Intervista con mons. Domenico Bartolucci
già Maestro perpetuo della Pontificia Cappella
Musicale Sistina
Questa pagina è stata corretta a dicembre
del 2006,
poiché al momento della pubblicazione, nel
luglio 2006,
avevamo erroneamente segnalato il reintegro del maestro
Bartolucci ad opera di Benedetto XVI.
L'errore ci è stato segnalato dalla Fondazione
Bartolucci, che rigraziamo.
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Riproduciamo un'interessante intervista con il Maestro
di Cappella mons. Domenico Bartolucci, già Maestro Perpetuo della
Pontificia Capella Musicale Sistina dal 1956 (regnante S. S. Pio XII),
estromesso dai modernisti nel 1997 (regnante Giovanni Paolo II).
Nonostante la veneranda età (è nato a Borgo
San Lorenzo, Firenze, il 7 maggio 1917), il Maestro Bartolucci è
ancora considerato una personalità mondiale nel campo della musica
sacra.
L'intervista, di Riccardo Lenzi, è stata pubblicata
nel n° 29/2006 del settimanale L'Espresso e ripresa dal
vaticanista Sandro Magister nel suo sito http://www.chiesa.espressonline.it/
Sullo
stesso sito, Magister aveva già segnalata l'importanza del gesto
compiuto dal Pontefice col far eseguire nella Cappella Sistina un concerto
dal Coro della Fondazione Bartolucci, diretto dallo stesso Maestro, lo
scorso 24 giugno.
Riproduciamo qui di séguito:
prima l'articolo di S.
Magister del 27 giugno scorso, in cui presenta
la figura e la vicenda del Maestro Mons.
Domenico Bartolucci
poi l'intervista del 21 luglio 2006,
pubblicata su L'Espresso
|
Le sottolineature sono nostre
ROMA, 27 giugno 2006
Passo dopo passo, Benedetto XVI sta imprimendo una
nuova forma e un nuovo stile
al governo della Chiesa universale.
di Sandro Magister
Nei giorni scorsi ha fatto colpo l’annuncio del cambio
del segretario di stato: da Angelo Sodano a Tarcisio Bertone.
Ma un non meno importante segnale di cambiamento è
stato un altro atto voluto da papa Joseph Ratzinger: il concerto diretto
nella Cappella Sistina, sabato 24 giugno, dal maestro monsignor Domenico
Bartolucci.
Con questo concerto, Benedetto XVI ha restituito simbolicamente
la Sistina al suo vero titolare. Perché la celebre Cappella non
è solo il luogo sacro affrescato da Michelangelo, ma dà anche
il nome al coro che da secoli accompagna le liturgie pontificie.
Il maestro Bartolucci fu nominato direttore “perpetuo”,
a vita, della Cappella Sistina nel 1956 da Pio XII. Con questo e con i
papi successivi fu grandissimo interprete della musica liturgica incardinata
sul canto gregoriano e sulla polifonia sacra. Ma dopo essere stato a lungo
osteggiato, nel 1997 fu cacciato e sostituito da un maestro di coro ritenuto
più adatto di lui alla musica “popolare” cara a Giovanni Paolo II.
La sostituzione di Bartolucci fu l’atto conclusivo della
quasi eliminazione del gregoriano e della polifonia voluta dagli artefici
della riforma liturgica postconciliare.
Nel 1997, il regista della rimozione di Bartolucci fu
il maestro delle cerimonie pontificie, Piero Marini, tutt’ora in servizio
con Benedetto XVI anche se ormai vicino al congedo. Alla direzione della
Cappella Sistina Marini portò monsignor Giuseppe Liberto, da lui
notato e apprezzato come direttore di canti nel corso di viaggi in Sicilia
di Giovanni Paolo II. Fu facile ottenere da papa Karol Wojtyla il consenso
all’operazione.
All’epoca, l’unico dirigente di rilievo della curia romana
che prese le difese di Bartolucci fu Ratzinger, per ragioni musicali e
liturgiche insieme, da lui esposte in saggi e libri.
Le sue posizioni erano allora isolate. Ma da quando è
divenuto papa, Ratzinger ha subito mostrato di voler procedere, in campo
liturgico e musicale, a quella da lui chiamata “la riforma della riforma”.
