Aspettando il Motu Proprio
che liberalizza l'uso della liturgia tradizionale





Presentazione
La liturgia tradizionale è un patrimonio inestimabile della Chiesa.
Il Motu Proprio perché si rispetti la “diversa sensibilità” dei fedeli
Il ripristino della liturgia tradizionale è un atto concreto per l’unità della Chiesa
Il ripristino della liturgia tradizionale porta un colpo mortale all’unità della Chiesa.
Il Motu Proprio mette in pericolo il Concilio Vaticano II
Il Motu Proprio non mette in pericolo il Concilio Vaticano II
Il Motu Proprio, strumento necessario e urgente per il bene della Chiesa.
 
 


Pentecoste è passata e il Motu Proprio non è arrivato.
Troppi mesi dai primi timidi annunci e ancora troppi dalle ripetute assicurazioni fornite a più riprese e con opportuno tempismo da diversi prelati di primo piano.
Per certi aspetti, nessuna meraviglia, visto che l’argomento è di importanza capitale: il libero uso dei libri liturgici del 1962, cioè dei libri liturgici in vigore prima del Concilio Vaticano II e delle successive “riforme”. 
Era inevitabile che la questione sollevasse obiezioni e perplessità e sollecitasse attente riflessioni e ampie prudenze. 
Considerato che oggi, nella conduzione della Chiesa ha finito con l’affermarsi, purtroppo, l’uso della collegialità in sostituzione dell’esercizio dell’autorità, poteva il Santo Padre trascurare i pareri e le precisazioni dei singoli Vescovi e delle Conferenze Episcopali, visto che sono poi loro che, di fatto, devono curare l’applicazione di questo libero uso della liturgia preconciliare ? 

Tutto questo è vero, ma per chi conosce l’andamento delle vicende interne ai palazzi vaticani, soprattutto in questi ultimi quarant’anni, tanto ritardo è rivelatore di un diffuso e grave malessere circa il senso dei presupposti e dei fini di questo Motu Proprio. 
È utile interrogarsi allora sulla reale portata di tante dichiarazioni pro e contro, di tante obiezioni, di tante prudenze.

In più di un anno e mezzo sono state espresse diverse opinioni sulla manifesta intenzione del Papa e più volte si è fatto riferimento agli argomenti del Cardinale Ratzinger: uso del latino, preghiera ad Dominum, sacralità del Rito, uso del gregoriano. Sottolineando, sia pro, sia contro, la necessità di perseguire solo il bene della Chiesa.
Non è superfluo ricordare qui quanto scritto dal Cardinale Ratzinger negli anni 80: 

Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia, che talvolta viene addirittura concepita “etsi Deus non daretur”: come se in essa non importasse più se Dio c’è e se ci parla e ci ascolta. Ma se nella liturgia non appare più la comunione della fede, l’unità universale della Chiesa e della sua storia, il mistero del Cristo vivente, dov’è che la Chiesa appare ancora nella sua sostanza spirituale? (J. Ratzinger, La mia vita: ricordi, 1927-1977, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo, 1997, p. 113).
Questo aiuta a comprendere come non potrebbe esistere una “questione liturgica” di per sé: essa è tutt’uno con la Fede, con la pratica della Fede, con la salvezza delle ànime, col bene della Chiesa. 
Per dirla col Cardinale Ratzinger, la questione della liturgia o è strettamente connessa con la perdurante crisi nella Chiesa o non è affatto.
Purtroppo la questione liturgica “è”, e lo è in tutta la sua drammaticità perché è drammatica la crisi che si sta vivendo nella Chiesa da quarant’anni. Crisi che riguarda tutti i fedeli, chierici e laici, con la loro tenuta dottrinale, la loro pratica liturgica, la loro adesione agli insegnamenti del Signore, la loro condotta morale.

Stando così le cose non v’è dubbio che il ripristino della liturgia tradizionale più che corrispondere ad una convinzione di Papa Ratzinger è una necessità per il bene della Chiesa. Benedetto XVI si è solo assunto l’onere di affermarlo più o meno pubblicamente, più o meno tacitamente.
Ma allora perché tante resistenze ? Forse che dentro la Chiesa vi sarebbero di quelli che non vogliono il bene della Chiesa?
E subito verrebbe da rispondere “sì”, seppure con la caritatevole precisazione “anche inconsciamente”. Ma in realtà le cose sono molto più complesse.

