Sinodo straordinario sulla famiglia

– Primo tempo –

Una riflessione


di Giovanni Servodio





Così siamo giunti alla fine del primo tempo di questo film surreale che si è rivelato essere il Sinodo straordinario sulla famiglia, voluto da papa Bergoglio per porsi “nel duplice ascolto dei segni di Dio e della storia degli uomini e nella duplice e unica fedeltà che ne consegue”.
Sono le parole che si leggono nella “Relatio post disceptationem” (n° 3) presentata dal cardinale Péter Erdő il 13 ottobre 2014 e pubblicata sul sito del Vaticano.

Ed è proprio questa frase che, più di altre, rivela quella che si usa chiamare la mens di questo Sinodo o, per dirla più semplicemente, la sua intima intensione: un’assemblea planetaria di vescovi cattolici che ha inteso dedicarsi all’ascolto dei “segni di Dio” – e passi! – e della “storia degli uomini”.
Anche a voler tralasciare l’“ascolto” dei “segni” – una sorta di metafora moderna di stile mediatico superficiale e non certo di stile religioso – non si può evitare di chiedersi quale sia il senso vero di tale “duplice ascolto”.
I vescovi non dovrebbero – crediamo ingenuamente – osservare o “ascoltare” “la storia degli uomini”, semmai dovrebbero osservarla per ponderarla e giudicarla alla luce del Vangelo.
Ma pare che non sia così, almeno per questi  vescovi, e a leggere questa “Relatio”, perché lo strano “duplice ascolto” rivela che essi sentono il dovere di guardare “insieme” a Dio e agli uomini, ai segni di Dio e alla storia degli uomini, e non per valutare la seconda sulla scorta dei primi, ma per prenderli entrambi in seria considerazione “positiva”; quasi una confessione della perfetta equivalenza – nei loro cuori – dei primi con la seconda; un’improvvida e distorcente equiparazione che riduce i “segni di Dio” a mere manifestazioni terrene, e eleva “la storia degli uomini” ad eccelsa maestra di pensiero e di vita.

Non più la Chiesa che “informa” il mondo con la sua dottrina, che è l’insegnamento di Dio, ma il mondo – “la storia degli uomini” – che fornisce alla Chiesa i lumi per riflettere sui “segni di Dio”.

Nessuna esasperazione! Perché si legge testualmente: “nella duplice e unica fedeltà che ne consegue”.
Cioè?
Cioè niente, perché l’espressione in sé non significa granché, ma nasconde parecchio.
Quando si afferma che i vescovi si sentono vincolati ad una duplice fedeltà: ai segni di Dio e alla storia degli uomini, e che tale “duplice” fedeltà nei loro cuori sarebbe - “inevitabilmente?”- “unica”, se ne deduce che si tratta di una stessa fedeltà e della sola fedeltà sentita dai vescovi. Il che significa che nei loro cuori vi è un’unica fedeltà che debbono sia a Dio – ai “segni di Dio” – sia agli uomini - “alla storia degli uomini”.
Ancor prima di essere singolare, tale dichiarazione è semplicemente blasfema: dice il Signore: «Nessun può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire a Dio e a mammona» (Mt. 6, 24; Lc. 16, 13).

Ed è singolare, perché ci si chiede a quale “storia degli uomini” i vescovi debbano essere fedeli.
Chiunque conosca solo un po’ di “storia”, sa che di storie ne esistono a decine, molte delle quali sono coeve: una cosa è la storia dell’Occidente vista degli Occidentali, altra cosa è la stessa storia vista dagli Orientali, e potremmo continuare con la storia dei vinti e la storia dei vincitori, con la storia dei deboli e la storia dei forti, e così via.
A quale storia si sentono legati dal vincolo di fedeltà i vescovi del Sinodo?
Dal momento che non è detto e che non si accenna neanche alla storia sacra, si deve presumere che si tratti della storia corrente, cioè del modo di vita corrente del mondo moderno.
Ed allora è a questo vivere moderno che i vescovi cattolici riuniti in Sinodo sentono di dovere fedeltà.
Ma non si era detto che il principe di questo mondo è Satana?
Ed allora è alle opere di Satana che i vescovi debbono fedeltà?
Ma non avevano rinunciato anche loro alle opere di Satana, fin dal Battesimo?
Evidentemente c’hanno ripensato!

