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Intervista a S. Em. Rev.ma il Cardinale Raymond Leo Burke [nel contesto dello svolgimento del Sinodo straordinario dei Vescovi] di Alessandro Gnocchi
![]() Piace poco o nulla al mondo, il Cardinale Raymond Leo Burke. E, se possibile, piace ancora meno alla Chiesa che piace al mondo. D’altra parte, questo americano di sessantasei anni di Richland Center, Wisconsin, ha fatto di tutto per riuscire cattolicamente nell’intento di ustionare le coscienze cristiane troppo inclini alla tiepidezza. Partecipa alle marce per la vita, dice che non va data la comunione ai politici che sostengono leggi abortiste, denuncia il rapido progredire dell’agenda omosessualista, fa sapere a papa Francesco che la difesa dei principi non negoziabili non è una moda sottoposta agli umori dei pontefici, sostiene la Messa in rito tradizionale. Recentemente ha firmato il libro collettivo “Permanere nella verità di Cristo. Matrimonio e comunione nella Chiesa cattolica”, scritto in aperta polemica con le misericordiose aperture del cardinale Walter Kasper su famiglia e comunione ai divorziati risposati. Nulla di strano, quindi, se il rimpasto curiale pensato da Bergoglio prevede che, da Prefetto della Segnatura Apostolica, ora venga esiliato alla carica di cardinale patrono del Sovrano Ordine di Malta. Ma intanto, al Sinodo sulla famiglia, questo finissimo canonista figlio dell’America rurale ha assunto il ruolo di oppositore, verrebbe da dire di katechon, al cospetto della svolta attribuita, senza smentite, alla mens papale. Come recita l’antica “Bibbia poliglotta” aperta sul leggìo del suo studio alla pagina dell’Ecclesiaste, “Ogni cosa ha il suo tempo (…) c’è un tempo per tacere e un tempo per parlare”. D. - Cosa si vede oltre la cortina mediatica che avvolge il Sinodo? R.
- Emerge una tendenza preoccupante perché alcuni sostengono la
possibilità di adottare una prassi che si discosta dalla
verità della fede. Anche se dovrebbe essere evidente che non si
può procedere in questo senso, molti incoraggiano per esempio
pericolose aperture sulla questione della comunione concessa ai
divorziati risposati. Non vedo come si possa conciliare il concetto
irreformabile dell’indissolubilità del matrimonio con la
possibilità di ammettere alla comunione chi vive una situazione
irregolare. Qui si mette direttamente in discussione ciò che ci
ha detto Nostro Signore quando insegnava che chi divorzia da sua moglie
e sposa un’altra donna commette adulterio.
D. - Secondo i riformatori questo insegnamento è diventato troppo duro. R.
- Dimenticano che il Signore assicura l’aiuto della grazia
a
coloro che sono chiamati a vivere il matrimonio. Questo non significa
che non ci saranno difficoltà e sofferenze, ma che ci
sarà sempre un aiuto divino per affrontarle ed essere fedeli
sino alla fine.
D. - Sembra che la sua sia una posizione minoritaria… R.
- Qualche giorno fa ho visto
una trasmissione in cui il cardinale Kasper ha detto che si sta
camminando nella direzione giusta verso le aperture. In poche parole, i
5.700.000 italiani che hanno seguito quella trasmissione, hanno
ricavato l’idea che tutto il Sinodo marci su quella linea, che la
Chiesa sia sul punto di mutare la sua dottrina sul matrimonio. Ma
questo, semplicemente, non è possibile. Molti vescovi
intervengono per dire che non si possono ammettere cambiamenti.
D. - Però non emerge dal
briefing quotidiano della Sala stampa vaticana. Lo ha lamentato anche
il cardinale Müller.R.
