesa che apostatano la dottrina di Cristo per abbracciare la dottrina del mondo; per di più dopo che il mondo ha definitivamente scoperto le sue carte, chiamando tutti a raccolta per l’edificazione di un “nuovo ordine mondiale”.

Ma non c’è “nuovo ordine mondiale” che non necessiti di un’apposita religione, e le logge massoniche hanno sempre lavorato per instaurare la nuova religione dell’uomo che abbia la sua “chiesa universale” che contenga in sé tutte le credenze e tutte le chiese, compresa la “cattolica”, apostolica, romana.
Con discorsi del genere appare evidente come tanti cattolici, anche inconsciamente, abbiano ormai aderito a questa prospettiva, dimostrando la verità di ciò che un caro amico ci suggerisce: “la madre di Giuda è sempre incinta”.

Che Dio perdoni questi traditori della Fede.
E abbia pietà di noi tutti peccatori.


ottobre 2014

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