La liturgia e la comprensione dei
fedeli
(2003)
Domanda
Gent.mo …,
Per essere veramente fedeli alla Tradizione,
la S. Messa andrebbe celebrata in ebraico, come l'ha celebrata Gesù
nella sua ultima cena.
Però la Tradizione Apostolica ha
adattato (e ci ha dato l'esempio perché anche noi
facessimo così) la lingua e più in generale il
rito eucaristico alle necessità di comprensione
della comunità a cui si dirigeva
.
Inoltre S. Paolo ha dichiarato di essersi fatto
ebreo con gli ebrei e greco con i greci, per poter predicare a tutti.
Pertanto la vostra iniziativa di voler celebrare
la "Messa Tradizionale" si configura non come rispetto alla
Tradizione Apostolica, ma come devozione alle proprie idee.
Salva sempre la vostra buona fede, che, con questa
e-mail, vorrei togliervi.
Risposta
Comprensione in generale
Comprensione della lingua
Egr. Signore,
non si comprende bene se Lei scrive perché è
convinto o solo perché Le piace provocare.
Probabilmente Lei, in buona fede, è convinto della
bontà di ciò che ha scritto; ed allora Le rispondiamo tenendo
presente questa possibilità.
Lei dice che per essere veramente fedeli alla tradizione
occorrerebbe celebrare la S. Messa in ebraico, se non fosse che gli Apostoli
l’avrebbero adattata alla comprensione della comunità.
Non le sembra di trovarsi un po’ in contraddizione?
Ragionando cosí, si dovrebbe pensare che Nostro
Signore stesso abbia adattata la celebrazione eucaristica alla comprensione
dei discepoli presenti all’Ultima Cena. Il che, secondo Lei, dovrebbe
spiegare benissimo perché Nostro Signore abbia detto: prendete
e mangiate… questo è il mio corpo; prendete e bevete… questo
è il mio sangue.
Una cosa comprensibilissima… ovviamente!
Ora, a parte il fatto che in nessun passo dei Vangeli
si legge di questa supposta esigenza “primaria” della comprensione della
comunità: anzi… e Lei lo sa benissimo… il Signore ha spesso
parlato per parabole, cosí che chi ascoltava non potesse capire…;
ma, da cattolico, Le pare seriamente sostenibile che Nostro Signore abbia
fatto e detto tutto quello che ha fatto e detto adattandolo alla comprensione
di coloro a cui si rivolgeva?
Di cose strane se ne sono sentite tante in questi ultimi
35 anni, ancora se ne sentono e se ne sentiranno, ma giungere fino a
pensare che Nostro Signore sia condizionato dalla comprensione degli uomini,
ci sembra davvero troppo.
Lo stesso dicasi per gli Apostoli e per i Padri.
Vede, caro signore, il fatto è che gli Apostoli
e i Padri si sono preoccupati solo di predisporre ogni cosa secondo gli
insegnamenti del Signore Gesú, perché solo cosí era
possibile corrispondere alle esigenze del Padre e fare la Sua volontà.
Le esigenze degli uomini, a fronte di quanto noi
dobbiamo al Padre e al Suo Figlio Unigenito, nello Spirito Santo, non
contano niente; e ancor meno si può pretendere che le istanze
degli uomini, compresa la loro eventuale incomprensione, possano prevalere
sugli insegnamenti divini, sul culto dovuto a Dio e sulla necessità
che gli uomini si sottomettano ad entrambi.
Vero è che oggi, in vario modo, in tante parti
del mondo cattolico, si crede che le esigenze degli uomini prevalgano sui
loro doveri nei confronti di Dio e dei suoi insegnamenti, ma questo, ce
lo consenta, può solo servire a trasformare la S. Chiesa in una
pia opera filantropica.
Crediamo che Lei convenga con noi che, se di ciò
si trattasse, sarebbe incredibile e vana la stessa Incarnazione del Figlio.
Vede, caro signore, il fatto è che gli Apostoli
non ci hanno insegnato a cambiare la liturgia e la dottrina sulla base
della comprensione degli uomini, tutt’altro. Tanto è vero che
in duemila anni questo non è mai accaduto, e non si può certo
pensare che per duemila anni tutti i Papi e i Santi si siano sbagliati.