Lo si è capito fin dalla messa inaugurale del
suo pontificato, in piazza San Pietro, improntata a una classicità
celebrativa che s’era offuscata nei riti di massa del predecessore.
Lo si è capito dalla rieducazione di vescovi,
preti e fedeli al mistero genuino dell’eucaristia, cui Benedetto XVI si
è dedicato in più occasioni.
Lo si è capito da uno dei suoi primi cambiamenti
nella curia romana, quando ha sostituito il segretario della congregazione
vaticana per il culto divino.
Nella liturgia e nella musica liturgica Benedetto XVI
sa che i decreti d’autorità non bastano. Il suo intento è
di rieducare più che di emettere ordini. Il concerto del maestro
Bartolucci nella Cappella Sistina è uno di questi atti di magistero
che il papa vuole lascino il segno.
Nel concerto, Bartolucci ha magistralmente eseguito un
offertorio, due mottetti e un “Credo” di Giovanni Pierluigi da Palestrina,
principe della musica sacra polifonica romana e maestro della stessa Cappella
Sistina alla fine del Cinquecento.
Ma ha anche eseguito opere proprie: tre mottetti, un’antifona,
un inno e un “Oremus pro Pontifice nostro Benedicto” composto nel 2005
dopo l’elezione di Ratzinger a papa.
L’accostamento tra polifonia antica e moderna non era
casuale. Prendendo la parola al termine del concerto, Benedetto XVI l’ha
fatto notare:
“Tutti i brani ascoltati, e soprattutto il loro insieme,
dove stanno in parallelo i secoli XVI e XX, concorrono a confermare la
convinzione che la polifonia sacra, in particolare quella della cosiddetta
‘scuola romana’, costituisce un’eredità da conservare con cura,
da tenere viva e da far conoscere, a beneficio non solo degli studiosi
e dei cultori, ma della comunità ecclesiale nel suo insieme. [...]
Un autentico aggiornamento della musica sacra non può avvenire che
nel solco della grande tradizione del passato, del canto gregoriano e della
polifonia sacra”.
In precedenza, così il maestro Bartolucci si era
rivolto a Benedetto XVI:
“Beatissimo Padre, tutti conoscono l’amore grandissimo
di Vostra Santità per la liturgia e quindi per la musica sacra.
L’arte musicale è quella che più di tutte ha beneficiato
della liturgia della Chiesa: le cantorie hanno reppresentato la sua culla,
grazie alla quale essa ha potuto formare il linguaggio che oggi ammiriamo.
Gli esempi più belli che la fede dei secoli passati ci ha consegnato
e che dobbiamo mantenere vivi sono proprio il canto gregoriano e la polifonia:
di essi occorre una pratica costante che possa vivificare e animare degnamente
il culto divino”.
Mescolati ai prelati della curia romana presenti al concerto
c’erano anche Marini e Liberto. Ma l’attenzione di Benedetto XVI era tutta
per il maestro Bartolucci (89 anni compiuti in pieno vigore) per il suo
coro e per l’altissima qualità delle loro esecuzioni.
Che il papa ha definito “veicolo di evangelizzazione”,
ma vuole non restino materia di soli concerti, bensì tornino ad
animare e a rendere belle le liturgie. A cominciare da quelle pontificie.
Questa è la strada. Restituendo la Cappella Sistina
al maestro Bartolucci, Benedetto XVI l’ha indicata in modo inconfondibile.
Quando il cantore era come un sacerdote
Intervista con Domenico Bartolucci
D. : Maestro Bartolucci, ben sei papi hanno assistito
ai suoi concerti. In quale di loro ha trovato maggior sapienza musicale?
R. : Nell'ultimo, Benedetto XVI.
Suona il pianoforte, è un profondo conoscitore
di Mozart, ama la liturgia della Chiesa e di conseguenza tiene in somma
considerazione la musica.
Anche Pio XII l’amava molto e spesso suonava il violino.
La Cappella Sistina deve poi moltissimo a Giovanni XXIII.