(su)


La liturgia tradizionale è un patrimonio inestimabile della Chiesa.

A più riprese abbiamo letto che il ripristino dell’uso dei libri liturgici tradizionali non dovrà  essere frainteso, poiché si tratterebbe di preservare il grande tesoro liturgico della Chiesa a cui hanno attinto milioni di fedeli e di Santi.
Ecco una giusta osservazione. 

È stato stolto ritenere che la liturgia millenaria della Chiesa potesse passare per obsoleta e superata dai tempi. È stato oltremodo stolto sostenere la supposta necessità di una liturgia “aggiornata”, più adatta alla comprensione dei fedeli moderni, come se questi, per definizione, fossero incapaci di comprendere la liturgia praticata fino ad allora da loro stessi.
Si è veramente trattato di una demolizione premeditata, quasi la manifestazione di una sorta di odio viscerale nei confronti della antica pratica del Culto. Tant’è vero che non si toccò solo la liturgia: lo stesso accadde con l’architettura religiosa, con la catechesi, con le devozioni popolari, perfino con il culto dei Santi locali e con i miracoli ad essi connessi. Nessuno può far finta di dimenticare che, con la scusa della cervellotica storicità, si sia arrivati fino alla critica e alla revisione dell’agiografia. Senza parlare della sistematica demolizione condotta nei confronti della stessa storia della Chiesa, rivista e corretta ad uso e consumo della moderna mentalità antireligiosa e quindi anticattolica, in auge da alcuni secoli e ormai diffusa anche tra i moderni chierici.
Ma, attenzione, non deve trarre in inganno la dichiarata sensibilità verso il “tesoro liturgico” che non deve andare perduto. Bisogna riconoscere che se questo fosse veramente un punto centrale della questione liturgica, essa stessa sarebbe certamente infondata.
Ripristinare la liturgia tradizionale non può equivalere ad erigere una bacheca dove esporre i gioielli di famiglia, ancorché si abbia voglia anche di usarli.
Una mentalità siffatta, che, purtroppo, sappiamo presente anche in certi ambienti legati alla Tradizione, può solo portare alla definitiva demolizione della liturgia tradizionale.
In questo caso sì che si vedrebbero confermate le fisime speciose coltivate in questi quarant’anni, e all’interno della Chiesa, dai nemici della Tradizione e della Santa Chiesa.
Se la liturgia tradizionale dev’essere ripristinata principalmente perché non vada perduta, allora è meglio che si perda. 
Oggi più che mai la Chiesa non ha bisogno di belle vestigia. Lasciamo alla ipocrisia laica la cura dei “centri storici” e la tutela dei “beni culturali”. 
I fedeli cattolici hanno bisogno di mantenere viva la Fede, mantenendo ferme la liturgia, il culto e la dottrina voluti da Dio.
(su)
Il Motu Proprio perché si rispetti la “diversa sensibilità” dei fedeli

Altro argomento a favore del ripristino della liturgia tradizionale è costituito dalla dichiarata intenzione di difendere i diritti di quei fedeli che si sentirebbero attratti dalla forma liturgica anteriore al Concilio. 
Fu lo stesso Giovanni Paolo II a parlare di fedeli “che si sentono vincolati ad alcune precedenti forme liturgiche e disciplinari della tradizione latina” (Motu Proprio Ecclesia Dei, § 5, del 2.7.1988).
Anche questa intenzione è apprezzabile. 

