I frutti del Concilio e l'ermeneutica della continuità

(giugno 2009)
 

Domanda

Cari Fratelli,
sono un Diacono, e sono capitato per caso, come spesso accade navigando in rete, sul vostro sito.
Io non condivido la vostra sensibilità per la liturgia antica, ma questo per me non rappresenta un problema, né mi fa sentire in contrapposizione o, tantomeno, migliore o peggiore di voi. Sono semplicemente nato nel 1965, non ho mai celebrato nulla nel rito tridentino, e comunque non conosco il Latino, semplicemente perché non ho mai incontrato questa materia nel mio percorso di studi (oltre che Diacono, sono Laureato in Economia ed esercito la professione di Dottore Commercialista).
Nel vostro sito chiarite che il vostro scopo è più ampio della questione liturgica o della contrarietà al concilio vaticano II; molte delle cose che dite sono ovviamente opinabili, ma comunque rispettabili come opinioni legittime.
In spirito assolutamente fraterno vorrei farvi presente che però mi pare sinceramente eccessiva un po' tutta la sezione del sito dedicata ai "frutti del Concilio Vaticano II".
E' chiaro, e neppure vale la pena di parlarne, che le cose che segnalate voi in materia di liturgia, di architettura delle chiese sono delle assurdità, degli abusi, in qualche caso dei gravi illeciti. Ma sono solo questi i frutti del Concilio Vaticano II? Mi pare proprio di no. Questi sono solo i frutti "avariati", le deviazioni, che del resto un po' tutti i Concili e le riforme hanno generato nella chiesa. Questo gettare discredito sull'intero Concilio per episodi diffusi, ma non generalizzati, mi pare deleterio.

Premesso che secondo me la questione della liturgia non è la più importante rispetto alle sfide del modernismo e della nuova evangelizzazione, e stante che il Papa aveva pieno diritto di emanare il motu proprio, così come allo stesso tempo esiste libertà di criticarlo non essendo in gioco la sua infallibilità, vorrei dire che restano invece aspetti non chiariti nell'uso del "vetus ordo".
Il rito è diverso.
Intanto il rito della Messa:  come si fa col suddiacono che non esiste più? si utilizza un calendario diverso? il ciclo delle letture è diverso? Effettivamente nella chiesa questo è sempre stato possibile ma, appunto quando un rito o tradizione ha una proprio autonomia (es. il rito ambrosiano o l'ispanico-mozarabico). Per cui non mi sembra coerente parlare di due riti nella stessa tradizione (quella cattolica romana).
Anche il rito dei sacramenti è diverso. Penso alla cresima, per cui non era prevista la celebrazione all'interno della messa, e ci sono alcuni segni diversi; idem per il battesimo; e soprattutto, il matrimonio, il vecchio rito non mi pare evidenzi la teologia del sacramento (come ad esempio la esprime il CCC, scritto e approvato dall'attuale Papa) per cui i ministri sono i coniugi.
Per non parlare, poi, delle funzioni del Diacono (tema che mi interessa particolarmente), che erano diverse e più ristrette.

Mi piacerebbe sentire la vostra opinione su questi punti.
Cordialmente.


Risposta

Egr. Sig. …,
grazie per l’attenzione.
Probabilmente ci dilungheremo un po’, ma ci permetta di approfittare della sua comunicazione per puntualizzare alcune questioni che riteniamo siano parecchio importanti.
Lo faremo seguendo passo passo il suo scritto. Se Lei non fosse un diacono non lo faremmo.

Lei parla della liturgia antica come di una questione di sensibilità e quindi di gusto. Questo ovviamente non si può evincere dal nostro sito, si tratta piuttosto di un luogo comune che oggi va per la maggiore. Ci permettiamo farLe notare che la questione della liturgia non può essere considerata a prescindere dai fattori di ordine teologico e dottrinale, sia che si parli della liturgia antica, sia che si tratti della liturgia moderna.
Non è questo il luogo per affrontare la delicata e complessa questione, nel nostro sito vi sono tanti articoli che l’affrontano. Ci limiteremo quindi a proporre due riferimenti, sui quali sarebbe utile riflettere.
Il primo è la millenaria persistenza della liturgia tradizionale che, salvo alcuni adattamenti di spazio e di luogo, va dagli Apostoli, e comunque da Papa Gelasio, al 1965. Questo riferimento, per il suo dato storico-liturgico e per la sua valenza dottrinale e pastorale, è facilmente riscontrabile in tanti scritti di importanti liturgisti (qualcosa si trova nel nostro sito), non ultimo il Card. Ratzinger, oggi Papa Benedetto XVI, f.r.
Il secondo è il Motu Proprio del Papa che dichiara che il Vetus Ordo non è stato mai abrogato e che, quindi, tutti i sacerdoti cattolici possono liberamente usarlo senza limitazioni o preventive autorizzazioni, né della S. Sede, né del proprio Ordinario (su questo, a ottobre 2008, abbiamo pubblicato un numero della nostra rivista, reperibile fin dalla prima pagina del nostro sito).
Se la questione della liturgia fosse riconducibile alla sensibilità, o alla conoscenza del latino (che moltissimi fedeli tradizionali non conoscono), sarebbero inspiegabili sia la sua persistenza nei secoli, anche in quelli in cui non si parlava più latino (da circa 1000 anni), sia il Motu Proprio del Papa.