Da lui nel 1959 ebbi l’approvazione per il progetto di ricostituzione della
Sistina che purtroppo, anche a causa della malattia del precedente direttore
Lorenzo Perosi, era in condizioni precarie: non aveva più un organico
stabile, un archivio musicale, né una sede. Allora si ottenne la
sede, si congedarono i falsettisti e si definì l’organico dei cantori
con i relativi stipendi; finalmente si poté anche istituire la scuola
dei ragazzi.
Poi venne Paolo VI, ma lui era stonato e non so quanto
apprezzasse la musica.
D. : Perosi, il cosiddetto rifondatore dell’oratorio
italiano?
R. : Perosi era un autentico musicista,
un uomo impastato di musica.
Ebbe la fortuna di dirigere la Sistina ai tempi del Motu
Proprio sulla musica sacra che voleva giustamente purificarla dal teatralismo
di cui si era imbevuta.
Poteva dare un nuovo impulso alla musica di Chiesa, ma
purtroppo non aveva una conoscenza adeguata della polifonia palestriniana
e delle tradizioni sistine.
Del canto gregoriano poi affidò la direzione
al vice maestro!
Le sue composizioni liturgiche spesso sono state d’esempio
per lo stile superficiale del cecilianesimo, lontano da quella perfetta
fusione tra testo e musica.
D. : Perosi faceva il verso a Puccini...
R. : Ma il lucchese era un uomo intelligente.
E poi i suoi “fugati” erano ben superiori a quelli del tortonese.
D. : In qualche maniera Perosi è stato l'antesignano
dell’attuale volgarizzazione della musica sacra?
R. : Non proprio. Oggi nelle chiese
sono di moda le canzonette e lo strimpellio delle chitarre, ma la colpa
è soprattutto delle idee sbagliate di pseudo intellettuali che hanno
creato questa degenerazione della liturgia e quindi della musica, travolgendo
e disprezzando l’eredità del passato e credendo di ottenere chissà
quale bene per la gente. Se l'arte della musica non torna alla grande
arte, non ad un accomodamento o a un sottoprodotto, non ha alcun senso
interrogarsi sulla sua funzione per la Chiesa. Io sono contro le chitarre,
ma anche contro la faciloneria della musica ceciliana: più o meno
è la stessa zuppa! Il nostro motto deve essere: torniamo al
canto gregoriano e alla polifonia palestriniana e proseguiamo su questa
strada!
D. : Quali sono le iniziative che Benedetto XVI
dovrebbe prendere per realizzare questo disegno, in un mondo fatto di discoteche
e ipod ?
R. : Il grande repertorio di musica sacra
che ci è stato consegnato dal passato è costituito dalle
messe, dagli offertori, dai responsori: prima non esisteva liturgia senza
musica.
Oggi colla nuova liturgia questo repertorio non ha
più spazio, è una stonatura, inutile illudersi. È
come se Michelangelo per il giudizio universale avesse avuto a disposizione
un francobollo! Mi dica lei come è possibile oggi eseguire un Gloria
o addirittura un Credo.
Per prima cosa dovremmo tornare, almeno per le messe
solenni e per le feste, a una liturgia che dia spazio alla musica e che
si esprima nella lingua universale della Chiesa, il latino. In Sistina,
dopo la riforma liturgica, ho potuto mantenere vivo il repertorio tradizionale
della Cappella solo nei concerti. Pensi che la Missa Papae Marcelli di
Palestrina non si canta più in San Pietro dai tempi di papa Giovanni!
Ci fu concesso benignamente di eseguirla per l’anno palestriniano e la
volevano senza il Credo, ma quella volta fui irremovibile e si eseguì
tutta.
D. : Pensa che l'assemblea dei fedeli dovrebbe
partecipare cantando in gregoriano alla celebrazione dei riti ?
R. : Sull’esecuzione del canto gregoriano
bisogna fare delle distinzioni.
Una parte del repertorio, ad esempio gli introiti o gli
offertori, richiede un’arte raffinatissima che può essere interpretata
compiutamente solo da veri artisti.
C’è poi anche un repertorio cantato dal popolo:
penso alla messa “degli Angeli”, alle musiche processionali, agli inni.
Era commovente il canto popolare del Te Deum, del Magnificat, delle litanie,
musiche che la gente aveva assimilato e fatto sue, ma oggi anche di
questo è rimasto ben poco.