È davvero scandaloso che in quarant’anni i Vescovi, salvo poche eccezioni, abbiano ripetutamente rifiutata ogni richiesta di celebrazione della liturgia tradizionale. È davvero scandaloso che per quarant’anni certi fedeli cattolici siano stati trattati dai loro Pastori come degli appestati e dei terroristi sol perché osavano chiedere una Messa tridentina. Ed è oltremodo scandaloso che questo sia avvenuto mentre tantissimi Vescovi promuovevano, sostenevano o accettavano le più pacchiane, le più diseducative, le più ingiuriose, le più blasfeme, le più diaboliche pratiche pseudo-liturgiche. Ed è ancor più scandaloso che questo sia avvenuto col silenzio, a volte col tacito assenso, della Gerarchia, anche dopo la pubblicazione del Motu Proprio del 1988.
Ma buone intenzioni come queste non devono trarre in inganno.
Non possiamo non rivolgere una preghiera di ringraziamento alla Santa Vergine perché tanti prelati siano riusciti finalmente a comprendere la legittimità delle richieste dei fedeli legati alla Tradizione, e ancor più dobbiamo ringraziare la Vergine Maria per il continuo aumento del numero di coloro che oggi sostengono e difendono queste richieste.
Ma non dobbiamo ignorare che la legittimità delle richieste dei fedeli legati alla Tradizione non può e non deve essere intesa secondo l’ottica della tutela dei diritti di “chiunque”.
Anzi, trattandosi di liturgia della Chiesa, nessuno ha il diritto di pretenderne una a suo uso e consumo. Nessuno può avanzare richieste personali o di gruppo sulla base della propria asserita sensibilità. 
Sarebbe davvero abnorme se ognuno pretendesse di seguire la liturgia che più gli piace o che ritiene gli sia più consona.
Se questo può valere, come è stato fin ad ora, per i pruriti dei cattolici, chierici e laici, partoriti dall’ammodernamento conciliare, si deve evitare di cadere nella trappola di farlo valere per le richieste dei fedeli legati alla Tradizione.
Sappiamo bene che vi sono tanti amici che argomentano in questo senso, e sappiamo anche che ve ne sono tanti che lo fanno in maniera strumentale, per mettere alle corde le obiezioni dei Vescovi contrari alla Tradizione, ma ci si deve guardare dal riconoscere merito a tale argomentazione.
Anche a voler prescindere dai discorsi che parlano di sensibilità estetica o culturale o perfino spirituale, chiaramente del tutto inaccettabili, se i fedeli legati alla Tradizione fossero mossi anche solo da ciò che si usa chiamare “sensibilità liturgica” sarebbero decisamente da condannare, come sarebbero da condannare i Vescovi che acconsentono loro.
La liturgia non è il frutto del genio e della buona volontà dell’uomo: essa è propria del comandamento di Dio, deriva solo da Dio, sono gli Angeli che insegnano agli uomini come rendere culto all’Altissimo. Piaccia o no a questo o a quell’uomo, a questo o a quel gruppo: oggi, come ieri, come domani.
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Il ripristino della liturgia tradizionale è un atto concreto per l’unità della Chiesa

Abbiamo anche letto, soprattutto in tanti articoli scritti da vaticanisti, che il Papa intenderebbe compiere un atto in grado di condurre all’unità ecclesiale la Fraternità Sacerdotale San Pio X. 
Viene ricordato, infatti, che è dal 2000 che il Superiore della Fraternità,  Mons. Fellay, chiede che prima di parlare di un qualche accordo, Roma deve permettere che tutti i preti cattolici possano celebrare la S. Messa secondo il Rito tradizionale.
È vero. 
Il Motu Proprio corrisponderebbe a questa richiesta della Fraternità San Pio X, e certamente si tratterebbe di un atto di palese disponibilità dell’Autorità romana nei confronti della Fraternità. 

Ma non bisogna dimenticare che la richiesta della Fraternità ha in vista non il suo proprio interesse, ma l’interesse della Tradizione e quindi della Chiesa. 
Per ciò che la riguarda, infatti, la Fraternità non ha alcun bisogno del Motu Proprio: essa celebra regolarmente la liturgia usando i libri liturgici del 1962, e lo fa non tanto perché contravviene alle norme liturgiche vigenti, come si abusa credere, quanto perché la liturgia tradizionale in uso prima del Concilio non è mai stata abrogata da nessuno.
Piuttosto, a considerare le cose da questo punto di vista, ci sarebbe da chiedersi come mai tanti preti e Vescovi non seguano l’esempio della Fraternità San Pio X.

Certo, solo appena sette, otto anni fa, chi affermava questa verità elementare veniva sommerso da una valanga di dinieghi sdegnati, provenienti da questo o quel dicastero romano e perfino dagli stessi ufficiali romani preposti alla tutela dell’uso della liturgia tradizionale. 
Oggi, grazie a Dio, le cose sono cambiate, poiché sono le stesse Autorità romane a sostenere che non vi fu mai abrogazione: né il Concilio, né lo stesso Paolo VI intesero abrogare la liturgia tradizionale, e non lo fecero.
Ciò nonostante si continua a tirare in ballo la Fraternità San Pio X. 
Sembra quasi che serpeggi tra i prelati e in certi ambienti soprattutto “neo-conservatori ” una sorta di inconfessata vergogna: una volta asserito a più riprese che la liturgia tradizionale non è mai stata abrogata, dovrebbe essere automatico, inevitabile, dal punto di vista logico, dal punto di vista liturgico e dal punto di vista canonico, che ogni prete cattolico possa usarla liberamente.
Non servirebbe neanche il Motu Proprio.
Ci rendiamo conto però che a far così verrebbero di colpo smentiti diecine di migliaia di vescovi, di preti, di liturgisti, di canonisti che per quarant’anni hanno sostenuto, predicato, gridato il contrario.