- Io non so come sia concepito il briefing, ma mi pare che qualcosa non
funzioni bene se l’informazione viene manipolata in modo da dare
rilievo solo a una tesi invece che riportare fedelmente le varie
posizioni esposte. Questo mi preoccupa molto perché un numero
consistente di vescovi non accetta le idee di apertura, ma pochi lo
sanno. Si parla solo della necessità che la Chiesa si apra alle
istanze del mondo enunciata a febbraio dal cardinale Kasper. In
realtà, la sua tesi sui temi della famiglia e su una nuova
disciplina per la comunione ai divorziati risposati non è nuova,
è già stata discussa trent’anni fa. Poi da febbraio ha
ripreso vigore ed è stata colpevolmente lasciata crescere. Ma
tutto questo deve finire perché provoca un grave danno per la
fede. Vescovi e sacerdoti mi dicono che ora tanti divorziati risposati
chiedono di essere ammessi alla comunione poiché lo vuole Papa
Francesco. In realtà, prendo atto che, invece, finora non si
è espresso sulla questione.
D.
- Però sembra evidente che il cardinale Kasper e quanti sono
sulla
sua linea parlino con il sostegno del Papa.
R.
- Questo sì. Il Papa ha nominato il cardinale Kasper al Sinodo e
ha lasciato che il dibattito proseguisse su questi binari. Ma, come ha
detto un altro cardinale, il Papa non si è ancora pronunciato.
Io sto aspettando un suo pronunciamento, che può essere solo in
continuità con l’insegnamento dato dalla Chiesa in tutta la sua
storia. Un insegnamento che non è mai mutato perché non
può mutare.
D. - Alcuni prelati che sostengono la dottrina tradizionale dicono che se il Papa dovesse portare dei cambiamenti li accetterebbero. Non è una contraddizione? R.
- Sì, è una contraddizione, perché il Pontefice
è il Vicario di Cristo sulla terra e perciò il primo
servitore della verità della fede. Conoscendo l’insegnamento di
Cristo, non vedo come si possa deviare da quell’insegnamento con una
dichiarazione dottrinale o con una prassi pastorale che ignorino la
verità.
D. - L’accento posto dal Pontefice sulla misericordia come la più importante, se non l’unica, idea guida della Chiesa, non contribuisce a sostenere l’illusione che si possa praticare una pastorale sganciata dalla dottrina? R.
- Si diffonde l’idea che possa esistere una Chiesa misericordiosa che
non
rispetta la verità. Ma mi offende nel profondo l’idea che, fino
a oggi, i vescovi e i sacerdoti non sarebbero stati misericordiosi. Io
sono cresciuto in una zona rurale degli Stati Uniti e ricordo che,
quando ero bambino, nella nostra parrocchia c’era una coppia di una
fattoria vicina alla nostra che veniva in chiesa a Messa, ma non faceva
mai la comunione. Crescendo, chiesi il perché a mio papà
e lui, con naturalezza, mi spiegò che vivevano in una condizione
irregolare e accettavano di non accedere alla comunione. Il parroco era
molto gentile con loro, molto misericordioso e applicava la sua
misericordia nell’operare perché la coppia tornasse a una vita
consona alla fede cattolica. Senza verità non può esserci
vera misericordia. I miei genitori mi hanno sempre insegnato che, se
noi amiamo i peccatori, dobbiamo odiare il peccato e dobbiamo fare di
tutto per strappare i peccatori dal male nel quale vivono.
D. - Nel suo studio c’è una statua del Sacro Cuore, nella sua cappella, sopra l’altare, c’è un’altra immagine del Cuore di Gesù, il suo motto episcopale è “Secundum Cor Tuum”. Allora, un vescovo può tenere unite misericordia e dottrina… R.
- Sì, è presso la fonte inesauribile e incessante della
verità e della carità, cioè dal glorioso
trapassato Cuore di Gesù, che il sacerdote trova la sapienza e
la forza di guidare il gregge secondo la verità e in
carità. Il Curato di Ars definiva il sacerdote come l’amore dal
Sacro Cuore di Gesù. Il sacerdote unito al Sacro Cuore non
soccomberà alla tentazione di dire al gregge parole diverse da
quelle di Cristo indefettibilmente trasmesseci nella Chiesa, non
cadrà nella tentazione di sostituire alle parole della sana
dottrina un linguaggio confuso e facilmente erroneo.
D.
- Ma
i riformatori sostengono che la carità, per la Chiesa, consista
nel rincorrere il mondo.
R.