La Santa Chiesa è stata voluta da Nostro Signore
perché “ammaestrasse” tutti i popoli, non perché fosse ammaestrata
da essi.
I popoli debbono “apprendere”, non comprendere.
Piuttosto, dal momento che gli uomini hanno anche
la possibilità e il diritto-dovere di comprendere, la Santa Chiesa
ha sempre insegnato, fin dal tempo degli Apostoli, che tale comprensione
passa innanzi tutto per la fede.
Attraverso la grazia del Signore si ottiene la fede,
e attraverso la fede si comprende tutto quello che è possibile comprendere,
escluso tutto quello che appartiene al mistero e alla volontà di
Dio che siamo tenuti a credere per fede anche senza comprenderlo.
Beati coloro che credono senza vedere,
dice il Signore.
Solo immaginando che non sia cosí si può
pensare che la liturgia, per esempio, necessiti a priori della comprensione
dei fedeli.
La liturgia è il culto dovuto a Dio, da Dio
stesso voluta e predisposta, e le sue forme sono essenzialmente legate
agli insegnamenti degli Apostoli e dei Santi che hanno agito sotto l’ispirazione
e la guida dello Spirito Santo.
Si ricorda San Paolo? Non voi pregate, ma è lo
Spirito che prega in voi.
Altro che comprensione!
Tuttavia, ciò non significa che i fedeli debbano
necessariamente rimanere all’oscuro di ogni passaggio liturgico, anzi
(e questo non è mai accaduto, checché se ne dica, basti pensare
alla santificazione di milioni di fedeli che si sono abbeverati alla santa
liturgia di sempre).
Ma non significa neanche che la liturgia possa essere
cambiata a piacimento sottostando alla comprensione umana.
Pensi a quanto sia cambiata una certa sensibilità
comune e quanto velocemente, in questi ultimi anni. Se ne deve dedurre
che fra qualche anno si dovrà arrivare ad una ulteriore riforma
liturgica per adeguare la liturgia alla diversa comprensione dei nostri
figli?
Di questo passo, nel giro di un secolo avremmo diecine
di liturgie, poi diecine di dottrine e infine diecine di “chiese”.
In realtà un po’ di questo è già
avvenuto con la riforma liturgica postconciliare.
Tolti i testi canonici, che tra l’altro sono in latino,
davvero lei crede che tutto l’ecumene cattolico celebri una sola liturgia,
come richiesto dagli stessi libri liturgici?
Nella Santa Chiesa sono ormai in vigore diecine di
liturgie diverse, molte delle quali continuano a mutare col mutare della
“creatività” dei varii celebranti, i quali, diventati ormai dei
“presidenti”, non fanno altro che affidarsi alle fantasie dei consigli
parrocchiali.
Lei dice che bisogna farsi greci con i greci ed ebrei
con gli ebrei.
In un certo senso è vero, ed è anche per
questo che il Signore concesse agli Apostoli il “dono delle lingue” (che
è cosa ben piú complicata del semplice uso di un dato linguaggio
per farsi capire dall’altro).
Ma, vede, questo farsi greco col greco ha un senso
e una profonda giustificazione, perfino una valenza soprannaturale, solo
a condizione che il fine sia, non solo la “predicazione” (come dice
Lei), ma soprattutto la conversione.
Poiché, come dice il Signore, se in quella casa
non vi accolgono, uscite da essa e scuotete la polvere dei vostri calzari,
quelli saranno giudicati a loro tempo per aver rifiutato di accogliervi.
Se, invece, farsi greco col greco significa che da
fedeli seguaci di Cristo diventiamo “amorevoli” e “misericordiosi” fratelli
di coloro che non ci accolgono o, peggio ancora, finiamo con l’uniformarci
a coloro che rifiutano o criticano o trattano con indifferenza Gesú
Cristo e i suoi insegnamenti… beh! allora, meglio chiudere la Chiesa!
Per non parlare della incredibile polemica sulla lingua
liturgica.