Si fa peccato a pensare che tutti costoro oggi si vergognano un po’ a dover ammettere che hanno sempre nascosta o manomessa la verità ? 
Che hanno bisogno di una scusa per giustificare il cambio di rotta ?
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Il ripristino della liturgia tradizionale porta un colpo mortale all’unità della Chiesa.

Su questo aspetto legato alla Fraternità San Pio X vi è un altro elemento da considerare.
Tanti Vescovi  e tanti preti hanno sempre sostenuto che la Fraternità San Pio X è un fattore di divisione, di turbamento delle coscienze dei fedeli.
Chi può dimenticare gli anatemi contro chi frequentava (e frequenta) le cappelle della Fraternità, lanciati da quegli stessi Pastori che praticavano (e praticano) la communicatio in sacris con gli eretici di tutte le risme ?
Nella migliore delle ipotesi si tira in ballo la famosa scomunica ultrafrettolosa del 1988, adducendo la disobbedienza nei confronti del Pontefice regnante, e proprio da parte di coloro che per quarant’anni hanno fatto strame dei “loro” libri liturgici e hanno disobbedito al Papa, violato il Codice di Diritto Canonico, ignorato le Istruzioni dei vari Dicasteri, sempre in nome del Concilio Vaticano II.
Costoro  paventano terribili sventure per la Chiesa. 

Attenzione, il Papa vuole favorire la Fraternità, vuole cedere agli scismatici, vuole aprire alla reazione, all’oscurantismo, al Medio Evo. 
Bisogna resistere. Bisogna reagire. 
Non bisogna permettere che si faccia scempio delle conquiste prodotte dal Concilio. 
E certi chierici, francesi in testa, ricordano che tra queste conquiste vi è la Chiesa finalmente adulta, libera, progressista, catto-comunista, che respingerebbe sdegnata l’accoglienza dei reazionari di Lefebvre. 

Certo, questi atteggiamenti si qualificano da soli, e tuttavia stiamo parlando di Vescovi e di Cardinali, non di sagrestani (con tutto il rispetto per questi ultimi). Vescovi e cardinali che in quarant’anni si sono vietati di esprimere anche il minimo rimprovero nei confronti dei loro presbiteri sovvertitori della liturgia e della dottrina cattoliche, che in quarant’anni si sono preoccupati solo di condannare e di provare ad emarginare nella Chiesa tutti coloro che volevano e vogliono rimanere fedeli agli insegnamenti millenari della Chiesa.
Nonostante le condanne non ci sono riusciti, certo, perché il Signore vede e provvedere, ma ecco che si affannano ad evocare fantasmi inesistenti nel tentativo di nascondere il colossale fallimento della loro pastorale, della loro catechesi, del loro rinnovamento liturgico.

Ci sono interi episcopati dove le vocazioni sacerdotali sono talmente basse da non riuscire a superare neanche quelle che può vantare un solo seminario della Fraternità San Pio X.
Non l’unità della Chiesa sta a cuore a costoro, ma la divisione della Chiesa e soprattutto la separazione e l’allontanamento dalla Chiesa di tutti coloro che vogliono rimanere fedeli alla Chiesa.
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Il Motu Proprio mette in pericolo il Concilio Vaticano II

A questa questione del pericolo di aprire le porte alla Fraternità, è legata l’altra relativa al pericolo di far del male al povero e indifeso Concilio Vaticano II.
Come tante mamme premurose, centinaia di Vescovi e di Cardinali (e questa volta gli italiani non sono stati da meno, anzi!), dicono di volersi prendere cura della loro creatura prediletta.

