Semplicità della Santa Messa ?
(dic 2002)
Domanda
Grazie per l'esauriente risposta alla mia domanda forse
un po' troppo ermetica.
Ritengo tuttavia che si sia troppo legati ad un formalismo
liturgico che, a mio parere, è stato un bene eliminare in parte.
È bene ricordare che la "prima Messa"
celebrata dal Signore Gesù fu una cena.
Una cena senza preghiere di difficile comprensione
(mi riferisco al latino), senza tutte quelle convenzioni o aggiunte che
sono qualcosa in più rispetto alla sostanza e che anzi a volte la
nascondono.
Penso che da salvaguardare sia solo la sostanza
della Messa e non la forma che può e deve cambiare a seconda del
contesto storico.
A mio parere al Signore Gesù non interessa
il fatto che i presbiteri "non gli girino le spalle" o che usino l'italiano
piuttosto che il latino, a Lui importa che il Suo popolo comprenda a pieno
il significato, il valore della Messa.
Pensi a come potevano celebrare la S.Messa gli apostoli
nelle loro comunità: chissà quanti chierichetti e quanto
incenso...
Suo fratello in Cristo
Risposta
Egregio Signore
le sue osservazioni non possono che essere legittime,
se viste alla luce della nuova pastorale e del nuovo Catechismo.
Da quando gli Apostoli hanno celebrato le prime SS. Messe,
dopo l’Ascensione del Signore, vi sono certamente stati molti modi per
effettuare la celebrazione, e questi modi hanno sempre comportato degli
elementi essenziali e degli elementi accessorii. Qualunque liturgista serio
sa bene che esistono due componenti fondamentali della celebrazione: il
Rito e la cerimonia. Il primo è composto da tutti quegli elementi
che si “ripetono” inalterati per conservare l’efficacia del Rito stesso,
la seconda è costituita da tutti quegli elementi che arricchiscono
la celebrazione per l’edificazione dei fedeli, sacerdoti e celebrante compresi.
Per la sua “immutabilità”, il Rito deve corrispondere
a ciò che è stato compiuto “ab initio”, non da mano di uomo,
ma da Dio stesso, diversamente si tratterebbe di una mera cerimonia
e non avrebbe alcuna efficacia.
Tant’è vero questo che la Chiesa ha sempre insegnato
e ancora insegna che il vero celebrante, il sacrificatore, non è
il sacerdote che all’altare compie il Rito (né tampoco l’assemblea),
ma lo stesso nostro Signore Gesú Cristo, che si serve del sacerdote,
appositamente ordinato, per compiere un atto che è prevalentemente
di natura divina e non umana.
Ancora oggi la Chiesa insegna che il sacerdote opera
“in persona Christi”, al posto di Cristo, e che la S. Messa è
valida “ex opere operato”, di per sé stessa: purché
siano fatte salve la materia, la forma e l’intenzione.
La materia è la sostanza delle specie eucaristiche
su cui Nostro Signore opererà la transustanziazione; la forma
è il modo con cui la celebrazione è effettuata: parole, gesti
e componenti liturgiche; l’intenzione è la disposizione
interiore, intellettuale, razionale, psicologica, con cui il sacerdote
effettua la celebrazione.
Se il pane non fosse di frumento non lievitato,
per esempio, la S. Messa non sarebbe valida. Se le parole non fossero
esattamente quelle che devono essere, la S. Messa non sarebbe valida:
è per questo che è obbligatorio l’uso del Messale da altare:
il celebrante deve leggere le parole, anche quando le sapesse a memoria,
perché non può correre il rischio di rendere invalida la
S. Messa per un suo errore. L’intenzione è riassunta nella formula
che
il sacerdote deve celebrare la S. Messa con la totale convinzione di fare
ciò che fa la Santa Chiesa, cioè ciò che sente, che
crede, che opera quella entità spirituale che è essenzialmente
la Sposa di Cristo.
Come vede, in tutto ciò non vi è nulla che
possa dipendere dalla volontà del celebrante o dalle esigenze specifiche
dei fedeli presenti.
Uno degli elementi che caratterizza questa specificità
del Rito è dato proprio dal fatto che la S. Messa è tale,
nella sua interezza, per il rispetto meticoloso di questi elementi, indipendentemente
dagli uomini e, per esempio, indipendentemente dal fatto che vi
siano o meno dei fedeli che vi assistono.
La S. Messa, essendo il rinnovamento del Sacrificio del
Signore, effettuato per propiziare la discesa della grazia a favore della
salvezza dei credenti, è celebrata ogni giorno, da ogni sacerdote
presente sulla terra, per i presenti e per gli assenti, per i vivi e per
i morti. Essa è valida ed efficace di per sé: essa deve
celebrarsi perché non si interrompa il continuo canale attraverso
il quale la Grazia di Dio fluisce salvifica per il bene delle ànime
dei credenti.
Non è difficile comprendere come certe caratteristiche
della celebrazione moderna, soprattutto in ordine alla pastorale e alla
catechesi che l’accompagnano, non abbiano niente a che vedere con tutto
questo.