Per secoli, con un tasso di scolarità quasi pari
a zero, la Chiesa ha allevato, per la gloria del Signore, centinaia di
migliaia di santi e pii uomini, milioni di fedeli devoti a Dio e alle sue
leggi, e nessuno di questi ha mai avuto dei problemi perché non
conosceva il latino.
La falsa questione della lingua è davvero cosa
da asilo infantile.
Gli stessi ultimi tre Papi si sono molto rammaricati
per la perdita del latino, e sa perché? Semplicemente perché
la perdita della lingua liturgica, che comportava che almeno i preti conoscessero
“bene” il latino, si è inevitabilmente tradotta nella perdita dell’unità
della Chiesa, nella perdita del significato di molte parti della dottrina,
nella confusione babelica della lettura e della interpretazione perfino
del Credo e del Padre Nostro.
Non solo presso i fedeli, ma financo presso i preti e
i religiosi.
La lingua liturgica ha sempre assolto il compito di
rendere fissa la liturgia e la dottrina, non per non far capire nulla ai
fedeli, ma per impedire che col mutare della lingua mutasse anche il credo
e la fede; per corrispondere a quell’Una, Santa, Cattolica, Apostolica
che recitiamo o cantiamo ogni Domenica.
[…]
Vede, egregio signore, noi abbiamo il grande torto
di voler rimanere legati all’insegnamento che la S. Chiesa ha sempre offerto
ai fedeli per duemila anni. Di voler rimanere legati alla S. Messa che
la S. Chiesa ha celebrato per duemila anni. Di voler rimanere legati alla
Tradizione degli Apostoli e dei Padri, cosí come ci è stata
trasmessa dai Papi e dai Santi per duemila anni.
A noi non importano tutte le fesserie che si raccontano
oggi, per cui la S. Chiesa avrebbe la colpa di non aver fatto e di non
aver detto, in duemila anni, quello che piace oggi a certi liturgisti moderni,
a certi pseudo-teologi moderni, a certi predicatori moderni.
Vede, noi siamo dei poveri uomini comuni, che confessiamo
di non avere l’ardire di pensare che abbiamo capito tutto, tanto da poter
giudicare duemila anni di vita della Chiesa. Noi, da semplici fedeli di
Cristo, desideriamo solo essere lasciati in pace nelle nostre ristrette
certezze: se per duemila anni la S. Chiesa ha fatto e ha detto cosí
e cosí, vogliamo continuare sulla stessa strada.
D’altronde, e forse la cosa le è sfuggita, è
lo stesso Santo Padre che ha riconosciuto la legittimità della nostra
posizione, ed ha invitato e continua a invitare i Vescovi ad essere generosi,
caritatevoli e comprensivi con i fedeli legati alla liturgia tradizionale.
Le nostre non sono idee fisse o mere opinioni, per noi
si tratta di un convincimento profondo che condividiamo con tanti religiosi,
tanti sacerdoti, tanti Vescovi, tanti Cardinali, con lo stesso Papa. Se
questo per Lei non significa niente, non potrà certo dire che è
colpa nostra!
A questo punto dobbiamo confessarLe, egregio signore,
che abbiamo il sospetto che Lei sia un prete, uno di quei preti che si
nasconde, si vergogna di dirlo. Uno di quelli che è orgoglioso di
mostrarsi come un uomo qualsiasi, uno di quelli che non ha il coraggio
di essere fedele alla sua ordinazione sacerdotale.
Può darsi che ci sbagliamo! Dio lo voglia.
Se cosí non fosse e se Lei è un semplice
fedele, prima di dire a se stesso e a noi che sbagliamo, vada dal suo parroco
e chieda a lui che cosa significa dedicare tutta la propria vita al Signore.
Se il suo parroco Le dirà che significa mettersi
al servizio dei fratelli, dimenticando di dirgli che innanzi tutto significa
mettersi al servizio di Dio anche dispiacendo a certi fratelli troppo preoccupati
di
capire tutto, anche l’incomprensibile: si faccia spiegare
perché si è fatto prete e non si è semplicemente iscritto
ad una società filantropica… e poi ne riparliamo!
Non ce ne voglia per la nostra limitatezza e per i nostri
errori: non tutti siamo delle cime!
Cordiali e fraterni saluti in nomine Domini
IMUV
settembre 2007
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