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LA “QUESTIONE TRADIZIONALE” qualche riflessione
L'Amministrazione Apostolica di Campos La “Tradizione vivente” La Tradizione scambiata per conservazione Desistenza dell'Autorità ed effettiva pratica della fede PERCHÉ “QUESTIONE TRADIZIONALE”? Perché “questione tradizionale”?
Nel riferirsi a questi fedeli, spesso si è fatta passare l’idea che si tratterebbe di fedeli «che si sentono legati alla tradizione liturgica latina» (Motu Proprio Ecclesia Dei), «che amano la Messa secondo il precedente rito” (Intervista del Card. Castrillon a Il Giornale, 31 maggio 2004), che hanno «una visione cristiana dinamica della vita di fede e di devozione» (Intervista del Card. Castrillon a Il Giornale, 31 maggio 2004), che «si sforzano, …, di mantenere vivi il fervore e la devozione della fede cattolica attraverso l’espressione di un particolare attaccamento alle forme liturgiche e devozionali dell’antica Tradizione» (Intervista del Card. Castrillon a The Latin Mass, 6 maggio 2004). Ci limitiamo, ovviamente, alle dichiarazioni più autorevoli e
più recenti, ma pensiamo che possano bastare per comprendere come
la maggiore attenzione sia rivolta agli aspetti più appariscenti
e, per certi versi, più umani della questione. Come se tutto si
limitasse a fattori di sensibilità individuale e di preferenze personali.
Ora, se le cose stessero davvero così ci sarebbe da chiedersi se i fedeli legati alla Tradizione non siano, in fondo, solo degli eccentrici, se non addirittura dei capricciosi figli della Chiesa che non possono fare a meno di trastullarsi con certi elementi estetici e formali che essi stessi considerano importanti per la loro santificazione. Ma ancor più si rimarrebbe stupiti nel considerare che essi continuerebbero ad aumentare di numero solo sulla base di questa giustificazione. Senza contare la stessa attenzione che nei loro confronti verrebbe manifestata dalla Santa Sede solo sulla base di una giustificazione siffatta.In effetti, se questa fosse la sola giustificazione, questi fedeli non ne avrebbero oggettivamente alcuna, poiché il basarsi sulle personali preferenze dimostrerebbe una intrinseca incoerenza con la stessa Tradizione a cui dichiarano di voler rimanere ancorati. E la Santa Sede, da parte sua, dimostrerebbe una leggerezza inaccettabile nel sostenerli sostenendo la loro superficialità e la loro incoerenza. È possibile che le cose stiano così?
Lungi dal preoccuparsi esclusivamente delle forme espressive della dottrina e della liturgia, i fedeli legati alla Tradizione sentono con forza la debolezza e, a volte, l’ambiguità del Magistero postconciliare, assistono con sofferenza alla umanizzazione e alla mondanizzazione della liturgia, reagiscono con stupore e con indignazione alla moderna pastorale che li vorrebbe omologare ai non credenti.
D’altronde, se questi fedeli non avessero in vista primariamente il bene stesso della Chiesa, non sarebbero altro che una piccola setta, non solo da trascurare, ma innanzi tutto da condannare, perché sarebbe inammissibile che si lasciasse loro lo spazio necessario per coltivare il loro ingiustificato “sentimento particolare”. Se si parla con questi fedeli, e se si parla soprattutto con alcuni
di loro che vestono l’abito talare o religioso, ci si rende subito conto
che non condividono certi insegnamenti del Magistero moderno e non condividono,
quindi, molte delle attuali pratiche liturgiche e molte delle iniziative
pastorali moderne. Essi si differenziano non per l’attaccamento a certe
“forme”, ma per la preoccupazione circa la coerenza e la tenuta della dottrina
e della fede. E in questo sono anche confortati dai frutti che la nuova
liturgia e la nuova pastorale hanno prodotto. Quei frutti che sono stigmatizzati
dagli stessi documenti vaticani (o in alcuni di essi), ivi compresa l’ultima
enciclica papale Ecclesia de Eucharistia.