Ma non si rende conto il Papa che con questo Motu Proprio si mette a rischio il Concilio ?
La cosa buffa è che il Papa è proprio uno dei padri del Concilio, così che si pretenderebbe di insegnare il bene del Concilio proprio ad uno dei suoi padri più autorevoli: quello stesso Ratzinger che lo ha portato in grembo, che lo ha partorito, che lo ha allattato, che lo ha cresciuto e che lo ha difeso per 25 anni come Prefetto dell’ex Sant’Uffizio.
Eccessiva presunzione ?
Forse, ma certamente  preoccupazione sincera.

Se il Motu Proprio rimette in auge la liturgia tradizionale è certo che molti fedeli si chiederanno perché essa non è stata più usata per quarant’anni; perché per quarant’anni si è detto di essa e della Chiesa che prima la usava ogni sorta di bruttura e di indecenza.

Si capisce che la preoccupazione è legittima. Anzi. Sacrosanta.

Qualcuno prova a rimediare precisando che il Concilio non ha colpe per il quarantennale ostracismo decretato alla liturgia tradizionale, ma è palese a tutti che quando si parla di riforma liturgica e di accantonamento della liturgia tradizionale nessuno può prescindere dal Concilio. 
Sono migliaia le citazioni possibili, dai documenti ufficiali di questi ultimi quarant’anni, in cui si ripete lo stesso concetto: “in ottemperanza al Concilio”.

Non c’è un fedele che non sappia che la liturgia tradizionale non è stata più usata dalla Chiesa per espressa volontà del Concilio. Non c’è predica e non c’è esortazione pastorale che non ricordi che il rinnovamento liturgico, e quindi l’accantonamento della liturgia tradizionale, è stato voluto dal Concilio.
I fedeli, presto o tardi, penseranno che se si è ripristinata la liturgia tradizionale è perché si è tradito il Concilio.
Inevitabile.

E anche se si giungesse a dichiarare ufficialmente (come si cerca di fare più o meno apertamente) che non vi è contraddizione col Concilio, perché il Concilio non ha mai neanche parlato di abrogare o anche solo di accantonare la liturgia tradizionale, non si cambierebbe la realtà di questi ultimi quarant’anni e soprattutto non si intaccherebbero i convincimenti che in questo tempo sono stati pesantemente conficcati nelle menti di tanti fedeli. 
Quello che è stato fatto in questi quarant’anni lo si è fatto in nome del Concilio. 
In mala fede o in buona fede, è stato il Concilio ad ispirare decisioni e comportamenti. 
È stato il Concilio la bussola che ha indirizzato e orientato la nuova pastorale, la nuova catechesi, la nuova liturgia e la nuova dottrina. 
E sarà sempre e comunque il Concilio anche quando si riuscisse a dimostrare, documenti alla mano, che tutto è stato fatto nonostante il Concilio, a causa della sua “cattiva interpretazione”, come sembra si usi dire adesso.

È innegabile infatti che si finirà col trovarsi di fronte ad un terribile dilemma: o coloro che in questi anni si sono richiamati al Concilio erano tutti in mala fede, papi compresi, o il Concilio è stato talmente equivoco, talmente suscettibile delle più contraddittorie letture, talmente vago, impreciso e superficiale da giustificare tutto e il contrario di tutto.
Ne consegue che il ripristino della liturgia tradizionale è impossibile che non implichi un ripensamento di quanto accaduto in questi quarant’anni e quindi un ripensamento del post-Concilio e del Concilio stesso.
Chi paventa dei rischi in questo senso ha perfettamente ragione. 
Addirittura, più che di rischi si dovrebbe parlare di certezze.
D’altronde, se la liturgia tradizionale, e il suo uso, è ancora un argomento che suscita interesse all’interno della Chiesa, questo lo si deve al fatto che in questi quarant’anni vi sono stati dei fedeli, chierici e laici, che hanno tenute ferme le loro riserve e le loro opposizioni nei confronti della liturgia moderna, e lo hanno fatto proprio a partire dalla critica al Concilio.
Senza di loro e senza questa ferma posizione critica, la liturgia tradizionale sarebbe scomparsa quarant’anni fa, o poco dopo, e nessuno ne avrebbe mai più sentito parlare, se non in qualche ristretto circolo culturale di assoluta insignificanza. 
Soprattutto non se ne sarebbe più parlato in Vaticano, tra i Cardinali, tra i Vescovi, tra gli esperti, tra i liturgisti, i quali è solo grazie alla tenacia e al sacrificio di tanti laici e, soprattutto di tanti chierici fedeli alla Tradizione che oggi possono pensare di ripristinare la millenaria liturgia della Chiesa per il bene della stessa Chiesa.
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Il Motu Proprio non mette in pericolo il Concilio Vaticano II

Di contro, non sono pochi i prelati che si affannano a ripetere che il Concilio non verrà minimamente toccato. Anzi, pare che proprio a partire dal Concilio si potrebbe dimostrare che, non solo la liturgia tradizionale ha il diritto di esistere in seno alla Chiesa, ma è sulla base del Concilio stesso che la moderna liturgia riformata può e deve avvicinarsi sempre più a quella tradizionale.
Perché la si è cambiata allora ?
È questo che si chiede il semplice fedele.

