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Roma, 24 maggio 2003
L’antico rito romano conserva nella
Chiesa
Resoconto della celebrazione
La risonanza di questo evento è stata notevole, in
Italia e nel
mondo, e su di esso sono stati scritti un numero considerevole di
pagine,
nei giornali e anche in qualche libro.
Quando andammo a proporre al Cardinale Castrillon la
significativa iniziativa
della celebrazione della S. Messa tradizionale, nella basilica romana
di
Santa Maria Maggiore, non ci aspettavamo una sicura risposta positiva,
ma sapevamo che la cosa, dopo quarant’anni, poteva essere possibile:
non
solo per rispondere alle esigenze dei fedeli legati alla Tradizione, ma
e soprattutto per dare un segno inequivocabile che avesse in vista il
bene
di tutta la Santa Chiesa.
Gli oltre duecento, tra sacerdoti e seminaristi, presenti alla celebrazione sono la dimostrazione che in questi anni alcuni si sono impegnati seriamente a Roma in vista del mantenimento della liturgia tradizionale, sostenuti e spronati dai fedeli, chierici e laici, legati alla liturgia tradizionale della S. Chiesa, il cui numero è cresciuto di molto e continua a crescere. La celebrazione della S. Messa del 24 maggio a Roma in Santa Maria Maggiore non è stato un punto di partenza, ma una sorta di inevitabile tappa verso una direzione che non può essere che irreversibile: la Chiesa non può piú fare a meno del mantenimento della liturgia millenaria che ha ricevuto in eredità per due millenni dagli Apostoli, dai Martiri e dai Santi. Beninteso, qui non si tratta di fare del trionfalismo,
anzi.
Ancora piú triste è constatare che, dopo la celebrazione del 24 maggio, vi sia stata una sottile e silenziosa reazione che si è mossa come un brivido tra le fila dei sostenitori del nuovo ad ogni costo. Invece di considerare con serietà che all’interno della S. Chiesa si sta vivendo un periodo difficilissimo di crisi e si è alla ricerca della vera identità, si è pensato bene di fare quadrato contro quella celebrazione e contro tutto il mondo cattolico tradizionale. Come se il problema fosse la Tradizione, che impone ed esige il suo rispetto per il semplice fatto della sua inevitabile esistenza, e non si trattasse invece del fallimento di un tentativo illusorio di “adattare” la Chiesa ad un mondo che ne disconosce l’esistenza e la ragion d’essere.I fedeli, chierici e laici, presenti in Santa Maria Maggiore rappresentavano tutte le fasce sociali, tutte le età e tutte le latitudini, ma la grande maggioranza era costituita da giovani che non potevano certo essere considerati dei nostalgici; e parte della Gerarchia cattolica sa bene che questa preponderanza di giovani tra le fila dei fedeli legati alla Tradizione non è un fenomeno “di costume”, non è un accidente, ma è la prova che in quarant’anni di post-concilio tante cose non hanno funzionato. La rimanente parte della Gerarchia, ancora arroccata su posizioni “progressiste” e “moderniste”, sa altrettanto bene che il fenomeno ha una natura del tutto spontanea, una sorta di inevitabile ritorno a ciò che la Chiesa ha sempre insegnato e praticato, a ciò che costituisce la base stessa dell’adesione e della pratica della Fede. Vi è identità tra la Fede cattolica e la Tradizione cattolica, e questa identità il fedele ha bisogno di viverla sia in relazione alla componente dottrinale, sia in relazione agli aspetti immediati della pratica religiosa: il culto e la liturgia. Non si tratta di un fenomeno legato alla comprensione intellettuale, che poco interessa il vero cattolico, bensí del bisogno di vivere la pratica della fede nelle sue linee essenziali, attraverso le forme di culto che hanno una connotazione fuori dal tempo e dalle contingenze; e a questa esigenza, che nasce dal profondo del cuore, risponde solo la liturgia tradizionale. I tanti giornalisti e osservatori presenti, quasi un
centinaio, non
sono rimasti colpiti tanto dalla celebrazione in sé, quanto
dalla
sensazione derivata dal trovarsi al cospetto di una navata piena di
fedeli
composti, convinti, sicuri, partecipi, preparati; di fedeli per nulla
affetti
da sensi di inferiorità, da timori, da dubbi. Fedeli che anche
nel
loro aspetto rivelavano la loro occupazione quotidiana: operai,
contadini,
impiegati.