Ora, sembrerebbe che, posta così la questione, si debba inevitabilmente
giungere ad una sorta di contrapposizione tra il magistero moderno e le
posizioni dei fedeli legati alla Tradizione, ed è quello che in
fondo sostengono i promotori dell’ammodernamento della Chiesa: i fedeli
legati alla Tradizione ? essi dicono - sarebbero mossi essenzialmente dal
rifiuto del Magistero, quindi, sarebbero da considerare “fuori dalla Chiesa”.
Ciò che fonda la posizione dei fedeli legati alla Tradizione
non è il confronto tra il Magistero moderno e le loro posizioni,
bensì il confronto tra il Magistero moderno e il Magistero bimillenario
della Chiesa.
In questo vale il famoso richiamo di san Vincenzo di Lerino: a cosa corrisponde il vero insegnamento della Chiesa?
L’AMMINISTRAZIONE APOSTOLICA DI CAMPOS Ce ne dà la possibilità la costituzione della Amministrazione Apostolica Personale San Giovanni Maria Vianney, in quel di Campos, in Brasile, e cioè la costituzione, abbastanza recente, di una vera e propria Chiesa particolare a norma di diritto canonico equivalente in tutto ad una Diocesi. Il decreto di erezione di questa Amministrazione Apostolica ha stabilito
che essa debba praticare esclusivamente la liturgia e la disciplina liturgica
in vigore nel 1962, prima del Concilio, ed è direttamente connesso
con la dichiarazione
ufficiale rilasciata in forma solenne, a Campos, dal nuovo Amministratore
Apostolico in uno con tutti i sacerdoti dell’Amministrazione Apostolica,
e in cui è detto:
Come si vede, non v’è alcun contrasto formale tra l’esistenza
ufficiale di una Diocesi interamente ed esclusivamente “legata alla Tradizione”
e l’Autorità della Santa Sede, compreso il suo Magistero. Infatti,
così facendo, la Chiesa ha dichiarato ufficialmente che si può
essere interamente ed esclusivamente cattolici “legati alla Tradizione”
senza essere in contrasto con Roma, anzi, continuando a rimanere in piena
comunione col Soglio di Pietro. Non solo, ma ha sancito ufficialmente che
il magistero dottrinale e liturgico sopraggiunto col Concilio è
legittimamente accettato dai cattolici legati alla Tradizione solo “alla
luce della Tradizione” stessa.
È quindi inequivocabile che la posizione dei fedeli legati alla Tradizione, consistente nel rifiuto di tutto ciò che contrasti con questa stessa Tradizione, non solo è giustificata, ma è del tutto legittima e come tale riconosciuta dall’Autorità.Questa constatazione, però, lungi dal risolvere la "questione tradizionale", apre una problematica di non poco conto, perché pone tutta una serie di interrogativi circa la pratica di quanto constatato teoricamente. Non sfugge infatti la enorme difficoltà di intendere con correttezza
in che cosa consista l’accettazione del magistero dottrinale e liturgico
“alla luce della Tradizione”. Soprattutto ove si pensi che la stessa dizione
o altre ad essa equivalenti sono riscontrabili in quegli stessi documenti
dottrinali e liturgici prodottisi a partire dal Concilio e oggetto di critica.
Come è possibile, allora, raccapezzarsi in questa situazione ingarbugliata dove una medesima espressione lessicale lascia spazio a due diverse concezioni dell’oggetto in questione, tali che possano essere perfino in contrasto tra di loro? Cercheremo di cogliere il bandolo della matassa, facendo riferimento
alla esplicite dichiarazioni dell’attuale Amministratore Apostolico di
Campos.
Dopo la morte di Mons. Licinio Rangel, la cura dell’Amministrazione
Apostolica Personale San Giovanni Maria Vianney è passata nelle
mani del suo Coadiutore, Mons. Fernando Rifan (in data 5 gennaio 2003).
Allo stato attuale, Mons. Rifan è l’unico vescovo della Chiesa Cattolica
che formalmente e canonicamente segue esclusivamente la liturgia e la disciplina
liturgica tradizionali, nonché interpreta il magistero dottrinale
e liturgico moderno “alla luce della Tradizione”.
Peraltro, fin dalla sua ordinazione episcopale, Mons. Rifan ha dimostrato
di voler tessere una vasta rete di contatti, mirando ad una visibilità
che, in fondo, poco ha a che vedere con la sua funzione di Amministratore
Apostolico di Campos.