Per ciò che riguarda le nostre pagine su “I frutti del Concilio, Lei ha ragione, poiché, grazie a Dio, non in tutte le chiese, né tutti i celebranti vivono liturgicamente quelle che Lei stesso chiama assurdità.
Noi non abbiamo la possibilità di stendere un elenco più o meno completo di tali assurdità, né questo è il nostro compito, quelli che riportiamo, però, sono esempi emblematici di un comportamento generale che nell’ecumene cattolico è parecchio più diffuso di quanto sembri e di quanto Lei manifesta di credere.
D’altronde, se non tutte le nuove chiese sono assurde, né tutti i celebranti sono impazziti, è indubbio che quanto da noi segnalato, con brevi cenni, è presente in tutte le Diocesi, quindi è relativo a tutti i Vescovi, che, fino a prova contraria, sono di fatto la Chiesa militante.
Forse anche questa considerazione Le sembrerà eccessiva, ma dovrà convenire che stiamo parlando di un dato di fatto.

Peraltro, le nostre pagine in questione non parlano solo di chiese orribili e di celebranti scomposti, ma trattano anche di chierici blasfemi o confusi o apostati, e, in definitiva, non cattolici.
Questo non è un fenomeno contingente o occasionato dal Concilio, al pari di altri tempi e di altri Concili, oggi siamo di fronte al “fumo di Satana” e al “pensiero non cattolico” indicati da Paolo VI, all’“apostasia silenziosa” descritta da Giovanni Paolo II, alla “sporcizia nella Chiesa” richiamata dal Card Raztinger un mese prima di essere elevato al Soglio Pontificio.
In altre parole si tratta di una crisi liturgica e dottrinale, e pastorale, come la Chiesa non ha mai conosciuto nei secoli.
Vero è che l’Arianesimo venne abbracciato anche dai Papi, ma è anche vero che esso venne debellato con la resistenza di qualche vescovo, per questo condannato e vilipeso.
Triste ricordo, che oggi dovrebbe fare riflettere in tanti, soprattutto ove si pensi che, nonostante tutto, allora la Cristianità non conobbe l’eresia, che atteneva quasi esclusivamente ai chierici di alto loco; e non poteva conoscerla, per il semplice motivo che allora, grazie a Dio, vigeva una società profondamente e largamente religiosa, se non ancora interamente cristiana. Allora nulla mutò della liturgia e della pratica della Fede, né, soprattutto, venne intaccata la devozione popolare. Non si può dire lo stesso di oggi, col coinvolgimento pernicioso financo del più semplice dei fedeli.

Circa l’importanza della liturgia, non va dimenticato che essa è il cuore pulsante della Chiesa, in quanto preghiera per eccellenza della Chiesa, essa è il centro della vita cristiana dei fedeli, chierici e laici. La sua non è un’importanza primaria o secondaria, ma “l’importanza” e basta. Il famoso “fate questo in memoria di me” è il fondamento stesso della Chiesa e, in quanto “il mezzo” per la salus animarum, è la vita stessa della Chiesa.
Ci scusi, ma Lei come diacono, queste cose le dovrebbe sapere meglio di altri.

Le stesse sfide di cui Lei parla non potrebbero neanche essere prese in considerazione se si prescindesse dalla liturgia. Fermo restando il fatto che il modernismo o il relativismo o l’indifferentismo non sono sfide moderne, ma sono il ripresentarsi della sfida di sempre: l’uomo che pretende di misurarsi con Dio.
Nostro Signore è venuto appositamente non per prepararci a questa o a quella sfida, ma per vincere il mondo stesso, per sua natura governato dal “Principe di questo mondo”. È da qui che scaturisce l’evangelizzazione, non da qualche sopraggiunta circostanza temporale.
Così che parlare di “nuova evangelizzazione” significa riconoscere che si è già prodotta la perdita della Fede.
Come si fa ad evangelizzare senza la liturgia che ci ha lasciato come compito primario Nostro Signore?
Come si fa ad andare a predicare se primariamente non si è fatto ciò che dev’essere fatto in Sua memoria? E se non lo si è fatto come da Lui stesso insegnato e prescritto?