Ma è veramente così?
Se non è così in modo conscio, questa dichiarazione manifesta che è sicuramente così in modo inconscio, rivelando il terribile stato di dissociazione in cui essi si trovano.

Partendo da questa premessa, non sembra che si possa andare molto lontano… cattolicamente.
Ma siccome non può porsi limite alla Provvidenza di Dio, così, modernamente, non deve porsi limite alla potenza intellettuale degli uomini, soprattutto se chierici della nuova Chiesa conciliare!
I quali, grazie alla lucidità mentale ormai notoria, affermano (n° 5):
Il cambiamento antropologico-culturale oggi … richiede un approccio analitico e diversificato, capace di cogliere le forme positive della libertà individuale. Va rilevato anche il crescente pericolo rappresentato da un individualismo esasperato.”

Peccato che il “cambiamento antropologico-culturale”, ormai ben noto anche agli sprovveduti, è tale che, lungi dal richiedere ulteriori approcci analitici e diversificati, richiede la presa d’atto della sua perniciosità, della sua devianza e della sua induzione all’errore, al peccato e alla perdizione eterna delle anime.
E in tali condizioni non v’è alcunché di positivo che si possa cogliere da esso, e meno che meno alcuna forma positiva della libertà individuale, se non i residui di tenuta cattolica che ancora permangono in tanti uomini e che non sono da ricondurre né alla libertà individuale né al cambiamento antropologico-culturale, bensì a quanto di buono ha seminato nei loro cuori l’insegnamento cattolico ed ha alimentato la frequenza dei sacramenti cattolici.

Se si trascura tutto questo, resta solo una sorta di apprezzamento gratuito della libertà individuale, condotto in maniera tanto più incosciente per quanto si pretenda di distinguere, in modo fittizio, tra “forme positive della libertà individuale” e “indivualismo esasperato”.
Qui siamo alla stessa puerile, e colpevole, distinzione tra laicità buona e laicità cattiva o laicismo, come se la laicità, di per sé, e vissuta nell’attuale contesto “antropologico-culturale”, non fosse una palese dichiarazione di guerra a Dio, esattamente come la libertà individuale e l’individualismo oggi non sono altro che la pretesa dell’uomo all’autosufficienza, in quanto convinto di potere e di dovere prescindere da Dio e dalle sue leggi.


Ed è da questo delirio di onnipotenza che “si riscontra nei singoli un maggior bisogno di prendersi cura della propria persona, di conoscersi interiormente, di vivere meglio in sintonia con le proprie emozioni e i propri sentimenti, di cercare una qualità relazionale nella vita affettiva”.
Parole che si leggono testualmente nella “Relatio” (n° 9) e che riescono a suscitare nei vescovi solo la considerazione che “Qui vi è una grande sfida anche per Chiesa. Il pericolo individualista e il rischio di vivere in chiave egoistica sono rilevanti.

Parole che rivelano quindi una totale soggezione di questi vescovi alla moderna concezione viscerale dell’esistenza, tale da far loro scorgere semplicemente “il pericolo individualista” laddove è del tutto evidente la degenerazione in atto di ogni reale senso dell’esistenza e la manifestazione neanche tanto camuffata di ogni genere di vizio e deviazione.