- Questo è il cardine dei ragionamenti di chi vuole mutare la
dottrina o la disciplina. Mi preoccupa molto. Si dice che i tempi sono
tanto cambiati, che non si può più parlare di diritto
naturale, dell’indissolubilità del matrimonio… Ma l’uomo non
è cambiato, continua a essere come Dio l’ha voluto. Certo, il
mondo si è secolarizzato, ma questo è un motivo in
più per dire in modo chiaro e forte la verità. E’ nostro
dovere, ma per farlo, come ha insegnato San Giovanni Paolo II nell’Evangelium vitae, bisogna chiamare
le cose con il loro nome, non possiamo usare un linguaggio quanto meno
ambiguo per piacere al mondo.
D. - La chiarezza non sembra essere una priorità dei riformatori se, per esempio, non si sentono in contraddizione quando sostengono che i divorziati risposati possono accedere alla comunione a condizione di riconoscere l’indissolubilità del matrimonio. R.
- Se uno ribadisce sinceramente l’indissolubilità del matrimonio
può solo rettificare lo stato irregolare nel quale si trova o
astenersi dalla comunione. Non ci sono vie di mezzo.
D. - Neanche quella del cosiddetto “divorzio ortodosso”? R.
- La prassi ortodossa dell’economia o del secondo o terzo matrimonio
penitenziale è storicamente e attualmente molto complessa. In
ogni caso, la Chiesa cattolica, che sa di questa prassi da secoli, non
l’ha mai adottata, in virtù delle parole del Signore ricordate
nel Vangelo secondo San Matteo (19, 9).
D. - Non pensa che, se di dovesse concedere questa apertura, ne seguiranno tante altre? R.
- Certamente. Ora si dice che questo verrà concesso solo in
alcuni
casi. Ma chi conosce un po’ gli uomini sa che, quando si cede in un
caso, si cede in tutti gli altri. Se verrà ammessa come lecita
l’unione tra divorziati risposati, verranno aperte le porte a tutte le
unioni che non sono secondo la legge di Dio perché sarà
stato eliminato il baluardo concettuale che preserva la buona dottrina
e la buona pastorale che ne discende.
D. - I riformatori parlano spesso di un Gesù disposto a tollerare il peccato per poter andare incontro agli uomini. Ma era così? R.
- Un Gesù simile è un’invenzione che non ha riscontro nei
Vangeli. Basti pensare allo scontro con il mondo nel Vangelo di San
Giovanni. Gesù è stato il più grande oppositore
del suo tempo e lo è anche al tempo di oggi. Penso a quanto
disse alla donna sorpresa in flagrante adulterio: “Neanch’io ti condanno;
va’ e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8, 11).
D.
- Ammettere alla comunione i divorziati risposati mina il
sacramento del matrimonio, ma anche quello dell’eucaristia. Non le
sembra una deriva che tocca il cuore della Chiesa?
R.
- Nella Prima Lettera ai Corinzi, al capitolo 11, San
Paolo
insegna che chi riceve l’eucaristia in stato di peccato mangia la
propria condanna. Accedere all’eucaristia significa essere in comunione
con Cristo, essere conformi a lui. Molti oppongono l’idea che
l’eucaristia non è il sacramento dei perfetti, ma questo
è un falso argomento. Nessun uomo è perfetto e
l’eucaristia è il sacramento di coloro che stanno combattendo
per essere perfetti, secondo quando chiede Gesù stesso: di
esserlo come il Nostro Padre che è in cielo (Mt 5, 48). Anche chi combatte per
raggiungere la perfezione pecca, certo, e se è in stato di
peccato mortale non può comunicarsi. Per poterlo fare deve
confessare il suo peccato con pentimento e con il proposito di non
commetterlo più: questo vale per tutti, compresi i divorziati
risposati.
D. - Oggi, la partecipazione all’eucaristia non viene quasi più visto come un atto sacramentale, ma come una pratica sociale. Non significa più comunione con Dio, ma accettazione da parte di una comunità. Non sta qui la radice del problema? R.
- E’ vero, si sta diffondendo sempre di più questa idea
protestante. E non vale solo per i divorziati risposati. Si sente
spesso dire che, in momenti particolari come la prima comunione, la
cresima dei figli o in occasione dei matrimoni, anche i non cattolici
possono essere ammessi all’eucaristia. Ma questo, ancora una volta,
è contro la fede, è contro la verità stessa
dell’eucaristia.