Inoltre il gregoriano è stato falsato dalla teoria
ritmica ed estetica dei benedettini di Solesmes. Il canto gregoriano
è nato nei secoli di ferro, deve essere virile e forte, altro che
le dolcezze e i comodi adattamenti dei giorni nostri.
D. : Pensa che le tradizioni musicali del passato
si stiano estinguendo ?
R. : Cosa vuole: se non c'è la continuità
che le mantiene vive sono destinate all’oblio e l’attuale liturgia di certo
non le favorisce...
Io sono ottimista per volontà, ma giudico la
situazione attuale realisticamente, e credo che un Napoleone senza generali
possa far poco.
Oggi il motto è “andare al popolo, guardarlo
negli occhi”, ma sono tutte storie!
Facendo così finiamo per celebrare noi stessi:
il mistero e la bellezza di Dio sono allontanati. In realtà
assistiamo alla decadenza dell'Occidente. Un vescovo africano una volta
mi disse: “Speriamo che il concilio non ci tolga il latino dalla liturgia,
altrimenti nel mio paese prevarrà una babele di dialetti”.
D. : Giovanni Paolo II è stato un po' accomodante
su questi temi ?
R. : Nonostante diversi richiami, nel
suo pontificato si è consolidata la crisi della liturgia.
A volte proprio le celebrazioni papali hanno contribuito
ad affermare questo nuovo indirizzo con balli, balletti e tam tam. Una
volta andai via dicendo: “Mi richiamate quando è finito lo spettacolo!”
Capisce bene che se da San Pietro danno questi esempi, i richiami e i lamenti
non servono a niente. Io di questo ho sempre protestato. E anche se
mi hanno buttato fuori con la scusa degli 80 anni, non me ne pento.
D. : Cosa voleva dire, una volta, cantare nella
Cappella Sistina ?
R. : Il luogo e il coro erano un tutt'uno,
così com'erano un tutt'uno la musica e la liturgia. La musica
non era un semplice ornamento, ma dava vita al testo liturgico e il cantore
era come un sacerdote.
D. : Ma oggi si può comporre proseguendo
lo stile gregoriano ?
R. : Bisognerebbe ritrovare quello spirito,
intanto, di solidità.
Ma la Chiesa ha fatto l'opposto favorendo motivi facili,
orecchiabili, canzonettistici. Così credeva di piacere alla gente,
e ha proseguito per questa strada. Ma l'arte non è questo. La
grande arte è densità.
D. : Non vede qualche compositore, oggi, in grado
di resuscitare una tale tradizione ?
R. : Non è una questione d'ingegno:
non c'è più l'ambiente. La colpa non è dei musicisti,
ma di quello che si richiede loro.
D. : Eppure i monaci di Santo Domingo de Silos,
con il gregoriano, hanno venduto milioni di dischi. Similmente la Terza
sinfonia di Henryk Gorecki con le sue suggestioni medioevali...
R. : Fenomeni consumistici che m'interessano
poco.
D. : Ma ci sono compositori autorevoli che hanno
messo la fede al primo posto, come Pärt o Penderecki...
R. : A loro manca il senso liturgico.
Anche Mozart è grande, ma dubito che la sua musica sacra stia tanto
a suo agio in una cattedrale. Il canto gregoriano e Palestrina invece
sono un tutt'uno con la liturgia.
D. : Nelle lettere di Mozart in effetti non traspare
un gran sentimento religioso. Eppure, nell'“et incarnatus est” della sua
Messa in do minore, quel farsi voce di soprano degli strumenti a fiato
ci spiega perfettamente il mistero dell'incarnazione...
R. : Non dimentichi che il padre di Mozart
era maestro di cappella. Quindi, volente o nolente, respirò a pieni
polmoni l'aria della Chiesa. C'è sempre qualcosa di concreto, soprattutto
nella biografia giovanile di un uomo, a spiegare tali profondità
spirituali. Pensi a Verdi che da ragazzo ebbe come primo maestro un prete
e suonava l'organo a messa.
D. : Lei si sente un po' solo, senza eredi ?
R. : Non c'è più nessuno.
Mi ritengo l'ultimo maestro di cappella.