Come non pensare che questi convincimenti si fondino sul pregiudizio modernista e progressista della evoluzione della liturgia e della dottrina ?
Per evoluzione si è proceduto all’invenzione di una nuova liturgia, per evoluzione si è vietata la liturgia millenaria della Chiesa, per evoluzione si vorrebbe trasformare la liturgia moderna correggendola con elementi di quella tradizionale, per evoluzione si vorrebbe trasformare la liturgia tradizionale ammodernandola e ammorbandola con elementi di quella moderna. 
E domani, per evoluzione, sarà inevitabile riformare ulteriormente la eventuale “riforma della riforma”. E così via.
Si tratta della semplice accettazione e della conseguente applicazione del concetto di evoluzione alla liturgia della Chiesa; esattamente come è accaduto e come accade con la dottrina della Chiesa.
L’espressione “magistero vivente” è emblematica in questo senso: poiché per “vivente” si può intendere correttamente solo “cangiante”, come è cangiante la vita organica dell’uomo.
In questo senso è del tutto esatto parlare di Concilio che non verrebbe minimamente toccato dal Motu Proprio, poiché si tratterebbe di praticare questa concezione evolutiva a suo tempo fatta propria del Concilio.
D’altronde, è con la stessa logica che sono passati i moderni concetti di  ecumenismo, libertà religiosa e separazione e parità dei poteri.
Logica che ha visto perfino diversi chierici che si dichiarano fedeli alla liturgia tradizionale impegnati nello sforzo di trovare a tutti i costi negli antichi insegnamenti della Chiesa degli spunti atti a giustificare perfino la libertà religiosa, inevitabilmente intesa come libertà di religione, come libertà per tutti di scegliere la religione più vicina ai dettami della propria coscienza (basta leggere gli annuali messaggi per la pace di Giovanni Paolo II).
In un certo senso la cosa è ben comprensibile.
All’inizio, subito dopo il Concilio, era necessario condannare pesantemente, rigettandolo, tutto il passato liturgico e dottrinale della Chiesa. Lo scopo era quello di far accettare le novità soprattutto se in contrasto con questo passato.
Una volta ottenuto questo scopo, come è adesso, la condanna non serve più, oggi è possibile dare spazio anche a ciò che si condannava ieri. Si può essere fedeli alla Tradizione e al tempo stesso sostenitori delle novità.
Non sembri un paradosso.
Anni fa si è tenuto a Fontgombault un convegno sulla liturgia, nel corso del quale si è parlato proprio della “riforma della riforma”. 
In questo convegno, voluto dal Card. Ratzinger, si è tranquillamente affermato che la Chiesa ha due “tradizioni” liturgiche, quella preconciliare e quella postconciliare, e le due possono vivere d’amore e d’accordo. 
Ergo, essere fedeli all’una e-o all’altra significa essere sempre fedeli alla “tradizione”.
Sembra un trucchetto lessicale, ma si tratta invece di un preciso convincimento che affonda le sue radici proprio nella concezione evolutiva della liturgia e della dottrina.
Ora, quasi per non smentire che al giorno d’oggi si vive tranquillamente tra mille contraddizioni, 
c’è solo da aggiungere che in termini di persistente validità del Concilio è anche diffuso il convincimento che esso, in fondo, sarebbe ancora da applicare interamente e correttamente. 
Ed uno degli elementi che comporrebbero questa corretta e completa applicazione sarebbe proprio il recupero di tutta quella parte della liturgia tradizionale esiliata e stracciata per quarant’anni, ma di cui tanti sentono oggi la mancanza.
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Il Motu Proprio, strumento necessario e urgente per il bene della Chiesa.

