Alea iacta est

di Belvecchio





Pubblicato il resoconto – la “Relatio” – della prima parte del Sinodo, ecco apparire tutti i distinguo, le precisazioni, il chiamarsi fuori. Non poche voci si sono levate per criticare questo resoconto e per chiedere che venga emendato, a tratti fortemente.

Ci sbaglieremo, ma abbiamo l’impressione di rivedere un film già visto.
Se la memoria non c’inganna – e non c’inganna perché ormai sta tutto scritto – anche al tempo della “nuova Messa” si ripeté la stessa scena: i vescovi avevano detto che la “nuova Messa” non andava bene, che bisognava emendarla, ma Paolo VI la promulgò, con il codazzo della proibizione di fatto, pena ritorsioni disciplinari, della Messa tradizionale.
La Chiesa si trovò di fronte al fatto compiuto, ad un fatto compiuto da un papa, che non avrebbe potuto compierlo e tuttavia lo compì. E lo compì in maniera tanto decisa e definitiva che i fedeli sono costretti ancora oggi a sorbirsi questa “nuova Messa” non più interamente cattolica e a sottostare alla limitazione della Messa tradizionale, che un altro papa – oggi emerito – ha perfino declassata a Messa di seconda categoria, nonostante la strumentale dichiarazione che essa non sarebbe mai stata abrogata… a parole… perché nei fatti ancora oggi non si può celebrare.
Un pasticcio.

Una farsa che si ripete dal 1962 e che, sulla base dell’altrettanto farsesco Vaticano II, ogni lustro che passa tende ad assumere sempre più i connotati della tragedia.

Chi non ricorda la leggenda metropolitana di Paolo VI che avrebbe firmato la “Nuova Messa” piangendo? Senza che nessuno abbia mai spiegato se piangesse per la distruzione della Messa tradizionale o per l’essere stato lui stesso l’artefice del disastro.
Oggi la sceneggiata si ripete, tutti hanno ormai capito che la dottrina della Chiesa è stata volutamente stravolta dall’attuale Sinodo, per volere di tanti vescovi e di papa Bergoglio, ma ci sono dei vescovi che obiettano, con la stessa obiezione di allora, ben sapendo che anche oggi andrà a finire come allora.

Ormai il dato è tratto – alea iacta est e questo è un fatto, e contro i fatti non valgono le recriminazioni, i distinguo e… ci si permetta… le chiacchiere!
Sì, perché a nulla vale parlare se non si ha il coraggio di agire di conseguenza.

Lo scisma, la ribellione aperta?

Sono passati cinquant’anni e ancora non s’è capito che l’unica possibilità di rimanere cattolici è “resistere” agli insegnamenti eterodossi e a chi li propone, vescovo o papa che sia.
E quest’azione salutare – per la salvezza delle anime – non basta che la conducano i laici e qualche sacerdote, è opportuno, necessario e doveroso che la conducano i vescovi.

Trent'anni fa i vescovi lasciarono soli Mons. Lefebvre e Mons. de Castro Mayer e ancora oggi ci portiamo dietro la conseguenza di questo cedimento, che oggi è diventato resa incondizionata al mondo e alle sue aberrazioni.
Se oggi non sorgeranno vescovi coraggiosi e pronti a pagare a caro prezzo la loro fedeltà a Nostro Signore - usque ad sanguinis effusionem - non è peregrino prospettare un castigo terribile che dal Cielo si abbatterà sul mondo cattolico, e allora sarà pianto e stridore di denti.

La preghiera e la perseveranza sono dei fedeli, l’uso del bastone pastorale è dei vescovi, e se non si troveranno più pastori disposti a battersi contro i lupi, il gregge verrà disperso e sarà una strage di corpi e di anime, sotto la direzione di Satana che non vede l’ora di portare all’Inferno il maggior numero di anime possibile.

Nessuno si inganni circa la protezione del Cielo, nessuno pensi che comunque il Cielo interverrà per mettere al riparo tanti fedeli… il vecchio adagio recita: “aiutati che Dio t’aiuta” e mai s’è sentito che Dio intervenga a contrastare il libero arbitrio dell’uomo.
Se l’uomo, laico o chierico che sia, non decide liberamente di resistere al male, se i vescovi non decidono di resistere all’attuale opera di demolizione di ciò che rimane della Chiesa di Cristo, nessuna potenza del Cielo interverrà per fare ciò che loro non intendono fare.
Altro che assistenza dello Spirito Santo!

E non s’illudano certi ambienti ancora reputati “tradizionali” e certi altri che si ritengono “conservatori”, che possa bastare la loro presenza e il loro esempio per fare cambiare rotta ai vescovi e al Papa modernisti e mondialisti. Costoro esercitano in positivo la loro opera sovversiva, combattendo la Tradizione e i suoi sostenitori con le parole e con le opere; lo stesso si esige da coloro che intendessero combattere la sovversione: parole e opere positive, denunciando e sconfessando i sovversivi con tutti i mezzi a loro disposizione derivati dal munus che è loro proprio.

La sovversione va combattuta anche abbandonando a loro stessi i vescovi che si sono messi consciamente o inconsciamente al servizio di Satana, avendo il coraggio di dichiarare che costoro si sono posti fuori dalla Chiesa: siano essi vescovi, cardinali o papi. Ogni tentennamento è un cedimento, ed ogni cedimento è un tradimento, e ogni tradimento chiede vendetta al cospetto di Dio.

Non si può tradire impunemente il mandato ricevuto con la consacrazione.
Non si possono impunemente abbandonare i fedeli in balia dell’influenza e dell’azione di Satana.
Non si può lasciare che le pecore diventino ogni giorno di più pasto per i lupi.
Se un pastore non se la sente più di dedicarsi alla cura delle anime, abbandoni ad altri pastori il suo compito, si ritiri in preghiera e in penitenza e lasci che altri facciano quello che lui non si sente di fare.

I tempi sono maturi per il duro discernimento e richiedono cuori caldi, nervi saldi e menti lucide… il pastorale serve per colpire e abbattere i lupi, non per appoggiarvisi sopra a sostenere la pavidità e il tradimento: a lungo andare esso cederà sotto il peso dell’iniquità e il pavido verrà scaraventato nella fossa della perdizione.



ottobre 2014

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