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L'altare e il santuario: ieri e oggi Di Mons. Klaus Gamber
"…cosí nel santuario ti ho cercato, per contemplare
la tua potenza e la tua gloria." (Salmi 63 (62), 3).
Queste parole del salmista fanno ben comprendere quale fosse la partecipazione interiore dei fedeli dell’Antico Testamento che accedevano al Tempio di Gerusalemme; in definitiva esse non sono altro che la preghiera di Mosè che chiede a Dio di poter contemplare il suo volto (cfr. Esodo 33, 11-23). Ma, come Mosè non vide Yahweh che "di spalle", cosí il credente Israelita non vedeva che il santuario di Dio, di piú, se non apparteneva al rango dei sacerdoti, lo stesso santuario lo vedeva solo dall’esterno. Il visitatore della casa di Dio (domus Dei)
cristiana, dovrebbe esprimere lo stesso augurio del salmista: vedere "la
gloria" di Dio e contemplare al sua "potenza", così come essa appare
nel corso della messa, tramite i riti e le rappresentazioni. Noi contempliamo
il Signore velato sotto le specie eucaristiche, poiché quaggiú
non ci è permesso contemplare il volto di Dio senza morirne (cfr.
Esodo 33, 20).
Al fine di mirare un po’ "della potenza e della gloria" di Dio e viverne nella liturgia, gli uomini, nel corso dei secoli scorsi, hanno edificato delle chiese e delle cattedrali e le hanno sistemate come meglio potevano. Hanno convenuto che il loro tempio, in quanto dimora di Dio, fosse sontuoso, nonostante vivessero in misere capanne. Non era il loro santuario? Stava bene a tutti. Mai si erano costruite tante nuove chiese come durante gli anni che seguirono la seconda guerra mondiale. La maggior parte di esse sono delle costruzioni puramente utilitaristiche, in cui si è volontariamente rinunciato a produrre delle opere d’arte, nonostante siano costate tanti milioni. Dal punto di vista tecnico non manca niente: hanno una buona acustica e una perfetta aerazione, sono ben illuminate e facili da scaldare. L’altare si può guardare da tutti i lati. Tuttavia, queste chiese non sono delle case di Dio, nel vero senso della parola, non sono uno spazio sacro, un tempio del Signore ove si ama andare per adorare Dio e per esporgli i propri bisogni. Sono delle sale di riunione dove non si va piú al di fuori dei momenti dedicati agli offici. Degne compagne degli "alveari" e dei "depositi umani" quali sono i fabbricati delle periferie delle città, queste chiese, nel linguaggio popolare, sono talvolta chiamate "silos d’anime" o "depositi da pater noster". Altre sono state espressamente concepite come delle opere
d’arte: il loro modello è la cappella del pellegrinaggio di Ronchamp.
Qui, il celebre architetto Le Corbusier, che era agnostico, è riuscito
a produrre un’opera d’arte architettonica. E tuttavia non è diventata
una chiesa, forse, al massimo, un luogo di preghiera adatto alla meditazione.
I nuovi edifici divennero cosí dei simboli dei nostri tempi, e anche il segno di un dissolvimento delle norme esistenti, nonché l’immagine di ciò che è caotico nell’universo contemporaneo. Ora, uno spazio cultuale ha le sue leggi, che non sono sottomesse né alla moda né ai cambiamenti del tempo. Nel Tempio di Gerusalemme Dio abita in una maniera particolare, ed è in un luogo siffatto che si compie il culto reso a Dio. C’è da aggiungere anche che, oggi, le basi spirituali e teologiche difettano; la vita pubblica è in gran parte secolarizzata; le Chiese cristiane non sono piú, sfortunatamente, la forza principale della società occidentale. E tuttavia gli architetti continuano a costruire, come se niente fosse cambiato, tanto il denaro in genere non manca: i giganteschi centri parrocchiali che si edificano nelle periferie darebbero l’impressione che la Chiesa continui ad essere la grande calamita che attira gli uomini. In avvenire sarà meglio costruire solo degli edifici semplici, relativamente piccoli che, se non si distingueranno molto dall’esterno, presenteranno però all’interno una sistemazione di buon gusto, interamente orientata al suo fine cultuale. Allo stesso modo, la basilica della Chiesa delle origini, vista dalla strada, si distingueva solo poco come edificio; tuttavia, per la sontuosità dei suoi tendaggi e delle sue lampade, e soprattutto per l’arredo prezioso dell’altare e del santuario, il suo interno componeva un quadro degno del mistero che vi si svolgeva. Nelle nuove chiese, la disposizione del santuario è
oggetto di soluzioni differenti. Nelle chiese costruite fra le due guerre,
per raggiungere l’altare si dovevano superare numerosi gradini, cosí
che l’altare stesso si presentava su un piano sopra elevato; ai giorni
nostri si piazza l’altare su un podio isolato, disposto il piú vicino
possibile ai fedeli.
