È stato pubblicato il terzo volume del Padre JOHANNES DÖRMANN, La teologia di Giovanni Paolo II e lo spirito di Assisi - “La trilogia trinitaria”: Dives in misericordia. Dopo la pubblicazione in italiano dei due primi volumi di quest’opera, salutiamo la pubblicazione del terzo con rinnovata riconoscenza nei confronti dei traduttori, il dott. Alfons Benedikter e il prof. Paolo Taufer. Si tratta infatti di un lavoro di rilevante interesse, che aiuta a comprendere ciò che è accaduto in seno alla Chiesa in termini di dottrina e di prassi religiosa. 
Pur essendo incentrato sul pensiero di Giovanni Paolo II, il lavoro dell’Autore analizza di fatto la condizione complessiva della Chiesa. Lo stesso titolo, che comprende l’espressione “lo spirito di Assisi”, rimanda inevitabilmente a categorie mentali, a disposizioni intellettuali e a comportamenti religiosi che sono stati fatti proprii da tutta la Chiesa.

Quando, nel PRIMO VOLUME, (Dal Concilio Vaticano II all’elezione papale) l’Autore si richiama al progetto esposto dall’allora Cardinale Wojtyla circa la necessità di addivenire alla cosiddetta “accomodata renovatio”, e cioè all’“adattamento della coscienza preconciliare alla coscienza conciliare della Chiesa, e adattamento della coscienza conciliare al mondo d’oggi”, è logico che tale adattamento debba intendersi come elemento direttore di tutta la vita della Chiesa, e non potrebbe allora pensarsi ad un semplice punto di vista, bensí ad un diffuso stato d’animo che sia in grado di fare da sostegno ad un progetto del genere. Pena il suo fallimento.
In realtà, l’avvenimento di Assisi, recentemente rinnovato, è di una tale portata da poter essere considerato come un elemento “esemplare” alla luce del quale si può piú agevolmente leggere l’orientamento del Papa e quindi di tutta la Chiesa conciliare.
Giustamente l’Autore fa rilevare che i ripetuti richiami del Papa, e della Gerarchia, a considerare Assisi “alla luce del Concilio”, debbano piuttosto essere intesi come una sollecitazione a considerare il Concilio “alla luce di Assisi”. Soprattutto per il fatto che “lo spirito di Assisi” non trova giustificazione alcuna nella dottrina tradizionale della Chiesa, né tampoco la realizzazione dell’evento di Assisi trova giustificazione nello stesso Concilio Vaticano II. 
Se i documenti del Concilio si leggono alla luce dello “spirito di Assisi”, non v’è dubbio che diventa piú agevole comprendere come sia stato possibile che il richiamo alla dottrina tradizionale della Chiesa, piú volte ribadito dal Concilio, abbia potuto trasformarsi in una mera petizione di principio. Il Concilio e il suo richiamo alla tradizione: non piú punti di partenza per una coerente azione pastorale, ma trampolino di lancio per una attività ecclesiale che fonda le sue radici nello spirito del tempo e nello spirito del mondo.

Nel SECONDO VOLUME (La “Trilogia trinitaria”: Redemptor hominis) l’Autore sviluppa il suo esame sul pensiero teologico di Giovanni Paolo II, basandosi sulla sua Enciclica REDEMPTOR HOMINIS.
"… per la prima volta in un’enciclica espressamente dogmatica, un papa si rivolge non solo “ai venerati fratelli nell’episcopato, ai sacerdoti e alle famiglie religiose, ai figli e figlie della Chiesa”, ma anche “a tutti gli uomini di buona volontà”. Se il Redemptor hominis è il redentore dell’uomo redento e giustificato a priori, allora anche tutta l’umanità forma la Chiesa “latente”. Già in questo indirizzo il nuovo pontefice getta un ponte verso l’umanità tutta intera, per annunciare ad essa la nuova visione universale della Chiesa del Concilio" (p. 36).  E l’Autore, in nota, precisa il senso di questa “nuova visione universale”, citando proprio l’Osservatore Romano (Ed. tedesca dell’8/3/1991); ove, illustrando l’Allocuzione al Clero romano di Giovanni Paolo II, tale visione viene presentata come “una visione piú aperta verso l’universalità del Popolo di Dio”.
