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Dopo l'apertura dei lavori del Sinodo Diocesano di Torino, abbiamo ricevuto una copia del documento Verso l'Assemblea Sinodale, che è lo strumento di lavoro per i partecipanti al Sínodo. Il Sínodo si svolgerà in quattro Sessioni, le prime tre vedranno impegnati i partecipanti per quattro sabati, la quarta, conclusiva, per due sabati (1/6-22/6; 21/9-12/10; 19/10-16/11; 23/11 e 30/11), con una lunga pausa estiva dopo la prima Sessione, non sappiamo bene con quale motivazione pastorale o sinodale. Il libretto contiene i decreti di convocazione emanati da S. E. R.ma
il Cardinale Giovanni Saldarini, Arcivescovo di Torino, alcune introduzioni
e presentazioni, e le cinque sintesi relative ai cinque àmbiti affrontati
a suo tempo nei Lineamenta (Annunciare il Dio di Gesú
Cristo; Diventare cristiani oggi; Per scrutare i segni dei tempi; Comunicazione
della fede e suoi linguaggi; Mondi cattolici).
Diciamo subito che, questa volta, il linguaggio e la forma espositiva si presentano in maniera molto piú consona e scorrevole, rispetto a quelle dei Lineamenta, a tutto vantaggio della comprensibilità delle considerazioni esposte, le quali portano anche la firma dei relatori (rispettivamente: don Umberto Casale, prof.ssa Elena Vergani, can. Giovanni Carrú, dott. Marco Bonatti, don Mauro Rivella). Dal momento che il documento ci è stato recapitato solo da qualche
giorno, non ci è stato possibile esaminarlo con la dovuta attenzione,
e ci siamo dovuti accontentare di una rapida lettura, proponendoci di approfondire
le specifiche argomentazioni in un momento successivo.
Don Umberto Casale (1° àmbito, parte seconda, n° 1, §§ 2 e 3) vorrebbe far credere che basti andare in giro a "comunicare" la fede evangelica per essere automaticamente "santi", e si richiama addirittura ai Santi torinesi, come se tutti potessimo diventare come loro in maniera semplicissima, dimenticando che ad operare le "vocazioni" è Dio e non la volontà degli uomini (tutti i Santi "operano", ma non tutti coloro che compiono le "opere" sono Santi). Forse bisognerebbe stare piú attenti per evitare che i cattolici diventino come i Testimoni di Geova. La prof.ssa Elena Vergani parla dell'utilizzo dell'«esperienza della traditio (a due a due nelle case)» (2° àmbito, 10.1, § 17), con un disinvolto, e forse interessato, utilizzo del termine traditio. Apprendiamo solo adesso che la traditio non è altro che andare "a due a due nelle case"! Si appella poi al "genio femminile" (?), per il quale sollecita l'accesso al diaconato (10.7, §3), forse con l'intento di condurlo fino al presbiteriato; certo, non lo dice, ma quante donne "impegnate" lo penseranno? Dice invece chiaramente (9.3, §§ 2, 3 e 4) che occorre una ulteriore riforma liturgica, e sostiene, fra l'altro, che «la Messa domenicale e le celebrazioni liturgiche… devono essere ripensate come luogo [?] di aggregazione e di vera comunità», mentre occorre «pensare alla celebrazione di Ss. Messe nelle lingue piú diverse». Siamo sicuri che nella mente della relatrice i concetti sono senz'altro piú chiari, ma ci resta il sospetto che pensi e parli avendo in vista la messa di Lutero e non quella di San Pietro. Il can. Giovanni Carrú sottoscrive "orientamenti" (3° àmbito, parte seconda, 1.2, §§ 3 e 4) che, a dir poco, lasciano un tantino disorientati: dobbiamo imparare dagli Ebrei a leggere, amare e conoscere il Vecchio Testamento (?!). Come dire che fino ad oggi i nostri lezionari si sono basati sull'analfabetismo, sull'odio e sull'ignoranza. Con i musulmani possiamo condividere meditazione e preghiera (?!). Magari abolendo le preghiere di intercessione davanti alle immagini dei Santi, visto che per i musulmani sarebbe un atto di idolatria. Il dott. Marco Bonatti auspica che i mezzi di informazione cattolici diventino in tutto simili a quelli acattolici (4° àmbito, 12 e 17), subordinando la loro tipicità cattolica alle necessarie caratteristiche che questi devono avere per "far breccia" nell'"opinione pubblica". «La televisione è prima di tutto "spettacolo"…» peccato, caro dottore, che la religione sia "prima di tutto" sottomissione alla legge di Dio! Sappiamo che don Mauro Rivella è piuttosto giovane, ma pensavamo che avesse avuto comunque il tempo di informarsi; scopriamo invece che "secondo lui" la valorizzazione dei consacrati e dei religiosi è un elemento di rilievo del periodo postconciliare… No, non si riferisce al Concilio di Nicea, ma al Vaticano II (5° àmbito, 1.1, § 2); strano…, che non abbia mai sentito parlare di San Bernardo per il preconcilio e di Padre Pio per il postconcilio? Per essere chiari, però, è necessario sottolineare che per il Nostro tale "valorizzazione" consiste di fatto nella "eliminazione delle divisioni fra laici, religiosi e chierici, pur nella salvaguardia delle distinzioni funzionali" (2.5, § 1). Come dire che dobbiamo essere tutti uguali, noi e i Vescovi, il sagrestano e il Generale dei Gesuiti, salvo la funzione che svolgiamo (una cosa da niente!). È proprio triste dover constatare, ad ogni pie' sospinto, quanto danno abbia prodotto e continui a produrre l'utopia egualitaria: se fra un prete e un laico non dev'esserci nessuna differenza (anche contro ogni elementare evidenza), ne consegue (con una inspiegata "egualizzazione" a senso unico) che il prete debba comportarsi in tutto e per tutto come un laico (anche quando dice Messa). È cosí che nascono le perniciose aspettative postconciliari come quella dell'abolizione del celibato. Ma, di grazia, perché mai in nome di questa utopica e sovversiva uguaglianza non si auspica mai e non ci si batte con tutte le proprie forze per far diventare tutti dei San Francesco? Vuoi vedere che, in fondo, tutti sanno benissimo che non è possibile, che le divisioni non si possono eliminare, e molto "democraticamente" e "sovversivamente" decidono allora di trasformare tutti i Santi in semplici sagrestani, gabbando cosí il chierico e il laico? (6/96)
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