Si tratta di mere “sovrastrutture” che ancorché
pretendano di richiamarsi ad una supposta “semplicità” si rivelano
essere delle inutili, fuorvianti e spesso dannose aggiunte degli uomini.
Esse sí che sono del tutto ingiustificate e fin troppo cangianti,
perché si possa sostenere che siano in armonia con l’immutabilità
del Rito.
Pensi alla questione dell’intenzione.
Lei dice che Nostro Signore, ab initio, si limitò
ad una semplice “cena”.
Nei tre Vangeli sinottici, questa “semplice cena”, non
è poi presentata come una cosa cosí semplice.
Nei capitoli 26 del Vangelo secondo San Matteo,
14 del Vangelo secondo San Marco e 22 del Vangelo secondo San
Luca, non si parla di “semplice cena”, si racconta, in maniera estremamente
sintetica, che i discepoli, per ordine del Signore, vanno a preparare
la Pasqua (e non la cena) in un posto preciso, appositamente addobbato
e composto, precedentemente preparato e predisposto dallo stesso Signore
Gesú; e in questo posto non si “mangia” la cena, ma lsi celebra
la Pasqua, e cioè la Pasqua ebraica che già di per sé
comportava tutta una serie di adempimenti rituali che risalivano a Mosè,
e quindi derivati dal Levitico e dai Numeri.
Nel Vangelo secondo San Giovanni, ai capitoli dal
13 al 17, non si parla della preparazione del
cenacolo, ma in occasione della “cena” si delinea tutta la teologia
della S. Messa, riportando una serie di insegnamenti e di preghiere
che il Signore Gesú si è riservato di presentare ai Dodici
in quella particolare occasione; altro che mancanza di preghiere incomprensibili!
Quando il Signore Gesú si accinse a “mangiare”
la Pasqua con i suoi, non v’erano altri con Lui che i Dodici, compreso
il Traditore, non v’erano le donne, né gli altri discepoli, non
v’era neanche la Vergine Maria.
Ebbene, tutto questo ha troppo poco di “semplice”
e parecchio di complicato.
La semplicità sta nella descrizione dei Vangeli,
non nella sostanza del Rito: esattamente il contrario di quanto si ama
declamare da quarant’anni.
E quando gli Apostoli incominciarono a “fare” quello
che aveva comandato loro il Signore, lo fecero con la piena conoscenza
di tutti i particolari, essenziali ed accessorii, mettendoli in atto cosí
come aveva comandato il Signore.
I primi sacramentali “complicati” di cui si ha “documentazione
scritta”, risalgono ai primi secoli, non al Medioevo, ed in essi sono
già presenti tutte le “inutilità” di cui si va cianciando
oggi.
Pensi all’uso di allora di tramandare principalmente insegnamenti
e prescrizioni per via orale e non per iscritto; pensi, per esempio, per
quanto tempo il Credo fu trasmesso oralmente e segretamente solo tra i
discepoli, col divieto di recitarlo impunemente (ancora oggi si chiama
“Simbolo” degli Apostoli: e chi saprebbe dire, anche tra i preti moderni,
qual è in questo caso il vero significato di questo termine: “simbolo”?).
La S. Messa vera e propria incominciava esattamente
con la recita o il canto del Credo, dopo che venivano fatti uscire i “catecumeni”,
perché ancora non battezzati e quindi non veri discepoli di Cristo,
non ammessi ad assistere alla celebrazione dei Santi Misteri.
Siamo nelle catacombe, non nei fasti “inutili” e “superflui”
della liturgia romana antica (come si usa dire oggi).
Pensi alle prime basiliche fatte costruire da Sant’Elena,
la madre di Costantino, siamo nel IV secolo: orientamento ad Est, navata
centrale per i religiosi, navate laterali per gli uomini, matronei per
le donne, abside semicircolare, altare al centro della croce del transetto,
balaustra che delimita il presbiterio, iconostasi che separa il luogo della
celebrazione dal resto della chiesa, ecc.
Pensi a come è rimasta, anche nelle sue forme
esteriori, l’antica liturgia di San Crisostomo o di San Basilio, che ancora
oggi viene celebrata nell’Oriente cristiano (in questo caso l’ecumenismo
non si applica, perché disturba).
Pensi alle tendine del tabernacolo che, dove ancora
non sono andate distrutte, ricordano le tende che si chiudevano per nascondere
agli occhi dei fedeli il momento della Transustanziazione (cosa che ancora
si fa in Oriente), e che ricordano perfino lo stesso Sancta Sanctorum del
Tempio ebraico.
Pensi al significato del silenzio che si teneva in chiesa
al momento della recita del Canone, e quindi della Consacrazione, durante
il quale i fedeli rimanevano in ginocchio, col capo chino, senza osare
guardare gli stessi gesti del sacerdote: si sentivano solo le campanelle:
quasi un richiamo celeste che faceva tremare le vene e i polsi per il terribile
Mistero che stava per compiersi.