Non appena consacrato Vescovo, Mons. Rifan ha dichiarato: "Occorre riflettere sulla posizione teologico-dottrinale in cui ci si trova. Vi sono due grandi valori nella Chiesa: la fede e il governo. E due grossi pericoli: l’eresia e lo scisma. Talvolta, per evitare un problema dottrinale eretico, si cade nello scisma. O per paura di cadere nello scisma, si accetta l’errore dottrinale. No, occorre mantenere entrambi i parametri, entrambi questi punti di riferimento. Occorre conservare la fede e il rispetto per le autorità. Bisogna essere cattolici mantenendo queste due grandi colonne della Chiesa: l’unità di fede e l’unità di governo." (Intervista a Present, 17 ottobre 2002). In un’altra occasione, egli ha tenuto a sottolineare che: "Nonostante conservi i principi che ho sempre difeso e denunci gli errori che ho sempre combattuto, si sono rivelati necessari un certo esame di coscienza e la correzione di certi comportamenti, perché fossero più conformi ai principi che difendiamo. È una questione di coerenza. … Se vi sono delle critiche da fare, esse devono tenere conto dell’autorità del Magistero ed essere rispettose e costruttive, per non peccare contro l’indefettibilità della Chiesa. Dio, che permette queste crisi nella Chiesa, in questa stessa Chiesa ci dà, per mezzo del suo Magistero, i mezzi per risolverle." (Intervista a La Nef, maggio 2003). Ancora nel gennaio 2004 egli precisava: "Noi conserviamo la stessa posizione cattolica, la nostra posizione di sempre. Siamo per la regalità sociale di Cristo Re, siamo contro la libertà religiosa in quanto relativismo dottrinale, laicismo dello Stato, indifferentismo e sincretismo religioso, uguaglianza di tutte le religioni davanti alla legge; in una parola siamo contro la libertà religiosa condannata da Gregorio XVI, Pio IX e Pio XII. Noi siamo contro l’ecumenismo di complementarietà, o l’irenismo, e siamo per il ritorno o la conversione dei separati. Siamo contro la democratizzazione della Chiesa a tutti i livelli. Evidentemente, noi abbiamo il diritto di criticare gli errori e di presentare le nostre critiche costruttive, nel rispetto delle persone, alle autorità della Chiesa!" (Intervista a ITEM, 14 gennaio 2004) In queste dichiarazioni è detto che non si può essere
seriamente dei cattolici se non sottomessi alla Gerarchia, e allorché
sorgono dei problemi di coscienza circa certe questioni dottrinali, presto
o tardi bisognerà rimettersi all’autorità del Magistero.
Ogni situazione eccezionale non può durare all’infinito, pena lo
scisma. D’altronde, non potendosi accettare l’errore dottrinale, occorre
che si giunga ad una qualche soluzione che permetta di isolare l’errore,
tenendolo e tenendovisi lontano, e per far questo è necessario rimettersi
all’autorità del Magistero.
La prima cosa che salta all’occhio è che i problemi dottrinali
di cui si parla rimangono comunque poco definiti, soprattutto in relazione
alle cause e alle responsabilità che li determinano.
In realtà, ricorrere al Magistero della Chiesa per criticare
costruttivamente questo stesso Magistero, e affidarsi all’autorità
del Magistero per correggere questo stesso Magistero, ci sembra essere
una cosa facile da enunciare, ma parecchio difficile da praticare.
Certo, ci si può rifare ad alcune dichiarazioni magisteriali
che sembrano apportare una certa maggior chiarezza o una qualche precisazione
correttiva: pensiamo, per esempio, alla Dominus Iesus o alla
Ecclesia
de Eucharistia, ma riteniamo che documenti come questi non risolvono
la problematica che ci interessa, per diversi motivi, e primo fra tutti
per il fatto che essi non scaturiscono dall’esame della critica mossa a
quegli enunciati magisteriali che si discostano dalla Tradizione. Piuttosto
essi intendono apportare chiarezza in ordine all’applicazione di questi
stessi enunciati magisteriali, senza mettere minimamente in discussione
tutte quelle parti degli enunciati stessi che non risultano essere coerenti
con la Tradizione, anzi ne ribadiscono la correttezza dottrinale disconoscendo
così le critiche di cui parla Mons. Rifan.
