Dopo l'apertura dei lavori del Sinodo Diocesano di Torino, abbiamo ricevuto una copia del documento Verso l'Assemblea Sinodale, che è lo strumento di lavoro per i partecipanti al Sínodo.

Il Sínodo si svolgerà in quattro Sessioni, le prime tre vedranno impegnati i partecipanti per quattro sabati, la quarta, conclusiva, per due sabati (1/6-22/6; 21/9-12/10; 19/10-16/11; 23/11 e 30/11), con una lunga pausa estiva dopo la prima Sessione, non sappiamo bene con quale motivazione pastorale o sinodale. 

Il libretto contiene i decreti di convocazione emanati da S. E. R.ma il Cardinale Giovanni Saldarini, Arcivescovo di Torino, alcune introduzioni e presentazioni, e le cinque sintesi relative ai cinque àmbiti affrontati a suo tempo nei Lineamenta (Annunciare il Dio di Gesú Cristo; Diventare cristiani oggi; Per scrutare i segni dei tempi; Comunicazione della fede e suoi linguaggi; Mondi cattolici). 
Dalle informazioni "statistiche" contenute nel libretto rileviamo che sono stati presentati 472 contributi, provenienti per il 57% da Torino città. Non tutti i contributi hanno trattato tutti e cinque gli àmbiti proposti, cosí che il 1° àmbito è stato affrontato dal 63% di essi, il 2° dal 62%, il 3° dal 50%, il 4° dal 65% e il 5° dal 35%. 

Diciamo subito che, questa volta, il linguaggio e la forma espositiva si presentano in maniera molto piú consona e scorrevole, rispetto a quelle dei Lineamenta, a tutto vantaggio della comprensibilità delle considerazioni esposte, le quali portano anche la firma dei relatori (rispettivamente: don Umberto Casale, prof.ssa Elena Vergani, can. Giovanni Carrú, dott. Marco Bonatti, don Mauro Rivella). 

Dal momento che il documento ci è stato recapitato solo da qualche giorno, non ci è stato possibile esaminarlo con la dovuta attenzione, e ci siamo dovuti accontentare di una rapida lettura, proponendoci di approfondire le specifiche argomentazioni in un momento successivo. 
Tuttavia, fin da adesso possiamo dire che lo svolgimento delle tematiche non si discosta affatto, nella sostanza, da quello già presentato nei Lineamenta. Evidentemente i 472 contributi pervenuti saranno stati in perfetta linea con il documento di base, a dimostrazione del fatto che c'è una perfetta sintonia tra il sentire dei curatori della Curia e quello dei fedeli della Diocesi. La cosa può farci solo piacere, ma nessuno può negare che essa appaia poco credibile. Certo non abbiamo trovato traccia, ancora, del nostro contributo (e non sappiamo quanti sono coloro che potrebbero dire la stessa cosa), ma dobbiamo riconoscere che il documento è ricco di spunti, di suggerimenti e di intenti apprezzabili, soprattutto dal punto di vista pastorale, anche se dal punto di vista dottrinale non fa che aggiungersi agli altri documenti venuti alla luce in questi ultimi trent'anni: come se la dottrina della Chiesa fosse solo della mera esercitazione verbale. 
Abbiamo trovato molte riflessioni, considerazioni e proposte sicuramente degne di attenzione, e diamo atto del fatto che il lavoro di consultazione svolto sembra essere stato copioso e sofferto. Tuttavia, non possiamo nascondere che la "qualità" pastorale delle riflessioni, anziché scaturire da profonde esigenze dottrinali e spirituali, sembra fondarsi su delle esigenze mondane e profane; come se dovessero essere le pecore a guidare il pastore e non viceversa. 
Citiamo solo alcuni dei passi che ci hanno dato subito da riflettere, inducendoci ad una loro rilettura, anzi, che stiamo ancora rileggendo. 

Don Umberto Casale (1° àmbito, parte seconda, n° 1, §§ 2 e 3) vorrebbe far credere che basti andare in giro a "comunicare" la fede evangelica per essere automaticamente "santi", e si richiama addirittura ai Santi torinesi, come se tutti potessimo diventare come loro in maniera semplicissima, dimenticando che ad operare le "vocazioni" è Dio e non la volontà degli uomini (tutti i Santi "operano", ma non tutti coloro che compiono le "opere" sono Santi). Forse bisognerebbe stare piú attenti per  evitare che i cattolici diventino come i Testimoni di Geova. 