Nessuno li aveva organizzati e intruppati, eppure ognuno stava al suo posto, pago solo di potersi trovare al cospetto di Dio, nella Sua casa, per una volta pubblicamente insieme a tanti altri confratelli in quell’antica casa del Signore, dedicata fin dai primi secoli alla venerazione della Gran Madre di Dio Maria Santissima, la Tota Pulchra, la Rosa Mystica, la Ianua Coeli, che invocano tutti i giorni nella recita del Santo Rosario; l’Auxilium Christianorum di cui proprio quel giorno si celebrava la festa secondo il calendario liturgico preconciliare.Salve Sancta Parens, cantavano i due cori, gregoriano e polifonico, che hanno accompagnato la celebrazione: Salve Madre Santa, che hai dato alla luce il Re che governa il cielo e la terra nei secoli dei secoli (eníxa puérpera Regem: qui coelum terrámque regit in saécula saeculórum). L’antica invocazione alla Madonna che sottolinea la sudditanza di ogni cattolico al Sommo Sacerdote, il Cristo Re, il Verbo incarnato che è l’origine e il fine di tutte le cose e di tutti gli esseri: l’unica Via che porta a Dio Padre tutte le creature che credono in Lui. Ogni preoccupazione terrena diventa niente al cospetto della Maestà di Dio, e tutti i fedeli presenti sentivano profondamente che ci si accingeva a rendere a Dio il culto dovutogli: niente distrazioni, niente discorsi introduttivi, niente protagonismi. Kyrie, eléison, Christe eléison, Kyrie
eléison,
cantavano tutti, invocando la pietà e la misericordia di
Dio.
Ed ecco il Suddiacono avviarsi ritualmente per il canto
dell’Epistola,
un brano del libro della Sapienza.
E il coro ricordava, nell’Allelúia:
Mentre, dopo aver ricevuto la benedizione del celebrante, il Diacono veniva accompagnato dal Suddiacono e dai turiferari, per proclamare la buona novella del Vangelo: Beátus venter qui te portávit ? grida il popolo al Signore ? et úbera quae suxísti;Ed ecco avanzare con la Mitria, l’antichissimo copricapo sacerdotale a forma di bocca di pesce, e col Pastorale, il simbolo della funzione magisteriale degli Apostoli, il Cardinale celebrante. È il momento dell’omelia, dell’istruzione del popolo. E il Cardinale Castrillón ricorda che “La Divina Provvidenza ci ha radunati in questa Basilica, prima chiesa mariana di Roma e dell’Occidente, noi cattolici provenienti da diverse parti del mondo, uniti nella stessa fede.” In questa Basilica “di cui la ‘Confessio’, sotto questo altare, è un ricordo permanente, con le venerate reliquie della mangiatoia.” Questa Basilica di Maria Santissima in cui “contempliamo tutta la bellezza della Chiesa, così come ideata e nata nel cuore divino del suo Fondatore, in cui tutto è luce e non ci sono ombre.” E rende omaggio al Santo Padre che ha approvata e benedetta la celebrazione, ricordando che “Quanto più fragile appare la sua persona fisica, tanto più forte si erge, davanti all’umanità, il suo ruolo morale e spirituale. ‘E tu conferma i tuoi fratelli!’ (Lc 22, 32).” Perché egli è la Roccia su cui poggia in terra la Santa Chiesa, il Corpo Mistico del Signore, che l’ha voluta Santa e imbattibile, assicurando che contro di essa “le porte degli inferi non prevarranno” (Mt 16, 18)”. E ricorda la provvidenzialità di questa celebrazione col Rito tradizionale della Santa Chiesa, “Il rito cosiddetto di San Pio V” che “non si può considerare come estinto” poiché “l’antico rito romano conserva, …, nella Chiesa il suo diritto di cittadinanza”. I fedeli sentono l’importanza delle parole pronunciate dal
Presule,
percepiscono il senso profondo di un riconoscimento che, dopo
quarant’anni,
rende giustizia alle aspettative di tanti laici, religiosi, sacerdoti e
Vescovi che si sono battuti e continuano a battersi perché la
Santa
Chiesa conservi l’antichissimo rito ortodosso che per venti secoli
è
stato la fonte di grazia per intere generazioni di martiri, di santi e
di devoti servitori della volontà del Signore.
Dopo che il celebrante ha recitato le preghiere dell’Offertorio, e cantato il Prefazio, sulla grande Chiesa scende il silenzio: i fedeli si inginocchiano per raccogliersi nell’adorazione del Signore. Non i gesti del celebrante, non il mormorio delle sue preghiere, non i movimenti degli assistenti, non il brusio degli estranei che si muovono circospetti in fondo alla navata, possono distrarli dalla loro concentrazione. Il loro pensiero, la loro volontà, i loro cuori sono rivolti ad Deum, ognuno, in cuor suo, si rivolge a Dio per invocarne la misericordia e la grazia, perché l’aiuti a disporre il proprio ànimo secondo la Sua volontà.E dopo la Comunione e la benedizione, dopo la fine della S. Messa, l’entusiasmo dei fedeli si tocca quasi con mano. Subito dopo ci sarà un’altra celebrazione liturgica, con rito moderno, in una cappella laterale, sono stati avvisati, ma stentano ad uscire dalla Basilica: si guardano intorno, si stringono le mani, si confortano e si sostengono gli uni gli altri. La S. Messa è finita, ognuno ritornerà nella sua casa e porterà ai famigliari e agli amici l’annuncio che a Roma è tornata la Santa Messa di sempre, la Santa Messa della speranza, la Santa Messa del futuro della Santa Chiesa. Dio lo voglia! CC
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