D. - Invece che un dibattito su questi temi, che cosa dovrebbe produrre il Sinodo. R.
- Il Sinodo non è un’assemblea democratica dove i vescovi si
radunano per cambiare la dottrina cattolica a seconda della
maggioranza. Io vorrei che diventasse l’occasione per dare il sostegno
dei pastori a tutte le famiglie che intendono vivere al meglio la loro
fede e la loro vocazione, per sostenere quegli uomini e quelle donne
che, pur tra molte difficoltà, non vogliono staccarsi da
ciò che insegna il Vangelo. Questo dovrebbe fare un Sinodo sulla
famiglia, invece che perdersi in inutili discussioni su argomenti che
non possono essere discussi nel tentativo di cambiare verità che
non possono essere cambiate. A mio avviso, sarebbe stato meglio
togliere questi temi dal tavolo perché non sono disponibili. Si
parli piuttosto di come aiutare i fedeli a vivere la verità del
matrimonio. Si parli della formazione dei ragazzi e dei giovani che
arrivano al matrimonio senza conoscere gli elementi fondamentali della
fede e poi cadono alle prime difficoltà.
D. - I riformatori non pensano a quei cattolici che hanno tenuto insieme la loro famiglia anche in situazioni drammatiche rinunciando a rifarsi una vita? R.
- Tante persone che hanno fatto questa fatica mi chiedono ora se hanno
sbagliato tutto. Chiedono se hanno buttato via la loro vita tra inutili
sacrifici. Non è accettabile tutto questo, è un
tradimento.
D. - Non pensa che la crisi della morale sia legata alla crisi liturgica? R.
- Certamente. Nel postconcilio si è verificata una caduta della
vita di fede e della disciplina ecclesiale evidenziata specialmente
dalla crisi della liturgia. La liturgia è diventata
un’attività antropocentrica, ha finito per rispecchiare le idee
dell’uomo invece che il diritto di Dio di essere adorato come Lui
stesso chiede. Da qui, discende anche nel campo morale l’attenzione
quasi esclusiva ai bisogni e ai desideri degli uomini, invece che a
quanto il Creatore ha scritto nei cuori delle creature. La lex orandi è sempre legata
alla lex credendi. Se l’uomo
non prega bene, allora non crede bene e quindi non si comporta bene.
Quando vado a celebrare la Messa tradizionale, per esempio, vedo tante
belle famiglie giovani, con tanti bambini. Non credo che queste
famiglie non abbiano problemi, ma è evidente che hanno
più forza per affrontarli. Tutto questo vorrà pur dire
qualcosa. La liturgia è l’espressione più perfetta,
più completa della nostra vita in Cristo e quando tutto questo
diminuisce o viene tradito ogni aspetto della vita dei fedeli viene
ferito.
D.
- Che cosa può dire un pastore al cattolico che si sente
smarrito
davanti a questi venti di cambiamento?
R.
- I fedeli devono prendere coraggio perché il Signore non
abbandonerà mai la sua Chiesa. Pensiamo come il Signore ha
placato il mare in tempesta e le sue parole ai discepoli:
“Perché avete paura, gente di poca fede?” (Mt 8, 26). Se questo
periodo di confusione sembra mettere a rischio la loro fede, devono
solo impegnarsi con più forza in una vita veramente cattolica.
Ma mi rendo conto che vivere di questi tempi dà una grande
sofferenza.
D. - Riesce difficile non pensare a un castigo. R.
- Questo lo penso prima di tutto per me stesso. Se io sto soffrendo
adesso per la situazione della Chiesa, penso che il Signore mi sta
dicendo che ho bisogno di una purificazione. E penso anche che, se la
sofferenza è così diffusa, ciò significa che
c’è una purificazione di cui tutta la Chiesa ha bisogno. Ma
ciò non dipende da un Dio che aspetta solo di punirci, dipende
dai nostri peccati. Se in qualche modo abbiamo tradito la dottrina, la
morale o la liturgia, segue inevitabilmente una sofferenza che ci
purifica per riportarci sulla via stretta.
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ottobre 2014 |