Se e quando il Santo Padre deciderà di pubblicare questo sospirato Motu Proprio, è indubbio che lo farà allo scopo di perseguire il bene della Chiesa, il quale coincide con la soluzione della crisi che oggi la attanaglia ed è tutt’uno con la suprema legge della Chiesa: la salvezza delle ànime dei fedeli.
Torniamo quindi a quanto dicevamo all’inizio, riferendo quanto affermato negli anni 80 dal Card. Ratzinger.

Oggi sono in tanti coloro che condividono quanto affermato allora dal Card. Ratzinger, e quasi a tutti è chiaro che in materia liturgica sia necessario e urgente un cambiamento di rotta.
Resta da capire se vi è altrettanta chiarezza in materia dottrinale, se cioè si sia colta la strettissima connessione che c’è tra lo stato odierno della liturgia e quello della dottrina.
I mutamenti e i cedimenti liturgici, in questi 40 anni, si sono accompagnati ad altrettanti  mutamenti e cedimenti dottrinali. E come dai cambiamenti liturgici si è passati in maniera inavvertita  agli abusi liturgici così si è giunti agli abusi dottrinali. Cambiamenti e abusi sono ormai dei dati acquisiti nella compagine ecclesiale e per molti fedeli, laici e chierici, è quasi impossibile comprendere dove finisce il lecito è inizia l’illecito. 
Disgraziatamente, questo stato di cose implica un vero e proprio mutamento della Fede.
Per risolvere seriamente la crisi nella Chiesa non si può prescindere da questo aspetto.
Il ripristino della liturgia tradizionale sarà un grande passo avanti in questa direzione, ma esso dovrà essere accompagnato da una vasta, diffusa, incisiva azione di correzione per una buona catechesi e per l’insegnamento della sana dottrina.
Ora, quando si sostiene con convinzione che il bene della Chiesa si persegue anche con l’urgente ripristino della liturgia tradizionale, è innegabile che implicitamente si guardi anche al recupero degli insegnamenti e della dottrina tradizionali. Ed è altrettanto innegabile che si esprima un giudizio negativo nei confronti delle innovazioni del post-concilio. 
Indipendentemente dal fatto che tale giudizio negativo poggi sui documenti del Concilio o solo sulla sua interpretazione, il dato certo è che in questi ultimi quarant’anni non si è fatto il bene della Chiesa.
Non diciamo che si è fatto il male della Chiesa, perché questo a molti potrebbe apparire eccessivo e ingiusto, ma è certo che ciò che si è fatto non corrisponde al bene della Chiesa, per perseguire il quale, infatti, si ritiene necessaria e urgente una inversione di rotta.
Questa riflessione, condotta in maniera seria e ponderata, deve costituire il punto di partenza per ogni decisione futura. Sarebbe impensabile che la si tralasciasse o la si sottovalutasse.

Da qui, un lavoro immane, che tocca in profondità la vita dell’intera compagine cattolica. 
Per fare solo un esempio, è impensabile che i giovani aspiranti al sacerdozio possano assicurare domani il definitivo superamento della crisi se si continua ad educarli ed istruirli privilegiando  lo studio di Freud e trascurando quello di San Tommaso. Non diventa urgente, allora, provvedere a rinnovare quasi interamente il corpo docente?

Visto lo stato delle cose, un lavoro del genere lo si potrà svolgere realmente e proficuamente solo con l’aiuto di Dio. 
E questo aiuto indubbiamente ci sarà: è la promessa del Signore, “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Matteo, 28, 20), ma non si deve dimenticare che i fedeli hanno l’obbligo di agire in modo da collaborare alla realizzazione del Piano della Divina Provvidenza.

E l’obbligo più grande è dei chierici, dei Pastori, dei Successori degli Apostoli.
Anche i laici possono e devono svolgere la loro parte, come hanno fatto fino ad oggi i fedeli legati alla Tradizione, ma occorre riconoscere che senza la parte svolta dai sacerdoti e dai Vescovi fedeli alla Tradizione non saremmo mai giunti a questo punto.

Continuiamo a pregare il Signore Gesù Cristo e la Santa Vergine Maria perché mandi nella vigna sempre più operai fedeli alla Santa Tradizione, così che si realizzi il necessario raddrizzamento all’interno della Chiesa.

Per intanto, ci auguriamo che questo tanto annunciato Motu Proprio venga pubblicato al più presto, e ci riserviamo di riparlarne dopo averne letto il testo.

IMUV

(su)


1 giugno 2007



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