È stato pubblicato da poco il nuovo saggio di DON
GIANNI BAGET BOZZO: L’Anticristo.
Scritto con il caratteristico stile dell’Autore, tra l’indagine e la
provocazione, anche questo libro presenta le riflessioni su alcuni aspetti
della modernità e della moderna crisi della Chiesa. Crisi che, come
scrive l’Autore, non c’era prima del Vaticano II: “è il Concilio
che ha determinato la crisi. […] il Concilio ha distrutto un ordine
cattolico che non voleva distruggere e ha provocato una crisi dottrinale
che prima non c’era” (p. 12).
Velocemente, ma incisivamente, l’Autore pone in evidenza gli aspetti
principali che caratterizzano questa moderna crisi nata dal Concilio. “Sino
al Concilio il tema fondamentale della spiritualità della Chiesa
era «la salvezza delle anime come suprema legge». … Ciò
significava che l’occhio della Chiesa era diretto alla vita oltre la morte,
… Non vi è dubbio che questa non è piú la predicazione
della Chiesa di oggi. La vita eterna è oggi assente dall’annuncio.”
(p.24).
Il cambiamento di tendenza della predicazione cristiana è tale
che “dopo il Concilio [la Chiesa] ha scelto la via della secolarizzazione
e ha rivestito gli ultimi panni del moderno: l’utopia.” “Questa utopia
nasce dalla rimozione assoluta dal pensiero cristiano del tema del male
in tutte le sue forme… Il pensiero cattolico sceglie la via della innocenza
del pensiero cosí come quella dell’innocenza del cuore. Questa è
la fine del cattolicesimo come cultura.” (p. 26).
Questa smania di adeguarsi al mondo e alle sue moderne utopie, fa si
che “Su Dio scenda il silenzio. Egli viene presentato non come il Mistero,
ma come un aspetto del mondo.” (p. 29). Cosí che non v’è
piú alcun bisogno di adorare Dio, perché “Il Dio compassione,
il Dio ecclesiastico di oggi, non richiede adorazione.” (p. 29).
E questo spiega bene perché si sia giunti cosí insistentemente
alla nuova liturgia: “Uno dei risultati della riforma liturgica è
stato quello di distruggere l’adorazione.” (p. 29). “Tutto è
stato pensato, a cominciare dalla trasformazione dell’altare in mensa,
con l’accento passato dalla rinnovazione del Sacrificio della Croce alla
comunione dei fedeli con il Corpo del Signore. […] La Chiesa diviene
cosí comunità in cui il sociale supera il personale, in cui
l’unione tra i cristiani non avviene piú tra persone nella Persona
divina, nello Spirito Santo, ma nella comunità umana. Tutto diviene
prassi e comunità, la socializzazione del personale avviene con
detrimento delle vitali radici teandriche del Cristianesimo. E cosí
avviene l’evento disastroso centrale nella vita della Chiesa; un evento
non voluto, non previsto, non desiderato: la sostituzione della Chiesa
a Cristo. Una volta si diceva: Cristo sí la Chiesa no, ma
oggi sembra prevalere il principio contrario: la Chiesa sí Cristo
no.” (pp. 47 e 49).
Ma com’è avvenuto tutto questo?
“Quante volte Dio ha lasciato Israele e la Chiesa ai pensieri del
loro cuore! Anche questa volta è accaduto. … Qualcosa, anzi qualcuno
ha operato in quella direzione. Qualcuno che prima ha diffuso lo spirito
del mondo nella chiesa in modo che la secolarizzazione sembrasse un atto
d’amore, di carità, di apertura verso il mondo. […] Naturalmente
questo processo, che non è nelle mani di nessuno, non ha un leader,
un rappresentante; è un fenomeno non afferrabile come fatto umano,
tanto è invadente e progressivo, non ha per sola causa la liturgia
della Chiesa. Vi è un falso profeta collettivo, quello che chiamiamo
l’Anticristo, che è impersonale; ed è in questa figura collettiva
di un’opera impersonale … che sentiamo presente l’inafferrabile responsabilità
della sovversione della Chiesa.” (pp. 49 e 50).