Cos’è il “maggior bisogno di prendersi cura della propria persona” se non il sintomo evidente del narcisismo materiale che si fonda sull’auto sufficienza morale e spirituale?
Che cos’è il maggior bisogno di “conoscersi interiormente” se non la pretesa di affondare la coscienza nella profondità della psiche con l’aiuto delle moderne concezioni neo-spiritualiste ed esistenzialiste?
Che cos’è il maggior bisogno “di vivere meglio in sintonia con le proprie emozioni e i propri sentimenti”, se non il risultato del bisogno di prima, che porta gli uomini ad identificarsi con le proprie pulsioni viscerali e con ogni giustificazione sentimentale di esse?
Che cos’è il maggior bisogno “di cercare una qualità relazionale nella vita affettiva”, se non il soddisfacimento della voglia personale di vivere qualunque “affetto” a prescindere dalla reale natura individuale?

E tutto questo, invece di essere bollato come deviazione antiumana che disprezza Dio e soggiace alle suggestioni di Satana, i vescovi lo chiamano “grande sfida per la Chiesa”, auspicando di fatto l’allineamento della vita cattolica alla depravazione del mondo.

Ed è inutile che si affermi (n° 10) che “Il mondo attuale sembra valorizzare una affettività senza limiti di cui si vogliono esplorare tutti i versanti, anche quelli più complessi”, e cioè ogni sorta di depravazione, se poi se ne deduce la mera incertezza delle coppie, l’esitazione e la fatica “a trovare i modi per crescere”; laddove si tratta invece della disintegrazione della personalità dei singoli e della realtà vera delle coppie.

Si deve concludere, quindi, che ci troviamo di fronte ad una totale mancanza di senso della responsabilità e di coraggio che trasforma questi vescovi da ministri di Dio in pavidi agenti di Satana.

Fino al punto che si legge (n° 11): “Occorre accogliere le persone con la loro esistenza concreta, saperne sostenere la ricerca, incoraggiare il desiderio di Dio e la volontà di sentirsi pienamente parte della Chiesa anche di chi ha sperimentato il fallimento o si trova nelle situazioni più disparate. Questo esige che la dottrina della fede, da far conoscere sempre di più nei suoi contenuti fondamentali, vada proposta insieme alla misericordia.

Così che si stabilisce che a priori non vi sarebbe nulla da riprovare, nulla da distinguere, nulla da additare come male, e di conseguenza nulla da indicare come bene… una sorta di rinuncia al discrimine, dove ogni cosa buona e ogni cosa cattiva convivrebbero insieme in una condizione di irreale anormalità, mentre si provvede alla negazione della vera normalità stabilita da Dio.
Il tutto sostenuto da una pretesa cervellotica che porta a dichiarare: “Questo esige che la dottrina della fede, da far conoscere sempre di più nei suoi contenuti fondamentali, vada proposta insieme alla misericordia”.

Un’incredibile novità, inaudita finora, che misconosce che la misericordia faccia parte della dottrina della fede, e lo misconosce volutamente e strumentalmente, per poter far passare il messaggio fuorviante che una cosa sarebbe la dottrina e altra cosa la misericordia, tali da poter essere coniugate separatamente e, se fa comodo, in maniera alternativa ed esclusiva… soprattutto della seconda nei confronti della prima.
Infatti, cosa significa un’affermazione siffatta, se non che si possa, e si debba, praticare la misericordia in alternativa alla dottrina e, se fa comodo, nonostante la dottrina?

Non contenti di questo, si cerca poi di far risalire questa dirompente novità fino a Gesù stesso (n° 12): “Gesù ha guardato alle donne e agli uomini che ha incontrato con amore e tenerezza, accompagnando i loro passi con pazienza e misericordia, nell’annunciare le esigenze del Regno di Dio.”; senza apportare a sostegno alcun riferimento ai Vangeli e dimenticando volutamente che i Vangeli ruotano intorno ad un principio che può essere riassunto dal noto passo dell’adultera salvata dalla lapidazione e a cui Gesù dice: «Neanch’io ti condanno; va e d’ora in poi non peccare più» (Gv. 8, 11), letto insieme al passo della guarigione dell’infermo alla piscina di Betzaetà, a cui Gesù dice: «Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio» (Gv. 5, 14); passi dai quali si evince che la misericordia di Gesù non implica affatto l’accompagnamento dei “loro passi con misericordia e pazienza”, quanto piuttosto la gratuita elargizione della grazia che esige la sincera e definitiva conversione, pena un castigo ancora maggiore.