D. : Ma a Lipsia, alla chiesa di San Tommaso, c'è
il sedicesimo Kantor dai tempi di Bach...
R. : In Germania, in campo protestante,
i figli del compositore dei brandeburghesi salvaguardano gelosamente la
loro identità. Disse giustamente Verdi che i tedeschi sono figli
fedeli di Bach, mentre noi italiani siamo figli degeneri di Palestrina.
D. : A proposito di Verdi, la grande musica sacra
non sempre è compatibile con la liturgia…
R. : Certamente. La Messa da Requiem di
Verdi non può dirsi una messa adatta alla liturgia, ma pensi con
quale potenza penetra il senso del testo!
Anche Beethoven: ascolti l'attacco del Credo.
Altro che il movimento ceciliano. Sono quei capolavori
di musica sacra che hanno il loro giusto spazio nelle esecuzioni concertistiche.
D. : Anche Bruckner era molto ispirato...
R. : Ha il difetto di essere prolisso.
La Messa con gli strumenti a fiato, quella in mi minore, è assai
noiosa.
D. : Aveva ragione Mahler a dire che era “mezzo
dio e mezzo babbeo” ?
R. : È così. Aveva dei momenti
straordinari, ad esempio quando trattava gli archi con grande sapienza.
Ma poi cominciava a strombettare e allora...
D. : E Mahler le piace ?
R. : Come il precedente. Momenti belli,
ma assai ripetitivo. Verrebbe da gridargli a un certo punto: taglia, abbiamo
capito!
D. : Secondo Ratzinger c'è la musica come
fenomeno di massa, pop, che si misura sui valori del mercato. E quella
colta, cerebrale, destinata a una piccola élite...
R. : È la musica dei moderni, da
Schönberg in poi, ma la musica sacra deve proseguire lo spirito
del canto gregoriano e rispettare la liturgia.
Il cantore in chiesa non fa l’artista, fa il predicatore,
ovvero predica cantando.
D. : Lei invidia un po’ le Chiese orientali ?
R. : Giustamente non hanno cambiato niente.
La Chiesa cattolica ha rinunciato a se stessa e alla
propria fisionomia, come quelle donne che si fanno la plastica facciale:
poi non si riconoscono più e qualche volta gliene derivano anche
serie conseguenze.
D. : Fu suo padre ad avvicinarla alla musica ?
R. : Era un operaio di una fabbrica di
laterizi a Borgo San Lorenzo in provincia di Firenze. Amava cantare in
chiesa. E le romanze di Verdi e di Donizetti.
Ma allora cantavano tutti: i contadini mentre potavano
le viti, il calzolaio mentre rifiniva le suole. C'erano le bande in piazza,
durante le feste arrivavano le guide musicali da Firenze e il teatro del
paese aveva due stagioni d’opera all’anno. È tutto finito.
D. : In Italia i governi hanno pure tagliato i
finanziamenti a orchestre e teatri...
R. : Hanno fatto bene. Negli enti c’è
troppa gente che vegeta. Prenda ad esempio gli uffici amministrativi:
prima c'erano quattro o cinque persone, adesso sono venti-venticinque.
D. : In che senso Palestrina, Lasso o Victoria
possono considerarsi attuali ?
R. : Per la loro densità musicale.
Palestrina è il primo patriarca che ha capito che cosa vuol dire
far musica; lui ha intuito la necessità di una scrittura contrappuntistica
vincolata dal testo, aliena dalla complessità e dai canoni della
scrittura fiamminga.
D. : Per il filosofo Schopenhauer la musica è
il culmine di tutte le arti, oggettivazione immediata della Volontà.
Per i cattolici può definirsi espressione diretta di Dio, quanto
il Verbo ?
R. : La musica è arte con la “a”
maiuscola. La scultura ha il marmo, l'architettura l'edificio... La musica
la vedi solo con gli occhi dello spirito, ti entra dentro. E la Chiesa
ha il merito di averla coltivata nelle sue cantorie, di averle dato la
grammatica e la sintassi. La musica è l'anima della parola che diventa
arte. In definitiva, ti dispone a scoprire e accogliere la bellezza di
Dio. Per questo più che mai oggi la Chiesa deve sapersene riappropriare.
luglio 2006
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