Il Motu Proprio non è certo vincolato dall’infallibilità, ma certo è che non potendo abrogarsi la liturgia tradizionale, essa, perciò stesso, è vincolante. Il Papa, quindi, non ha sancito nulla di nuovo o di diverso da quello di sempre, egli si è limitato a ricordare e a confermare un dato di fatto della vita della Chiesa, un dato irrinunciabile di primaria importanza.
Oggi è normale criticare la sua decisione, ma, in questo caso, dev’essere chiaro che la critica è rivolta di fatto non al Papa o al Motu Proprio, ma alla Chiesa di sempre, e questo sì che è impossibile. Criticare la Chiesa di sempre, nella sua liturgia, è come accantonarla, avendo inevitabilmente in vista una Chiesa diversa, diversa dalla Chiesa Cattolica: una Chiesa non più cattolica.

Piuttosto il ragionamento va capovolto: se la liturgia di sempre non è abrogabile, non solo è impossibile “sostituirla”, ma è da respingere ogni decisione che pretendesse di farlo, MissaleRomanum di Paolo VI compreso, sia pure coperta dall’autorità papale.
Si tratta di una questione che da subito noi e altri abbiamo posto e che andrebbe sottoposta al Papa.
Delle due l’una: o la liturgia tradizionale è un elemento immutabile, seppure adattabile, della Chiesa, e quindi la liturgia moderna è accantonabile, o la liturgia moderna è legittima e quindi nella Chiesa è legittima la rottura con la Tradizione: come dire che nella Chiesa è legittima la rottura con la Chiesa. Un paradosso che sopravvive da 40 anni.

Venendo poi al Rito della S. Messa, crediamo che lei si sia accorto da solo che le sue domande sono esattamente le nostre. Certo si tratta di due riti diversi. Certo anche i Sacramenti sono diversi.
Quindi? …
Quali sono quelli più corretti, più rispondenti alla liturgia cattolica, più aderenti all’insegnamento cattolico?
Fra la liturgia millenaria della Chiesa e la liturgia moderna, come si fa a scegliere, anche solo per esprimere un giudizio, sia pure superficiale?
Se è più rispondente la liturgia di sempre, quella nuova è carente e pericolosa.
Se fosse più aderente la liturgia moderna, per secoli e secoli la Chiesa si sarebbe sbagliata o avrebbe peccato di approssimazione. Dopo secoli e secoli gli uomini di Chiesa si sarebbero accorti dell’errore e avrebbero confezionata una liturgia diversa da quella di sempre.
È plausibile una cosa del genere?
O non è più plausibile che si siano sbagliati oggi, gli uomini di Chiesa, magari suggestionati dalla modernità e dalle illusioni da essa prodotte?

Se entriamo nel particolare.
Il fatto che il suddiacono non esista più è cosa davvero insignificante, basta ricostituirlo.
D’altronde, la S. Messa è celebrata essenzialmente da Nostro Signore stesso, Sacrificatore e Ostia, per il tramite del suo ministro consacrato che opera in Persona Christi. Anche in presenza del Diacono e del Suddiacono, e degli accoliti e assistenti, l’unico celebrante è il ministro consacrato, gli altri lo aiutano… se non ci sono, la celebrazione ha luogo ugualmente, con la stessa efficacia per la discesa della Grazia in favore
dei presenti e degli assenti, dei vivi e dei morti.
Aver abolito il suddiaconato è stata un’emerita sciocchezza, poiché compito precipuo del Suddiacono era proprio quello di guidare e informare i fedeli nel corso delle celebrazioni liturgiche. E dire che oggi si è confezionata una liturgia ex novo con la scusa che, a differenza di ieri, si dovevano rendere edotti i fedeli, guidandoli e informandoli per meglio farli “partecipare”… e cosa si fa? Si abolisce il Suddiacono, delegando il di lui compito al prete, con grande disturbo e nocumento per la celebrazione, o ad un laico, con grande confusione tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale.
Non Le viene il sospetto che sia stato proprio questo l’intento? Creare confusione e trasformare la S. Messa cattolica in messa protestante, il sacerdote in semplice presidente, i fedeli in popolo orante, senza più adorazione, senza più sottomissione, senza più distanza tra la creatura e il Creatore?

Così per la Cresima. Così per il Battesimo. Per esempio: qual è il significato profondo e la necessità “pastorale” della soppressione dell’esorcismo dell’acqua e del sale? Se non la semplificazione e quindi la banalizzazione del Rito?
Per il matrimonio Lei si richiama al CCC, e questo significa che nessuno Le ha mai fatto leggere il Catechismo di San Pio X, che è un compendio del Catechismo d Trento.
407 – Chi è ministro del Matrimonio? – Ministro del Matrimonio sono gli sposi che lo contraggono.
Questo Catechismo era quello che si usava, per farlo tenere a memoria, con i fanciulli della Prima Comunione e della Cresima. Chi ha qualche anno sulle spalle se lo ricorda ancora, se possibile.