Questo tema della universalità della redenzione, intesa come redenzione indiscriminata dell’umanità intera, è quella che regge tutto l’impianto della Redemptor hominis.
"Giovanni Paolo II celebra il Concilio Vaticano II come una “seconda” o “nuova Pentecoste”. Con ciò non si intende solo un’iniziativa pastorale che ha donato una “nuova primavera” alla cristianità: la “nuova Pentecoste” è piuttosto da intendere nel senso forte di rinascita della Chiesa, dunque della Chiesa del Concilio. Al “nuovo Avvento della Chiesa e dell’umanità”, “nuova venuta del Signore”, appartiene anche la nascita della Chiesa “del nuovo Avvento” il cui messaggio e missione sono altrettanto nuovi (cfr. RH 20, 6; 22, 6)" (p. 47).
In questa ottica diverrebbe difficile inserire il giusto collegamento con l’insegnamento tradizionale della Chiesa, ma ecco che l’ostacolo può essere superato, ove si consideri che la concezione moderna del cosiddetto “magistero vivente” comporta necessariamente l’avvenuta assimilazione della concezione moderna del “progresso”: cosí che il termine “vivente” diventa tranquillamente sinonimo di “cangiante”, esattamente come l’idea di progresso è tutt’uno con l’idea di continuo mutamento.
"Il tal modo il depositum fidei perde la sua oggettività inviolabile, diventando suscettibile di una “nuova interpretazione” fondata sulla “storicità” esisten-zialista, che viene presentata come “spirito del Concilio”. Da una “nuova coscienza” della Chiesa possono quindi essere dedotte a piacere delle nuove “verità di fede in senso esistenzialista”" (p. 49).
Da qui la rivisitazione in chiave moderna del principio di unità, che sfocia nella incredibile concezione di unità intesa come sommatoria delle diversità. Una sorta di inversione della realtà, per cui non sarebbero piú le diversità a scaturire dall’unità, ma l’unità a rendersi possibile per l’aggregazione delle diversità. In termini teologici, si tratterebbe, insomma, non della verità da cui possono derivare adattamenti ed errori, ma della sommatoria degli adattamenti e degli errori da cui dovrebbe scaturire automaticamente la verità.
"Dopo aver richiesto anche ai cattolici la ricerca comune della verità in senso pienamente evangelico e cristiano, il papa esige nel medesimo tempo da loro la fedeltà indefettibile alla “verità divina, costantemente confessata ed insegnata dalla Chiesa”. La contraddizione è clamorosa, e tale dovrebbe essere anche per il papa. … Il nuovo cammino verso l’unità universale dei cristiani, ovvero la ricerca comune della verità in senso pienamente evangelico e cristiano, comporta l’abbandono della pretesa della Chiesa cattolica dell’esclusivo possesso della verità e della legittimità, la relativizzazione del dogma cattolico e l’autoliquidazione del magistero infallibile da parte del papa stesso" (pp. 79-80).
E ciò si rende possibile e diviene legittimo per il fatto che l’opera della Redenzione si concretizza nella rivelazione ad ogni uomo dell’uomo stesso. “Cristo Redentore rivela pienamente l’uomo all’uomo stesso”. Se cosí è, ne deriva inevitabilmente che ogni uomo, non solo è redento per il solo fatto della Redenzione, ma, come tale, può legittimamente concorrere, al pari con tutti gli altri, alla ricerca della verità.
"L’uomo, infatti, ciascun uomo, per l’enciclica è una nova creatura (!), e, in quanto tale, redento e giustificato. … L’umanità intera è dunque, in modo nascosto, il corpo di Cristo, la Chiesa latente. La vecchia separazione tra cristiani e non cristiani e l’antica distinzione tra natura e grazia sono messi in disparte in virtú dell’assioma della redenzione universale" (p. 109).
La inevitabile conseguenza è che la Chiesa non possa realmente avere piena coscienza di sé, se non attraverso il dialogo con l’altro da sé. Essa, in sé stessa, non può essere autosufficiente, perché non parteciperebbe dell’opera della redenzione che Cristo ha attuato nei confronti di tutti gli uomini. L’unica cosa che la contraddistingue è il suo essere sacramento dell’unità di tutto il genere umano (cfr. LG 1, 1), cosa che le impone il dovere di “promuovere l’unità dell’umanità” (p. 119).