Pensi a quanto si è perso oggi del piú importante
elemento significativo della S. Messa: la presenza reale del Signore nostro
Gesú Cristo che, in quel momento, dal cielo scende ancora in terra
e della sostanza del Pane e del Vino fa ancora una volta il Suo Corpo e
il Suo Sangue assunti poi dai suoi fedeli per la salvezza della loro ànima.
Ecce Agnus Dei, ecce qui tollis peccata mundi.
Ecco l’Agnello di Dio, ecco Chi toglie i peccati del
mondo
(anche nella traduzione è stato tolto, incredibilmente,
quel Chi, che ricordava la Presenza Reale dell’Uomo-Dio che in ogni S.
Messa si immola per la nostra salvezza):
chi si inginocchia piú quando il celebrante alza
in alto l’Ostia consacrata e declama queste parole mostrando ai fedeli
Nostro Signore che in Corpo, Sangue, Anima e Divinità è lí
davanti a loro, in mezzo a loro?
Chi sente piú un minimo di timore, di riverenza,
di adorazione, al cospetto di questa cosa incredibile del Nostro Dio
che si incarna in una sostanza terrena e si offre in pasto a noi per la
nostra salvezza?
Pensi al significato e all’incidenza “psicologica” (come
si ama dire oggi) di tanti di questi elementi che permettevano ai fedeli
di percepire la S. Messa come un momento davvero fuori dall’ordinarietà
della vita, che li aiutava a capire che davvero qui in terra si stava
consumando un evento di natura celeste, a cui partecipava tutta la Chiesa
militante, tutta la Chiesa purgante, tutta la Chiesa trionfante, insieme
a tutte le schiere dei Cori Angelici: come si continua a recitare o
a cantare ancora oggi al momento del Prefazio. Chi sa piú di tutto
questo tra i fedeli, anche se molti richiami liturgici sono rimasti?
Potremmo continuare per pagine intere, ma crediamo che
questo basti a far comprendere che non si tratta, per i cattolici legati
alla Tradizione, di eccessivo formalismo, quanto piuttosto del mantenimento
di elementi di sostanza: soprattutto ove si pensi che molti di questi elementi,
non solo sono intimamente connessi col Rito della S. Messa, ma sono di
una importanza basilare per la tanto strumentalmente strombazzata consapevolezza
dei fedeli.
Non sapere molte di queste cose, non conoscere il loro
significato, non poterle vivere per quello che sono essenzialmente, equivale,
oggi, a un duplice danno, per la Chiesa e per gli stessi fedeli.
Per un verso si finirà col perdere il vero significato
della S. Messa: pensi al caos liturgico che albergherà nelle menti
di molti sacerdoti.
Per l’altro, dopo aver tanto declamato sulla capacità
e sulla necessità di comprensione dei fedeli, li si porrà
nelle condizioni di guardare alla S. Messa come ad una cosa qualsiasi,
dopo
averli considerati non in grado di comprenderne la complessità,
la difficoltà, la trascendenza.
E dire che oggi ci si lamenta del fatto che molti nostri
contemporanei si rivolgono alle cose piú strane, perché sentono
forte il richiamo del “mistero”.
Noi, che per duemila anni, abbiamo sempre vissuto
la nostra vita intorno al Mistero ineffabile della S. Messa, della
liturgia cattolica, delle devozioni popolari, del culto dei Santi: noi,
oggi, vediamo le nostre chiese svuotarsi di fronte ad una liturgia banale
e banalizzante, una liturgia principalmente improntata alla razionalità,
una liturgia dove c’è molto dell’umano e molto poco del divino.
E proprio oggi che viviamo in un mondo che ci sommerge
con i suoi messaggi edonistici e materialistici, che ci opprime con i suoi
ritmi incontrollabili, che ci costringe con il suo assolutismo “scientifico”.
Proprio oggi che avremmo bisogno piú che mai
di un “angolo” di ristoro, di pace, di raccoglimento: un posto “appartato”,
“separato”, “sacro”, ove sentire che non di solo pane vive l’uomo, ma di
ogni parola che esce dalla bocca di Dio.
Un posto ove si respiri un’aria che ci ricordi che non
di solo corpo, di sola mente, di soli sensi siamo fatti, ma di un misterioso
composto naturale e soprannaturale a immagine e somiglianza di Dio.
Un posto ove ancora chi può, per volontà
di Dio, possa essere aiutato a ricondursi alla sua casa celeste per godere
della visione beatifica del Creatore.
Se un tempo bastava poco di “complicato” e di “misterioso”
per far sentire ai fedeli il rapporto con Dio, quanto di piú
complicato e di piú misterioso avrebbe bisogno l’uomo moderno per
essere scosso dal torpore e dall’illusionismo della vita odierna, per cogliere
anche solo un po’ di ciò che si coglieva un tempo?
Ci si illude che oggi si possa “comprendere” di piú
del Mistero, e non ci si accorge che già solo parlare di “comprensione”
del Mistero è una contraddizione in termini.
Che il Signore abbia pietà delle nostre piccolezze
umane, e ci aiuti sempre meglio a disporci per adorarlo in spirito e verità,
come da Lui espressamente comandato.
Cordiali e fraterni saluti in nomine Domini.
IMUV
settembre 2007
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