“La riforma liturgica fu applicata in modo autoritario e violento,
fu un atto di imposizione della gerarchia sui fedeli, che non domandavano
la rivoluzione della liturgia. Nessuna obiezione venne ascoltata. Già
operava il «principe di questo mondo» e il fiume anticristico
fluiva per passi insensibili. Tutto sembrava cosí innovatore, intelligente,
comprensibile: rendere persuasivo il mistero, quale tentazione! … Il risultato
è stato il compimento della rivoluzione moderna quando il moderno
finiva. E il risultato è che la liturgia della Chiesa postconciliare
è una liturgia morente, priva del sacro, del canto, priva di bellezza,
di grandezza.” (p. 51).
Perché “L’Anticristo”?
Nell’immaginario collettivo l’idea dell’Anticristo è legata
ad una visione catastrofica dell’esistenza, visione che si scontra fortemente
con la sensazione ottimistica di cui è impregnata la concezione
moderna del progresso indefinito e migliorativo dell’umanità. Mentre
invece, per i nostri padri, la figura di Satana, Principe di questo mondo,
era qualcosa di talmente reale da sostenere lo stesso imperativo della
Fede. Se nel mondo vi è il male, è Satana che lo produce:
la disgrazia, la sofferenza, il dolore, la morte che accompagnano la vita
dell’uomo in questo mondo sarebbero inspiegabili senza la pervasiva azione
di Satana, delle sue illusioni e dei suoi inganni. “… Satana è
il «deuteroagonista» del Cristianesimo, è colui senza
il quale il Cristianesimo non sarebbe esprimibile”, dice l’Autore (p.
98).
Ma questa visione cristiana del mondo e dell’esistenza mal si concilia
col mondo moderno, convinto che presto o tardi l’uomo, in quanto tale,
possa risolvere tutti i mali del mondo. L’intervento di Dio, la sua azione
redentrice, la visione ultramondana del destino dell’uomo, il preminente
valore trascendente dell’esistenza umana, sono tutte cose che il mondo
moderno ha relegato nell’àmbito della supposta mitologia infantile
dei nostri padri, non ancora sufficientemente cresciuti alla consapevolezza
della loro onnipotenza.
E la Chiesa postconciliare si è sforzata in tutti i modi per
avvicinare la concezione cristiana a questa moderna concezione umana.
“Il quadro del concilio è la comunità mondiale come
si stava allora organizzando sotto l’egida dell’ONU: e la Chiesa intendeva
proporsi come una visione religiosa funzionale a un’etica politica omogenea
a quel modello. In questa visione il peccato diviene un fatto etico o politico…”
(p. 98).
“L’omissione del deuterantagonista distruggeva il Cristianesimo
del Giudizio finale, dell’inferno, del paradiso, della resurrezione della
carne. (…) Se tutto ciò è pia illusione, mito escatologico,
apocalittica giudaica, infine materiale mitologico, allora «vana
è la nostra fede», come dice Paolo ai Corinti. Senza il demonio
il Cristianesimo perde il suo senso escatologico: e la Chiesa è
lontana dall’essere veramente la Chiesa di Cristo se non parla del demonio.
E se non ne parla piú, come accade in molte comunità cristiane,
allora ciò significa che lo Spirito Santo le ha del tutto abbandonate.”
(pp. 99 e 100).
Un tempo si insegnava giustamente che uno degli inganni piú sottili
del demonio è costituito dalla diffusione della suggestione che
egli non esista.
Come non riflettere allora sull’evidenza attuale che tale suggestione
sia entrata a far parte dei piú profondi convincimenti degli uomini
della Chiesa postconciliare?
Come impedirsi di giungere alla conclusione che Satana abbia riportato
una grande vittoria, cosí da accelerare i tempi per l’avvento dell’Anticristo?
“L’esistenza e la potenza del diavolo è una rivelazione propria
di Gesú. (…) …chi rivela il demonio è Gesú:
i testi che nei Vangeli sinottici parlano degli indemoniati, di Beelzebul,
di mammona, di Satana sono i piú significativi. (…) Oggi
Satana è per i teologi il nulla, una non persona. Perdere Satana
significa perdere il livello teologico del Vangelo, non intendere piú
il Vangelo come storia del Figlio di Dio.” (pp. 105 e 106).
GIANNI BAGET BOZZO, L’Anticristo, ed. Mondadori,
2001, pp. 137, £ 28.000 (E 14,46)
(4/2002)
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