In cambio, le chiese ortodosse d’Oriente vengono costruite, ancora oggi, alla stesso modo di mille anni fa, ornate di pitture e di icone. In questo caso si tratta di un’arte tipica, in cui l’architetto e l’artista sono legati ad un "tipos", ad un modello tradizionale, senza peraltro che questo abbia prodotto un’arte uniforme. Anche in Occidente, sulla base della tradizione che si aveva in comune con l’Oriente, era essenziale che il santuario fosse separato dallo spazio riservato ai fedeli, come già a Gerusalemme, ove il santuario aveva un suo posto in mezzo alle costruzioni che componevano il Tempio. Il principio oggigiorno tanto decantato, secondo il quale "l’altare dev’essere al centro", è dunque falso, se ci si vuole riferire alla sua localizzazione. L’altare è il centro dell’azione sacra: è
su di esso che nel corso della celebrazione della messa riposa "…l’agnello,
come immolato" dell’Apocalisse (5, 6). È per questo che sant’Ildegarda
di Bingen la chiama: "la tavola dispensatrice della vita" e aggiunge: "Quando
il prete… s’accosta all’altare per celebrare i santi misteri, un bagliore
di luce scintillante appare subito nel cielo. Gli angeli scendono dal cielo,
la luce avvolge l’altare… e gli spiriti celesti
s’inchinano alla vista del servizio divino" (4).
La celebre icona di Cristo del monastero del monte Sinai,
data della stessa epoca, e viste le sue dimensioni - 84 cm. d’altezza -
deve provenire da una di queste antiche iconòstasi. Si fissavano,
e si fissano ancora, le icone, parte fra le colonne della pergola e parte
sopra di essa, come nel caso della deisis (Cristo fra Maria e Giovanni
Battista).
Ma ciò che piú importa è che reimpariamo ad avere rispetto per l’altare. Nella Chiesa d’Oriente, come in quella d’Occidente, è
d’uso che il sacerdote che si accosta all’altare vi s’inchini profondamente
dinnanzi; nel libro dell’Esodo (29, 37), a proposito dell’altare del
tabernacolo, sta scritto: "Tutto ciò che lo tocca sarà santificato".
Anche Gesú dichiara che è "l’altare che rende sacra l’offerta"
(cfr. Matteo 23, 18) e che non vi si deve presentare l’offerta se prima
non ci si è riconciliati col proprio fratello (Cfr. Matteo, 5, 23).
Nella Chiesa delle origini, e anche in seguito, dal baldacchino
dell’altare, oltre al lampadario circolare, pendeva un vaso d’oro o d’argento,
raffigurante spesso una colomba, e in cui si conservava l’eucaristia (per
la comunione dei malati). A questo scopo si utilizzò molto presto
anche uno scrigno, il quale, al pari dell’Arca dell’Alleanza dell’Antico
Testamento (arca), era in legno d’acacia ricoperto di lamine d’oro
(cfr. Esodo 37, 1-9). A Coira se ne conserva un bell’esemplare dell’VIII
sec. Il ciborio dorato dell’imperatore Arnulfo, che si trovava prima a
Sant’Emmeran di Ratisbona e che adesso si trova a Monaco, è del
IX sec.; con le sue quattro colonnine esso somiglia molto all’artophorion
(tabernacolo) che si trova oggi sull’altare delle chiese bizantine.
È solo piú tardi che si instaurò l’uso di dipingervi sopra l’immagine del Crocifisso o di fissarvela sotto forma di raffigurazione su smalto, ma, anche allora, non tanto come Cristo doloroso o morente fra atroci sofferenze, quanto come vincitore della morte o sommo sacerdote. La raffigurazione plastica del corpo suppliziato, come in seguito è divenuta abituale in Occidente, l’Oriente la rigetta per principio, perché si ritiene che sottolinei troppo l’aspetto umano, fisico. Dal momento che, secondo la concezione tradizionale, la
raffigurazione sull’àbside del Figlio di Dio in gloria e la croce
poggiata o al di sopra dell’altare, sono gli elementi essenziali dell’addobbo
del santuario, non si è mai messo in dubbio che lo sguardo del sacerdote
celebrante, al momento dell’offerta del sacrificio, debba essere diretto
verso Oriente, verso la croce e la raffigurazione di Cristo trasfigurato,
e non verso i fedeli che partecipano alla celebrazione, come è il
caso oggi nella celebrazione versus populum (verso il popolo).
