RATZINGER E LA LITURGIA
Articolo di Rino Cammilleri, pubblicato su Il
Timone di gennaio 2006
le sottolineature sono nostre
Non sono pochi quelli che si chiedono se papa Benedetto
XVI ri-riformerà la liturgia cattolica dando seguito alle riserve
che, quand’era semplicemente il cardinal Ratzinger, aveva espresso
a voce e per iscritto.
Ora, poiché anch’io condivido tali riserve, quando
ho deciso di esternarle nel mio blog «Antidoti»
non è mancato chi mi ha fatto osservare che potrei impiegare più
utilmente la penna per “combattere” contro il relativismo laicista anziché
“rivolgere le armi” contro i “nostri”. Il fatto è che proprio non
mi va di difendere un cumulo di macerie, né di farmi infilzare per
quelli che si consacrano allegramente a quel’«autodemolizione»
che angosciava Paolo VI.
Quest’ultimo non aveva esitato neanche di fronte alla
minaccia (tremenda per un papa) di uno scisma pur di «tendere la
mano» ai «fratelli separati» protestanti, in un momento
in cui il «dialogo» con questi ultimi pareva gravido di promesse.
Per la prima volta dopo secoli un papa aveva sospeso
a
divinis un vescovo, Marcel Lefebvre, e fu
l’unica in cui quel papa «amletico» (come lo definiva la stampa
dell’epoca) usò il pugno di ferro, laddove per i vari «fratel
mitra» e preti e teologi favorevoli (allora) al divorzio c’erano
accorati richiami paterni (se ci sono stati retroscena diversi non lo so;
posso solo testimoniare quel che percepiva il fedele medio).
Un cambiamento su cui si contava molto concerneva proprio
la messa, avvicinata quanto più possibile alle funzioni protestanti,
quelle in cui il clou è il «sermone» e per il
resto si canta; all’uscita, i fedeli si complimentano col pastore per la
bella orazione.
A più di quarant’anno di distanza si può
dire, riguardo al «nuovo rito», che queste ragioni (certo,
non le sole, ma senz’altro le più importanti) della sua introduzione
ancora sussistano?
L’«unione delle Chiese» non c’è stata
e, anzi, proprio quelle che sembravano più «vicine»
hanno vieppiù allargato la distanza.
Infine, l’attuale liturgia cattolica era ed è
la meno adatta per colmare il fossato con gli ortodossi.
Le denominazioni protestanti «storiche» orami
non si sa bene chi rappresentino, i loro templi sono mezzo vuoti e i loro
ex fedeli sono diventati in gran numero pentecostali; sembra valere a questo
punto per la galassia “riformata” il problema posto da quella islamica:
non si sa con chi «dialogare».
Ma c’è chi ancora esalta le funzioni liturgiche
cattoliche perché avrebbero messo «al centro» la Parola
di Dio. Si ha invece l’impressione che abbiano messo al centro il prete,
ed è forse questo il motivo dell’attaccamento.
Ci sono infatti messe in cui ogni passaggio, anche minimo,
è accompagnato da mini-omelie del celebrante, che così finisce
col seppellire di chiacchiere l’intera funzione.
Almeno si usasse questa alluvione di parole per informare
sui fondamenti della fede.
Invece, basta un Codice Da Vinci qualsiasi per
far sorgere in venticinque milioni di cristiani il dubbio che Cristo non
sia affatto risorto e, per giunta, abbia figliato con la Maddalena.
Una stantia obiezione riguardo alla lingua ripete che
con
il latino non si capiva niente.
Il successo planetario del film di Mel Gibson, in
aramaico, dimostra la fatuità dell’obiezione suddetta.
Le altre grandi religioni si guardano bene dal rinunciare
alle loro «lingue sacre», l’ebraico e l’arabo.
Invece, la fame di latino in Occidente, e tra i ragazzini,
porta il nome di Harry Potter, che dobbiamo ringraziare per un rilancio
della lingua «morta» partito da dove meno ce lo si sarebbe
aspettato ( e c’è qualcosa di evangelico in questo plauso di fanciulli,
vox
puerorum).
Ho l’età per ricordare, sul finire degli anni
Settanta, un vecchio e malatissimo sacerdote che si faceva sorreggere per
dir messa; una volta, mentre distribuiva la comunione, un’ostia gli cadde
dalle mani tremanti e finì per terra.
D’istinto, il fedele primo della fila fece per chinarsi
ma fu fermato da un gesto perentorio del prete, il quale penosissimamente
raccolse lui l’ostia. Già: solo mani consacrate potevano toccarla.
Oggi, alla fine della fila non di rado ci trovate a comunicarvi
un pensionato in jeans e giubbotto, mentre il prete se ne sta, magari,
tranquillamente seduto a guardare.
L’ultimo libro (i successivi sono raccolte) del card.
Ratzinger prima di diventare papa si intitola significativamente Lo
spirito della liturgia.
Da buon teologo tedesco conosce meglio di tutti il mondo
protestante e certamente non gli sarà sfuggito il flop dell’«apertura»
liturgica nei suoi confronti.
Non solo, ma da uomo coltissimo qual è, senz’altro
sa quanti artisti e intellettuali atei nella storia (un nome per tutti:
Joris Karl Huysmans, caposcuola del decadentismo letterario) si sono avvicinati
al cristianesimo attratti dalla bellezza della liturgia cattolica.
Magari userà, come il predecessore, il mezzo mediatico.
Infatti, la prima cerimonia ufficiale di Benedetto XVI
l’abbiamo vista in mondovisione: latino e gregoriano al massimo sfarzo,
e un possente Bach come finale.
Nel suo stemma ha tolto il Triregno e messo la conchiglia
di s. Agostino: umiltà politica e, soprattutto, teologica (con quella
conchiglia un angelo cercava di travasare il mare in un buco nella sabbia,
mostrando ad Agostino ? che rifletteva sul mistero della Trinità
? l’inanità del suo sforzo esclusivamente intellettuale).
Gli osservatori si chiedevano se il nuovo papa avesse
imitato Wojtyla nella politica dei «gesti». Ebbene, eccone
due.
Certo, la mia è una personale posizione, che non
coinvolge la rivista che mi ospita.
Ed è una posizione che solo i superficiali potranno
etichettare come «lefebvriana», perché è dettata
solo ed esclusivamente da amore per la bellezza e la serietà.
Resto convinto che il rigore paga;
che il confuso desiderio di sacro oggi prevalente
non si appaga appiattendosi sul pop;
che il "rilancio" di realtà religiose afflosciatesi
è stato attenuto dai Santi riformatori con un ritorno integrale
alla regola e allo spirito del Fondatori, non con uno ulteriore sbracamento;
che
per invogliare all’ingresso in un palazzo rinascimentale basta restaurarlo,
cioè ripristinarne l’originaria bellezza: nessuno sano di mente
lo raderebbe al suolo per sostituirlo con una struttura in cemento e alluminio
che, secondo lui, sarebbe più «adatta ai tempi».
(gennaio 2006)
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