"L’idea guida è che ciò che è comune a tutti gli uomini condurrà all’unione di tutti gli uomini. Assioma che, riferito alle religioni, si traduce cosí: ciò che è comune a tutte le religioni conduce all’unione di tutte le religioni; in ultima analisi ad un unica religione mondiale. Ciò che è comune a tutte le religioni … potrebbe condurre … solo ad un consenso minimale, cioè a quella specie di sentimento irrazionale del numinoso…" (p. 119).

Esaminato il contenuto della Redemptor hominis, l’Autore passa - nel TERZO VOLUME (La “Trilogia trinitaria”: Dives in misericordia) - all’esame dell’enciclica DIVES IN MISERICORDIA. Tenendo sempre presente il tema propostosi: comprendere la teologia di Giovanni Paolo II e la sua azione in vista degli incontri di Assisi. Come ricorda l’Autore, citando il Card. Arinze, gli incontri di Assisi sono un segno distintivo del pontificato di Giovanni Paolo II (p. 3).
"La meta dichiarata degli incontri di preghiera interreligiosi nello “spirito di Assisi” è “l’unità dell’umanità”, unità che sarebbe già in via di realizzazione nella preghiera autentica di tutte le religioni e che quindi rappresenterebbe anche un “positivo contributo alla pace”" (p. 5).
E l’Autore fa notare come questa visione ottimistica del papa sia del tutto “sorprendente”, in quanto fondata su una visione distorta della realtà (cfr. pp. 5-6). Ma tale visione non ha una giustificazione in sé stessa, non è il risultato di una visione soggettiva della realtà, è invece il prodotto inevitabile e coerente della stessa teologia di Giovanni Paolo II.
"Questa rivelazione del Padre in Cristo, che è unica e irrepetibile e che si basa sull’incarnazione del Logos, dovrebbe adesso, secondo il testo dell’enciclica, essere la via tracciata da Cristo che anche la Chiesa “dovrebbe” percorrere con ciascun uomo! … Siamo in presenza non di un’enunciazione sconsiderata, ma di una conseguenza ben meditata del concetto di rivelazione del papa. Dal carattere antropocentrico del concetto di rivelazione: “Cristo rivela l’uomo all’uomo stesso, mediante la rivelazione del Padre e del suo amore”, segue infatti l’antropocentrismo della missione della Chiesa secondo la massima: “l’uomo è la via della Chiesa”. Secondo la dottrina del papa, la vera essenza dell’uomo consiste nel fatto che “con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ciascun uomo” (K. WOJTYLA, Segno di contraddizione, cit., p. 115). Per tale motivo l’uomo possiede a priori in se stesso, come fondamento della sua essenza di uomo, “l’essere in Cristo”" (pp. 21-22).
E sviluppando questo concetto si giunge a dare una nuova interpretazione della verità della Redenzione, cosí che non si tratterebbe piú dell’intervento divino nella “pienezza dei tempi”, ma solo della storicizzazione di una possibilità già in potenza nell’uomo, tale che non è piú l’amore di Dio ad essere posto in primo piano, attraverso il sacrificio del Suo Unigenito, bensí “la grandezza inaudita dell’uomo che ha meritato di avere un tale e cosí grande Redentore”.
"Questa tesi comporta la definitiva predestinazione di tutta l’umanità alla grazia e alla gloria “a principio”. Tale presupposto implica per consequentiam la radicale reinterpretazione del sacrificio sulla Croce, che perciò rappresenta il prezzo richiesto dalla fedeltà immutabile del Padre proprio a questa sua alleanza nella grazia, contratta a principio con l’umanità" (p. 70).
Incredibilmente, ma inevitabilmente, l’azione gratuita e volontaria del Figlio di Dio  che compie tutta intera la volontà del Padre, rischia di scivolare entro una visione strumentale e umana: non piú il rifiuto delle lusinghe di Satana e quindi la di lui sconfitta e quella della morte, ma quasi un’impotente soggiacenza di Cristo che chiede e non ottiene misericordia rimanendo preda del male.