Questi vescovi dimenticano volutamente, e colpevolmente, che l’“amore e la tenerezza” di Gesù, lungi dall’essere mera sdolcinatura sentimentale, erano e sono “giustizia divina”, quella stessa giustizia annunciata da Gesù in questi termini: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo.  … Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. … E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna».» (Mt. 25, 31-34, 41 e 46).

Passo del Vangelo che toglie ogni eventuale dubbio sull’insegnamento di Gesù e non permette che si possa affermare quanto scritto in questa “Relatio” (n° 14): “Gesù stesso, riferendosi al disegno primigenio sulla coppia umana, riafferma l’unione indissolubile tra l’uomo e la donna, pur comprendendo che «per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così» (Mt 19,8). In tal modo, Egli mostra come la condiscendenza divina accompagni sempre il cammino umano, orientandolo verso il suo principio, non senza passare attraverso la croce.”
Dove si vorrebbe far credere innanzi tutto, a mo’ di premessa, che Gesù confermasse il ripudio della moglie, risalente a Mosè, in nome della “condiscendenza divina”. Per concludere subdolamente: “In tal modo, Egli [Gesù] mostra come la condiscendenza divina accompagni sempre il cammino umano, orientandolo verso il suo principio, non senza passare attraverso la croce”.

Solo degli stolti possono provare a far credere ai fedeli che Gesù abbia insegnato che bisogna “accompagnare” il “cammino umano” nell’errore, quando nel Vangelo si legge: «Ed egli rispose: “Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”. Gli obiettarono: “Perché allora Mosè ha ordinato di darle ‘'atto di ripudio e mandarla via?”. Rispose loro Gesù: “Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un’altra commette adulterio”» (Mt. 19, 4-9).

E allora, da parte nostra, abbiamo l’obbligo di dire chiaramente, parafrasando la “Relatio”: “In tal modo, Egli [Gesù] mostra come la giustizia divina non accompagni mai il cammino umano, esigendo invece la fedeltà al principio, anche passando attraverso la Croce”.
È questo che avrebbero dovuto scrivere questi vescovi, e non il suo contrario, come hanno fatto, per trarre in inganno i fedeli e spianare loro la strada verso l’Inferno.

Hanno invece messo in essere una palese manovra di persuasione occulta per poter preparare gli spiriti ad accogliere una solenne eresia (n° 17): “In considerazione del principio di gradualità del piano salvifico divino, ci si chiede quali possibilità siano date ai coniugi che vivono il fallimento del loro matrimonio, ovvero come sia possibile offrire loro l’aiuto di Cristo attraverso il ministero della Chiesa. A questo proposito, una significativa chiave ermeneutica proviene dall’insegnamento del Concilio Vaticano II, il quale, mentre afferma che «l’unica Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica», riconosce che anche «al di fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, appartenendo propriamente per dono di Dio alla Chiesa di Cristo, spingono verso l’unità cattolica” (Lumen Gentium, 8).”
Dove, sulla base dell’eresia pronunciata dal Vaticano II e relativa all’impossibile santificazione presente nell’errore che sta fuori dalla Chiesa e contro di essa, si vorrebbe far passare, per similitudine, l’altrettanto impossibile santificazione che sarebbe presente nelle situazioni familiari irregolari, e cioè nelle coppie che decidono di vivere fuori dal matrimonio cattolico e contro di esso.
E questo perché, dice la “Relatio” (18): “La dottrina dei gradi di comunione, formulata dal Concilio Vaticano II, conferma la visione di un modo articolato di partecipare al Mysterium Ecclesiae da parte dei battezzati”.
Come dire che ognuno è padrone di essere cattolico come gli pare e piace.