Ecco, questo è il primo dato che va sottolineato: i pronunciamenti
del Magistero sono spesso ambigui, a volte persino contraddittorii, in
genere polivalenti, tanto che da essi sia possibile giungere a delle conclusioni
perfino contrastanti, eppure tutte formalmente legittime. D’altronde, questa
caratteristica la si incontra già nei documenti del Concilio, anzi
sono proprio questi ultimi documenti che hanno instaurato questo nuovo
modo di esprimersi del Magistero.
Ma il dato su cui occorre soffermarsi è quello relativo alla
coerenza del Magistero conciliare e post-conciliare con il Magistero bimillenario
della Chiesa, poiché spesso accade che si contesti la constatazione
di una qualche contraddizione tra i due sulla base di ciò che si
è usi chiamare “magistero vivente”.
Qui il papa Giovanni Paolo II, rifacendosi all’ “insegnamento del Concilio Vaticano II”, afferma che si può parlare di “nozione completa di Tradizione” solo se si tiene conto del “carattere vivo” di questa stessa Tradizione, il quale consisterebbe nel fatto che la Tradizione “progredisce nella Chiesa” perché la “comprensione delle cose e delle parole trasmesse, cresce sia con la riflessione e lo studio dei credenti, (…) sia con la profonda intelligenza che essi provano delle cose spirituali, sia con la predicazione di coloro…”. Come si vede, queste espressioni combaciano perfettamente con le
diffuse credenze moderne, così che è possibile affermare
che la comprensione della Tradizione è strettamente connessa con
l’idea di “progresso”; il che, tradotto in parole povere, significa che
la comprensione di ieri è sempre da considerarsi ridotta rispetto
alla comprensione di oggi, la quale a sua volta si deve già considerare
manchevole rispetto a quella di domani. Come dire che, nonostante tutto,
non v’è nulla di certo, se non l’incerto.
Ci rendiamo conto che l’argomento richiederebbe un più idoneo
approfondimento, ma pensiamo che per adesso possa bastare qualche esempio.
LA TRADIZIONE SCAMBIATA PER CONSERVAZIONE Un altro esempio di questa stravolta concezione della Tradizione lo
possiamo trovare in un articolo pubblicato qualche tempo fa dalla rivista
La
Civiltà Cattolica (quaderno 3691 del 3 aprile 2004, pp.
18-25), Considerazioni sul Tradizionalismo Cattolico, di Giandomenico
Mucci, S. I.
La citazione è ancora più lunga, ma si resta perplessi
nel constatare che Padre Mucci vorrebbe farci credere che il tradizionalismo
cattolico non è altro che una forma di superstizioso attaccamento
a certe forme del passato, generato da una incapacità di rendersi
conto del fluire e del mutare del tempo e delle condizioni d’esistenza
ad esso connesse. Il Padre Mucci confonde il tradizionalismo cattolico
con il conservatorismo culturale, e siccome sa bene che si tratta di una
confusione inaccettabile è evidente che egli la propone ad arte
perché la sua vera intenzione è una presentazione grottesca
di questo stesso tradizionalismo.
Dopo di ciò, Padre Mucci chiama in causa Manzoni, facendo spiegare a lui (Osservazioni sulla morale cattolica, anno 1819) in che cosa consista il tradizionalismo cattolico odierno. Troviamo così riportate considerazioni come questa: “Finalmente alcuni di quelli che difendono la religione possono o per ignoranza o per fini particolari sconoscere lo spirito della religione, presentare come conseguenza della sua dottrina il loro spirito particolare e creare essi una opposizione chimerica”. A cosa mira questo Padre gesuita?