Il Diacono e il Suddiacono sono coloro che hanno ricevuto gli Ordini in vista del Presbiteriato, ma in seno alla celebrazione svolgono il compito di assistenti del celebrante, con precise funzioni distinte e gerarchiche. Per questo nelle SS. Messe solenni e pontificali, la funzione di Diacono e Suddiacono veniva e viene svolta da presbiteri. Il fondamento del diaconato e del suddiaconato si trova negli Atti, dove si racconta che gli Apostoli, per dedicarsi essenzialmente alla preghiera (compresa la celebrazione del Santo Sacrificio), delegarono altri discepoli alle incombenze più ordinarie.
Uno spirito ormai defunto presso parroci e vescovi moderni, tutti dediti alla “cura pastorale” del corpo e della psiche, piuttosto che dell’anima dei fedeli.

Qui ci permetta un po’ di leggerezza, di stuzzicarla un po’.
Da Diacono ha mai sentito parlare del fatto che il Suddiacono canta l’Epistola rivolto a Sud o al popolo, mentre il Diacono canta il Vangelo rivolto a Nord. Perché l’Epistola svolge la funzione di illuminazione razionale del fedele, mentre il Vangelo, che è la Parola che esce dalla bocca di Dio, è l’edificazione dei fedeli e, per ciò stesso, l’esorcizzazione degli spiriti dell’aria, delle potenze oscure, che sono relegate a Nord, lontano dalla luce del Sole?
Chi, tra i chierici, pratica più tutto questo? Anzi… chi conosce veramente ancora tutto questo? Forse neanche prima del Concilio vi era molta istruzione ecclesiastica seria, ma è indubbio che oggi anche quel poco è scomparso.

Per ultimo, ci permetta un breve cenno alla questione del Concilio: controverso o benemerito?
Certo Lei avrà sentito discutere dell’ermeneutica della continuità o della rottura.
Questo concetto prende seriamente in considerazione l’importanza di una corretta interpretazione dei testi conciliari, senza la quale si andrebbe incontro al caos.
Ora, già solo parlare di interpretazioni differenti significa riconoscere che i testi non sono chiari ed univoci, ma oscuri ed equivoci.
Ma poi, chi dovrebbe correggere l’ermeneutica condotta fino ad ora riconducendola nel solco della continuità con la Tradizione? Se non gli stessi che hanno finora praticata l’ermeneutica della rottura?
In verità un bel problema.
Ancora più grave ove si pensi che tale ermeneutica venne praticata da subito dopo il Concilio da quegli stessi Vescovi che avevano partecipato al Concilio. Se attuarono l’ermeneutica della rottura con la Tradizione nei confronti dei testi da loro stessi elaborati, è inevitabile pensare che tale rottura era già in loro, nelle loro teste, nelle loro intelligenze, nei loro cuori, fin da prima del Concilio. Diversamente si dovrebbe pensare ad un sorta di sdoppiamento o di schizofrenia.
Ma, se le cose stanno così, e stanno così, è obbligatorio considerare che gli stessi documenti conciliari sono stati concepiti e partoriti con una disposizione di rottura con la Tradizione.
In altre parole, anche a costo di ripeterci, la vera questione non sta nell’ermeneutica o interpretazione del Concilio, ma sta nel Concilio stesso o, quanto meno, in quello che il Concilio stesso ha elaborato. Tentare una “corretta interpretazione”, in continuità con la Tradizione, dei documenti conciliari, prescindendo dalla disposizione di chi ha elaborato la stesura definitiva dei testi e ne ha curato l’applicazione è una vana esercitazione teorica. Esercitazione che potrà essere interessante per degli specialisti, ma che non cambierebbe niente dello stato disastroso della pratica della Fede Cattolica, così come si è andata affermando in seguito al Concilio.
Tranne che non si riconosca, alla luce della Tradizione, che si rende urgente e necessaria una vera e propria revisione dei testi conciliari, i quali, in quanto pastorali, sono del tutto riformabili e perfino accantonabili.
Allo stato delle cose, la cosiddetta ermeneutica della continuità sarà pure praticabile, poiché niente è impossibile a Dio, ma in quanto uomini ci sembra davvero una cosa incredibile.

Ci consideri sempre disponibili, pur nei nostri limiti e con i nostri umani difetti. Fin da piccoli abbiamo imparato che la perfezione è di Dio, nostre sono la manchevolezza e l’errore.

Cordiali e fraterni saluti in nomine Domini.
 IMUV



agosto 2009



Torna a Sommario