"È un confronto tremendo tra Satana e il Figlio di Dio. Sull’esito di questa lotta l’enciclica esorta: “Guardate la croce”! Essa infatti “è la testimonianza della forza del male contra ipsum Filium Dei”. La croce come testimonianza (testimonium) del potere di Satana contro il Figlio di Dio stesso è una visione terribile! Una conseguenza logica che certamente l’autore non ha visto sotto questa luce. Essa però è del tutto coerente con il criterio interpretativo fin qui adottato dal papa: un Messia, infatti, che nel corso della sua Passione si attende misericordia e liberazione dagli uomini, che invano invoca misericordia al Padre (cfr. DM 7, 2-3), ora sulla croce è la prova della potenza del Satana contro di lui! Questa è “moderna cristologia dal basso”! La prospettiva è dominata dalle vicende esteriori, oggetto dell’esperienza e considerate a mero livello storico e umano:…" (p. 94).
E questa concezione della soggiacenza del Figlio non può evitare di scaturire in una sorta di condizione obbligata dello stesso Padre, tale che se vi è inevitabilità nella misericordia del Padre dev’esservi obbligatorietà nella sua azione: una sorta di dovere di Dio come fondamento del dovere dell’uomo alla misericordia. 
Dal confronto col testo dell’enciclica (DM 13, 4), l’Autore fa giustamente notare che "Dio non è obbligato a nulla, può agire anche diversamente! Solo se Dio rimane indissolubilmente legato all’alleanza con l’uomo nella grazia ab origine, deve rivelarsi come misericordia, perché nel mondo esiste il peccato. … La tesi dell’enciclica, che lega indissolubilmente il peccato nel mondo con l’amore di Dio fino al sacrificio del Figlio, facendone scaturire il divino dovere alla misericordia, non è altro che logica conseguenza dell’assioma della grazia universale ab origine" (pp. 136-17).
Il corollario di questo assioma è l’intrinseco stato di grazia dell’uomo come tale, cosí che Giovanni Paolo II può affermare che il fine dell’uomo è diventare sempre piú umano, essere umano al meglio della sua umanità potenzialmente intrisa di grazia; come espresso nell’enciclica (DM 14, 7):
"In tale direzione ci conduce anche il Concilio Vaticano II quando, parlando ripetutamente della necessità di rendere il mondo piú umano (GS 40) … individua la missione della Chiesa nel mondo contemporaneo appunto nella realizzazione di tale compito. Il mondo degli uomini può diventare sempre piú umano, solo se introdurremo nel multiforme ambito dei rapporti interumani e sociali, insieme alla giustizia, quell’“amore misericordioso” che costituisce il messaggio messianico del Vangelo" (p. 147).
Pur trattandosi di un lavoro “specialistico”, questo studio su alcune encicliche del Papa aiuta a comprendere con facilità la incisiva svolta che si è determinata nella presentazione della dottrina cattolica a partire dal II Concilio Vaticano. Qui si ritrovano delineati i tratti della trasformazione della teologia cattolica da teocentrica ad antropocentrica, non tanto come scomoda conseguenza di una “prassi” pastorale “sollecitata” dai “tempi”, ma in quanto risultato di una diversa concezione del mondo e della religione, direttamente derivata dal secolare processo di “ricollocazione di Dio”: dal “centro” alla “periferia”. Vedremo, nel prossimo volume, come l’Autore ci presenterà gli ulteriori elementi a sostegno di questa analisi.

JOHANNES DÖRMANN, La teologia di Giovanni Paolo II e lo spirito di Asssi - 
vol. I, Dal Concilio Vaticano II all’elezione papale (pp. 104); 
vol. II, La “Trilogia trinitaria”, Parte prima: Redemptor hominis (pp. 206); 
vol. III, La “Trilogia trinitaria”, Parte seconda: Dives in misericordia (pp. 160), 
Editrice Ichthys, via Trilussa, 45, 00041 Albano Laziale, Roma, 2000, 2002 [Tel. 06-9306816, fax 06-9305848; posta elettronica: albano@sanpiox.it]. Euro 7,20 (I), 10,30 (II), 10,00 (III). 

(3/2003)


Ritorna al:  SOMMARIO  SEGNALAZIONI