La prof.ssa Elena Vergani parla dell'utilizzo dell'«esperienza della traditio (a due a due nelle case)» (2° àmbito, 10.1, § 17), con un disinvolto, e forse interessato, utilizzo del termine traditio. Apprendiamo solo adesso che la traditio non è altro che andare "a due a due nelle case"! Si appella poi al "genio femminile" (?), per il quale sollecita l'accesso al diaconato (10.7, §3), forse con l'intento di condurlo fino al presbiteriato; certo, non lo dice, ma quante donne "impegnate" lo penseranno? Dice invece chiaramente (9.3, §§ 2, 3 e 4) che occorre una ulteriore riforma liturgica, e sostiene, fra l'altro, che  «la Messa domenicale e le celebrazioni liturgiche… devono essere ripensate come luogo [?] di aggregazione e di vera comunità», mentre occorre «pensare alla celebrazione di Ss. Messe nelle lingue piú diverse». Siamo sicuri che nella mente della relatrice i concetti sono senz'altro piú chiari, ma ci resta il sospetto che pensi e parli avendo in vista la messa di Lutero e non quella di San Pietro. 

Il can. Giovanni Carrú sottoscrive "orientamenti" (3° àmbito, parte seconda, 1.2, §§ 3 e 4) che, a dir poco, lasciano un tantino disorientati: dobbiamo imparare dagli Ebrei a leggere, amare e conoscere il Vecchio Testamento (?!). Come dire che fino ad oggi i nostri lezionari si sono basati sull'analfabetismo, sull'odio e sull'ignoranza. Con i musulmani possiamo condividere meditazione e preghiera (?!). Magari abolendo le preghiere di intercessione davanti alle immagini dei Santi, visto che per i musulmani sarebbe un atto di idolatria. 

Il dott. Marco Bonatti auspica che i mezzi di informazione cattolici diventino in tutto simili a quelli acattolici (4° àmbito, 12 e 17), subordinando la loro tipicità cattolica alle necessarie caratteristiche che questi devono avere per "far breccia" nell'"opinione pubblica". «La televisione è prima di tutto "spettacolo"…» peccato, caro dottore, che la religione sia "prima di tutto" sottomissione alla legge di Dio! 

Sappiamo che don Mauro Rivella è piuttosto giovane, ma pensavamo che avesse avuto comunque il tempo di informarsi; scopriamo invece che "secondo lui" la valorizzazione dei consacrati e dei religiosi è un elemento di rilievo del periodo postconciliare… No, non si riferisce al Concilio di Nicea, ma al Vaticano II (5° àmbito, 1.1, § 2); strano…, che non abbia mai sentito parlare di San Bernardo per il preconcilio e di Padre Pio per il postconcilio? Per essere chiari, però, è necessario sottolineare che per il Nostro tale "valorizzazione" consiste di fatto nella "eliminazione delle divisioni fra laici, religiosi e chierici, pur nella salvaguardia delle distinzioni funzionali" (2.5, § 1). Come dire che dobbiamo essere tutti uguali, noi e i Vescovi, il sagrestano e il Generale dei Gesuiti, salvo la funzione che svolgiamo (una cosa da niente!). È proprio triste dover constatare, ad ogni pie' sospinto, quanto danno abbia prodotto e continui a produrre l'utopia egualitaria: se fra un prete e un laico non dev'esserci nessuna differenza (anche contro ogni elementare evidenza), ne consegue (con una inspiegata "egualizzazione" a senso unico) che il prete debba comportarsi in tutto e per tutto come un laico (anche quando dice Messa). È cosí che nascono le perniciose aspettative postconciliari come quella dell'abolizione del celibato. Ma, di grazia, perché mai in nome di questa utopica e sovversiva uguaglianza non si auspica mai e non ci si batte con tutte le proprie forze per far diventare tutti dei San Francesco? Vuoi vedere che, in fondo, tutti sanno benissimo che non è possibile, che le divisioni non si possono eliminare, e molto "democraticamente" e "sovversivamente" decidono allora di trasformare tutti i Santi in semplici sagrestani, gabbando cosí il chierico e il laico? 

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