In realtà il Padre Mucci non ha alcuna comprensione per il tradizionalismo cattolico perché è convinto della bontà di certe tesi eterodosse, che cita: "Questo tradizionalismo cattolico … misconosce “quel grandioso processo di autonomia del profano che è stata la civiltà moderna”, il quale, “esonerando la Chiesa da ogni compito surrogatorio o temporalistico, ha lasciato libero lo spazio per lo svelarsi del senso genuinamente soprannaturale del messaggio cristiano” (citazione di P. Prini, Il cristiano e il potere. Essere per il futuro. Roma, Studium, 1993, 70 s.), ossia del suo carattere escatologico." Ed è proprio questo il punto: oggi tanti cattolici in buona fede, laici e chierici, ignoranti e studiosi, non hanno saputo resistere alla chimera della civiltà moderna che si presenta come il non plus ultra del giusto e del bello, ed hanno abbracciato l’idea contraddittoria e blasfema che l’autoproclamazione dell’autonomia dal divino di questa società moderna corrisponda alla migliore aderenza agli insegnamenti divini.Cosa dire? Che Padre Mucci critica pesantemente il tradizionalismo perché egli critica di fatto l’insegnamento tradizionale della Chiesa. La sua critica a chi difende la dottrina e la liturgia tradizionali non è altro che la critica alla dottrina e alla liturgia tradizionali della Chiesa. E sembra voler dire: è finita la Chiesa di un tempo, oggi vi è un’altra Chiesa. Come se da qui alla Parusia non dovesse esistere una sola ed unica Chiesa, ma più chiese mutanti a seconda del tempo, del luogo e della piacevolezza dei fedeli.
A questo punto pensiamo sia necessario mettere a fuoco un altro aspetto
importantissimo relativo alla lettura e all’ossequio del Magistero odierno.
Questa situazione pone il problema dell’esercizio dell’autorità
del Magistero.
E allorché si sentisse la necessità di muovere delle critiche,
seppur costruttive, a certi pronunciamenti magisteriali, si dovrà
necessariamente tenere conto, oltre che dei documenti, della loro effettiva
applicazione e della pratica ordinaria da essi derivata.
L’uso di tale “creatività” ha permesso di violare un bel po’ di regole previste nel nuovo Messale: senza contare le licenze nei paludamenti pseduo-arcaici dei componenti della sfilata pseduo-storica. Si sono visti dei laici in costume pseudo-folkloristico condurre la statua della Madonna nel presbiterio all’inizio della Messa; si è vista una donna che “custodiva” la statua della Madonna sedersi in presbiterio con i cardinali e i vescovi per poi presentare la statua stessa al cardinale Araújo Sales per l’incoronazione e successivamente a tutti gli astanti; si sono visti due laici versare il vino nel calice al momento dell’offertorio, e altri laici, uomini e donne, distribuire la comunione anche ai preti inutilmente paludati con tanto di abito liturgico.Come era prevedibile, la presenza di Mons. Rifan ha fatto notizia, anche perché è stato detto che egli abbia “concelebrato”. In realtà, lo stesso Mons. Rifan ha decisamente negato di aver “concelebrato”, ma non ha potuto certo negare la sua presenza. Unico vescovo cattolico con la facoltà di seguire la liturgia e la disciplina liturgiche preconciliari, unico vescovo cattolico autorizzato dal Santo Padre a guardare alla dottrina e alla liturgia moderne “alla luce della Tradizione”, unico vescovo cattolico autorizzato dal Santo Padre a muovere le critiche alle pratiche liturgiche moderne che si discostano dalla Tradizione, egli con la sua presenza ha di fatto avallato tutti gli abusi che sono stati commessi in quella occasione, anche lui suggerendo ai fedeli l’idea che la nuova Messa con la sua “creatività” sarebbe perfettamente coerente con la Tradizione, tanto da essere accettata dai tradizionalisti che vi partecipano senza riserve. Ora, se mons. Rifan volesse ancora mettere i puntini sulle “i” circa la celebrazione col Novus Ordo, a cosa si dovrebbe riferire: ai documenti ufficiali o alla celebrazione pubblica della S. Messa con tanto di cardinali, inviati e nunzi del Papa, Amministratori Apostolici, ecc? Se ritenesse di potersi riferire ai soli documenti commetterebbe una grave leggerezza, perché trascurerebbe colpevolmente l’aspetto della trasgressione ingiustificata agli stessi documenti di riferimento, trasgressione che è diventata la prassi ordinaria nella vita della Chiesa moderna. Se ritenesse invece non potersi esimere dal valutare la prassi ordinaria della Chiesa moderna, dovrebbe prima spiegare perché fosse presente anche lui nel corso di una celebrazione che non ha certo lesinato le irregolarità e le trasgressioni. Una situazione davvero imbarazzante: dove l’imbarazzo è connesso direttamente con le stesse affermazioni di Mons. Rifan: quando dice che si può criticare il Magistero solo ricorrendo al Magistero. Perché si intenda bene ciò che vogliamo dire, precisiamo che secondo noi Mons. Rifan quel giorno ha perso una buona occasione per andare a celebrare un S. Messa tradizionale a Parigi, per esempio. Per concludere, dobbiamo subito far notare che quanto esposto fin qui
ha solo la pretesa di presentare certi spunti di riflessione circa alcun
aspetti che in genere rischiano di essere fraintesi o trascurati.
