L’ABITO ECCLESIASTICO. SUA VALENZA E STORIA

Con questo titolo viene presentato il testo della tesi di laurea che il Rev. Don Michele de Santi ha sostenuta presso la Pontificia Università della Santa Croce: L’abito sacerdotale: fondamenti antropologici, teologici e disciplina canonica.
Il libro vanta una Premessa del Cardinale Darío Castrillòn Hoyos, Prefetto della Congregazione per il Clero, nonché un breve intervento del prof. Franco Cardini, storico del Medioevo, su Il saio francescano
In appendice sono anche riportate le testimonianze di tre sacerdoti e di un religioso, tutte centrate sulla importanza anche pratica che riveste l’uso di un abito particolarmente distintivo da parte dell’uomo votatosi al servizio di Dio per la salvezza delle ànime.

Lo studio è diviso in tre parti. 
“Nella prima parte ci si propone di andare alla ricerca dei fondamenti remoti della normativa sull’abito ecclesiastico. Essi li troviamo radicati nella natura stessa dell’uomo.” (p. 16).

“La seconda parte del lavoro, dedicata alla dimensione più propriamente canonistica … ha l’intendimento di verificare le motivazioni che sono alla base delle scelte dei diversi legislatori.” (pp. 17-18).

“La terza parte della trattazione pone la domanda circa il senso di uno specifico abito sacerdotale…” (p.19).

Il lavoro è importante soprattutto un relazione alle corrette motivazioni che sono alla base dell’uso d’abito clericale: “… la caratteristica che più ne mette in luce la convenienza è quella relativa ad una visibilità del ministero sacerdotale in ordine ad un servizio a favore degli uomini per tutto ciò che riguarda le loro relazioni con Dio nella prospettiva finale dell’eterna salvezza.” (p. 222).
“Nel sacerdote deve invece essere presente la diuturna disponibilità ad essere riconosciuto come rappresentante di Cristo Buon Pastore, specialmente in una società secolarizzata e materialista come quella attuale in cui i segni esterni delle realtà sacre e soprannaturali tendono a scomparire.” (p. 223).

L’abbandono dell’abito clericale viene oggi motivato con le giustificazioni più diverse, ma tutte hanno un vizio di base: sono basate sull’idea che l’ordinato e il consacrato sarebbero innanzi tutto degli uomini che vivono tra altri uomini, rispetto ai quali devono guardarsi dall’ostentare segni di distinzione. In realtà ci si dimentica che tali uomini hanno scelto liberamente di condurre una vita particolare, dedita a Dio, e che è in relazione a quest’ultima che l’abito va indossato. La vantata preoccupazione di non ostentare segni distintivi, in realtà è una finzione ipocrita, poiché gli stessi interessati sanno che nessuna omologazione esteriore può far venire meno la peculiare differenza che li distingue dagli altri uomini. Che poi accada che l’ordinato o il consacrato non sentano minimamente i doveri derivanti dal proprio stato, è cosa del tutto diversa, per la quale quelle stesse ordinazioni o consacrazioni sono ridotte a nulla. 

D’altronde, indipendentemente da ogni considerazione su questa o quella giustificazione, ciò che maggiormente colpisce su questo argomento è l’aspetto della diffusa e incontrastata disubbidienza praticata da tanti preti e da tanti religiosi che, incredibilmente, hanno assunto solennemente l’obbligo morale o hanno fatto voto di ubbidienza. Nel libro questa questione, pur essendo chiaramente segnalata con tutti i necessari riferimenti al Codice di Diritto Canonico e alle disposizioni gerarchiche, a nostro avviso, non è adeguatamente evidenziata; anche se si deve convenire che non rientrava negli scopi dell’Autore approfondire il fatto che la disubbidienza dei sottoposti trovi la principale copertura nella mancanza del doveroso esercizio dell’autorità da parte dei superiori. 

MICHELE DE SANTI, … L’abito ecclesiastico, sua valenza e storia, Edizioni Carismatici Francescani, Circonvallazione Fiume Abbandonato, 24, 48100 Ravenna; tel e fax 0544.521552; posta elettronica info@dioesiste.org, pp. 318, Euro 13.
 

(5/2005)


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