Fino al punto che la Chiesa dovrebbe riconoscere e rispettare tutto ciò che fa a pugni con la dottrina di Cristo e con la disciplina cattolica (n° 20): “Rendendosi dunque necessario un discernimento spirituale, riguardo alle convivenze e ai matrimoni civili e ai divorziati risposati, compete alla Chiesa di riconoscere quei semi del Verbo sparsi oltre i suoi confini visibili e sacramentali. Seguendo lo sguardo ampio di Cristo, la cui luce rischiara ogni uomo (cf. Gv 1,9; cf. Gaudium et Spes, 22), la Chiesa si volge con rispetto a coloro che partecipano alla sua vita in modo incompiuto e imperfetto, apprezzando più i valori positivi che custodiscono, anziché i limiti e le mancanze.”

Di fatto un inno all’errore, di qualsiasi tipo esso sia, nel quale la Chiesa “deve” – “compete alla Chiesa” – riconoscere i semi del Verbo.
Mai si era sentita una blasfemia più pesante e più sfacciata; abbiamo dovuto aspettare il Vaticano II e papa Bergoglio per scoprire che anche in Satana sarebbero presenti degli elementi di santificazione che, per di più, “compete alla Chiesa di riconoscere”.

E nel leggere tali aberrazioni è inevitabile andare con la mente al monito di Nostro Signore: «Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; per il dilagare dell’iniquità, l’amore di molti si raffredderà. Ma chi persevererà sino alla fine, sarà salvato … Quando dunque vedrete l'abominio della desolazione, di cui parlò il profeta Daniele, stare nel luogo santo - chi legge comprenda» (Mt. 24, 11-13 e15).

Ed ecco la conseguente pastorale (n° 22): “In tal senso, una dimensione nuova della pastorale familiare odierna, consiste nel cogliere la realtà dei matrimoni civili e, fatte le debite differenze, anche delle convivenze. Infatti, quando l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico, è connotata da affetto profondo, da responsabilità nei confronti della prole, da capacità di resistere nelle prove, può essere vista come un germe da accompagnare nello sviluppo verso il sacramento del matrimonio. … Conforme allo sguardo misericordioso di Gesù, la Chiesa deve accompagnare con attenzione e premura i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito, ridonando fiducia e speranza”.

Ma questo non è più l’insegnamento cattolico: qui siamo all’assurdo dei vescovi che hanno fatto proprio l’insegnamento massonico e che osano spacciarlo per insegnamento della Chiesa di Cristo.

Pastorale che guarda ai divorziati con due direttive da adottare: annullare canonicamente i matrimonii falliti e regolarizzati dalla legge laica, e permettere ai divorziati risposati di accedere all’eucarestia (nn° 40-49).

E guarda anche agli omosessuali, dei quali i vescovi affermano (n° 50): “Le persone omosessuali hanno doti e qualità da offrire alla comunità cristiana”,
tali che la Chiesa (n° 52): “Senza negare le problematiche morali connesse alle unioni omosessuali si prende atto che vi sono casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita dei partners.”

Da cui è facile comprendere che non abbiamo esagerato prima, quando abbiamo indicato che i vescovi cattolici hanno deciso di abbracciare la menzogna di Satana, spacciandola per verità cattolica.

E mettiamo la parola “fine” allo sguardo d’insieme sul primo tempo di questo film surreale che si è rivelato essere il Sinodo straordinario sulla famiglia; ripetendo a noi stessi e agli altri quanto assicurato da Nostro Signore a fronte del dilagare dell’iniquità: «Ma chi persevererà fino alla fine, sarà salvato» (Mt. 24, 13).



ottobre 2014

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