Nell’ortodossia, l’artista ha come prima missione, quella di raffigurare il mistero della salvezza, come esso è descritto nella Sacra Scrittura e trasmesso dalla Tradizione; delimitazione, questa, che lo preserva dall’arbitrio molto spesso eccessivo che possiamo riscontrare nell’arte sacra contemporanea, pur senza limitarlo oltremodo nella sua realizzazione artistica. Dopo che in Occidente, contrariamente a quanto avvenuto in Oriente, la disposizione del santuario e degli altari ha subíto, a piú riprese, diversi cambiamenti nel corso dei secoli , oggi non si può negare che, in seguito al concilio Vaticano II, si sia prodotto un cambiamento d’ordine fondamentale. In molti ambienti, subito dopo il Concilio, si è giunti a sopprimere il banco della comunione, quanto rimaneva cioè dell’antica barriera del coro, e si è installato - davanti all’esistente altar maggiore - un altare destinato alla celebrazione verso il popolo. Dappertutto microfoni! sull’altare, sui seggi, sull’ambone; e la cattedra? mai piú utilizzata. E queste nuove disposizioni del santuario sono state attuate in tutti i continenti, con un coralismo straordinario. Mentre nelle chiese antiche l’altare (nuovo) verso il popolo, i seggi e l’ambone sono stati concepiti, per molto tempo, come oggetti mobili, che si potevano rimuovere in qualsiasi momento, negli edifici nuovi o rinnovati essi sono stati ordinati in maniera definitiva, in funzione di questa nuova organizzazione che si ritiene "moderna". L’eucaristia si conserva in un tabernacolo murale (in mezzo al muro di fondo o sul muro laterale sinistro). Il nuovo altare verso il popolo è in pietra e spesso posto in maniera da permettere solo la celebrazione versus populum, i seggi sono talvolta due, anch’essi in pietra, come l’ambone, di aspetto massiccio e in uno stile sovente equivoco, in ogni caso non in linea con la tradizione! Ora, addentrandoci nei secoli passati, vi sono veramente tantissimi modelli in grado di fornirci delle idee circa la sistemazione in particolare dell’altare. E. A. Lengeling ha esposto le Tendenzen des deutschen katholischen Kirchenbaus aufgrund der Beschlüsse des 2. Vatikanischen Konzils (Tendenze della costruzione delle chiese cattoliche in Germania in base alle decisioni del concilio Vaticano II), in un articolo apparso con questo titolo nella Liturgisches Jahrbuch del 1967. Le esigenze che vi sono riportate, nel frattempo, si sono largamente imposte; ma non ci si è seriamente preoccupati di fondare storicamente questa nuova sistemazione, fatto salvo lo studio di Otto Nussbaum di cui parleremo dopo. Per finire, ancora poche parole sulle celebrazioni eucaristiche in massa, all’aria aperta. Al cospetto di queste celebrazioni, molti provano un certo disagio, soprattutto in relazione al modo con cui si svolge la comunione in massa. Non dimentichiamolo: vero è che Gesú Cristo
ha predicato alle grandi folle che, spesso, erano composte da diverse migliaia
di persone (cfr. Matteo 14,21), tuttavia non ha istituito la Santa Eucaristia
in presenza di masse d’uomini, bensì nella cerchia ristretta dei
suoi apostoli. L’intera cristianità è stata sempre dell’avviso
che la messa, questo sacrificio che unisce il cielo e la terra, non poteva
essere celebrata che in locali sacri, destinati allo scopo. Si sa anche
che lo stesso agnello pasquale ebraico non poteva essere consumato che
all’interno e non all’aria aperta (cfr. Esodo 12, 46). Occorre tener presente,
inoltre, il fatto che la preparazione e la consacrazione delle ostie necessarie
alla comunione di diverse migliaia di persone, addirittura fino a un milione
di persone, comporta delle difficoltà enormi.
(tratto da MONS. KLAUS GAMBER, Tournés vers le Seigneur!,
Editions Sainte-Madeleine, Le Barroux, F, pp. 5-18 -
NOTE:
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