Non possiamo riferirci al Magistero attuale perché esso si rifiuta
di affrontare seriamente l’argomento; non possiamo riferirci al Magistero
passato perché in esso, comprensibilmente, non è neanche
ipotizzata una situazione come quella che viviamo adesso. Certo, molti
richiami del passato ci aiutano ad orientarci, ma la maggior parte dei
rimedi che sembrerebbero potersi adattare a questo o quel problema risultano
essere del tutto inadeguati per affrontare la questione attuale nella sua
globalità.
Certo, la Chiesa è destinata a vivere fino alla Parusia, ma in seno ad un mondo che si allontanerà fino al limite massimo possibile da Dio, e quindi in seno ad un mondo che sempre più rifiuterà la Chiesa e i suoi insegnamenti: in questa prospettiva non v’è dubbio che la prima riflessione seria che occorre fare è relativa al tipo di Chiesa che si prospetta in avvenire, una Chiesa difficilmente paragonabile con quella che hanno ancora in mente molti nostri amici legati alla Tradizione, con quella le cui ultime vestigia hanno accompagnato ancora i più anziani di noi. In attesa che si produca, inevitabilmente e con l’aiuto dello Spirito Santo, un nuovo orientamento comportamentale meglio definito e più rispondente alla reale condizione in cui viviamo, oggi rimaniamo come in sospeso, a volte in balia di noi stessi. È per questo che in certi casi alcuni di noi, bisognosi di un qualche punto fermo qui e adesso, finiscono con l’assumere posizioni scomposte, che magari li aiutano a “mettersi il cuore in pace”, ma che non modificano minimamente lo stato di incertezza in cui tutti ci troviamo. Che fare? Fidare nel compimento del Piano della Divina Provvidenza, senza avere alcuna pretesa se non quella propria del fedele di Cristo: Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. (Mt, 16, 24). Guardarsi dalle fughe in avanti e dalla voglia di attivismo, che spesso conducono lì dove non saremmo mai voluti andare. Guardarsi dalla tentazione della salvazione universale, che non spetta a noi, ma alla giustizia di Dio. Ricordarsi che l’incrollabilità della Chiesa non riguarda la sua connotazione quantitativa, bensì quella qualitativa. Ricordarsi che a noi spetta fare quanto in coscienza sentiamo sia nostro dovere, in base alle nostre possibilità, alle nostre capacità e al nostro stato, senza aspettarci mai alcun risultato e alcun riconoscimento. Pregare perché il Signore ci aiuti a rimanere fermi lungo le Sue vie. Pregare perché il Signore preservi la sua Chiesa dagli errori degli uomini di chiesa. Giovanni Servodio
Nota
1 - Nel “Rogito” tumulato insieme al corpo di Giovanni Paolo II, si legge: Egli ha promulgato il Catechismo della Chiesa Cattolica, alla luce della Tradizione, autorevolmente interpretata dal Concilio Vaticano II. Come si può vedere, “la luce della Tradizione autorevolmente interpretata dal Concilio Vaticano II” non è la stessa cosa dell’accettazione di questo stesso Concilio “alla luce della Santa Tradizione”, sostenuta dai componenti dell’Amministrazione Apostolica San Giovanni Maria Vianney e dai fedeli legati alla tradizione. (torna al testo) (torna su)
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