DANILO FABBRONI, IL SESSANTOTTO - Magie, Veleni e Incantesimi SPA - Edizioni Solfanelli, Chieti, 2017, pp. 312, € 21,00.
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Recensione

di Gabriele Minotti


Le Edizioni Solfanelli, nel marzo del 2017, hanno dato alle stampe l’opera di Danilo Fabbroni intitolata “Il Sessantotto. Magie, veleni e incantesimi Spa”.

Come si intuisce facilmente dal titolo, il presente libro tratta di un argomento tanto noto nei suoi segni esteriori quanto poco conosciuto nei suoi aspetti più reconditi ed inesplorati: stiamo parlando del Sessantotto, ossia di quel movimento di protesta e di rivoluzione socio-culturale che prese piede sul finire degli anni Sessanta del Novecento. Correva l’anno 1968, per l’appunto.
Cos’altro si potrebbe dire o scrivere sul Sessantotto che non sia già stato detto o scritto da qualcun altro? La maggior parte delle persone è convinta di sapere tutto sulla questione: il Sessantotto fu null’altro che la reazione – sia pure un po’ eccessiva per alcuni versi – della gioventù dell’epoca al bigottismo sociale, all’oppressione esercitata ai loro danni dal moralismo ipocrita e dalle convenzioni borghesi: tutto sommato, si è trattato di un fenomeno che ha reso le società occidentali più libere ed emancipate, addirittura migliori.
Questa è l’opinione dei più. Ma è questa la verità?

Inutile dire che la maggior parte delle informazioni sull’argomento cui è possibile attingere con maggior facilità, provengono da fonti che definire “non del tutto attendibili” potrebbe sembrar poca cosa, trattandosi delle testimonianze di coloro che il Sessantotto l’hanno vissuto, promosso ed esaltato come “segno dei tempi” o che nutrono una certa simpatia per questo fenomeno.

In questo senso, lavori come quello di Danilo Fabbroni assolvono ad una funzione quasi risanatrice nei confronti di un’ingiustizia culturale: quella di aver dipinto – probabilmente in malafede – una catastrofe che ha portato alla regressione antropologica e alla sostanziale istituzionalizzazione della devianza etico-sociale – quale fu il Sessantotto – come un evento di portata epocale, che ha cambiato il mondo in meglio e che ci ha reso tutti più felici nel nostro essere diventati qualcosa di molto più simile alle bestie che non agli uomini. Il grande merito della presente opera – come del resto di tutte quelle consimili – è quello di dare una lettura alternativa di un certo fenomeno (specialmente se esaltato ed incensato, a mo’ di idolo pagano, dalla narrazione dominante), non solo evidenziandone gli aspetti più controversi, ma anche cercando di metterne in luce i tratti sconosciuti ai più e che non di rado risultano essere quelli maggiormente “oscuri” e sinistri.

Attraverso un gran numero di citazioni ed una ricca bibliografia, l’autore ci introduce e ci guida nella dimensione più recondita e sconosciuta di questo fenomeno epocale, i cui tratti peculiari non furono soltanto la cultura dello “sballo” o della libertà sessuale - che servirono solo a fare degli individui dei soggetti privi di giudizio e di auto-controllo da poter manipolare secondo l’interesse dei “burattinai” - ma anche l’occultismo e la depravazione per fini iniziatici.

L’argomento al quale l’autore dedica maggiore attenzione è probabilmente quello delle droghe, delle quali si cominciò a fare un uso massiccio proprio a partire dal Sessantotto. Fin qui, nulla di nuovo sotto il sole. Chi non sa che il Sessantotto fu una rivoluzione a base di “acidi”? L’aspetto che però viene ignorato dai più – e che l’autore mette in risalto con una certa abilità – è che vi furono degli specifici interessi politico-finanziari nel rendere queste sostanze un “bene di largo consumo”. Quello che si voleva fare, detto in maniera diretta, era istupidire le masse, renderle perfettamente imbecilli: più facilmente controllabili, insomma. E quale modo migliore di bruciare i loro neuroni, di renderli schiavi di una o più sostanze, di alterarne le emozioni, la sensibilità e gli stati di coscienza rendendoli simili a degli zombie?

Altro aspetto decisamente poco conosciuto è quello relativo al coinvolgimento dei servizi segreti americani e britannici nella sperimentazione di quelle che poi sarebbero diventate le “droghe del Sessantotto” (LSD e marijuana prime fra tutte) e che proprio a partire da questo rovinoso evento divennero sostanze largamente diffuse nelle società occidentali. Tali esperimenti – naturalmente segretissimi – vennero condotti molti anni prima della contestazione sessantottina, generalmente su ignari soldati o sui pazienti dei manicomi (molti celebri psichiatri americani dell’epoca, assieme ad alcuni medici col pallino dell’eugenetica, non mancarono di collaborare attivamente a queste nefandezze), nell’ambito di progetti di ricerche sul controllo mentale. Ebbene sì, i primi ad impiegare alcuni particolari tipi di droghe – che noi oggi ben conosciamo, che hanno devastato le società occidentali e delle quali i nostri giovani fanno ampio utilizzo – furono i servizi segreti e un manipolo di folli psichiatri nel tentativo di manipolare la mente umana.

La musica fu un altro importante elemento che contraddistinse il sessantottinismo: la caratteristica precipua di quei ritmi era l’ossessività, la ripetitività, la sfrenatezza, tale da poter produrre uno stato di alterazione mentale ed emotiva, specialmente se abbinati a qualche sostanza psicotropa. La musica rock, non a caso, nasce ed inizia a riscuotere successo proprio in quegli anni.
Infine, è noto come la controcultura sessantottina abbia fatto della libertà sessuale uno dei suoi tratti peculiari, probabilmente il più noto: si pensa al movimento sessantottino ed immediatamente vengono in mente scene di giovanotti intenti ad accoppiamenti casuali – a mo’ di animali, insomma – o impegnati nella rivendicazione di questo “diritto” di vivere ed esprimere liberamente i propri istinti più bassi. Poi il movimento femminista e quello omosessuale che si aggregarono all’alveo della contestazione, contribuendovi in maniera preponderante. Tutto questo non fu casuale: la sessualità costituisce un richiamo di massa, un’attrattiva alla quale non molti hanno la forza di resistere. Dunque, qualcosa che non meno della droga e non diversamente da essa, può contribuire al controllo di quelle stesse masse. Indurre alla devianza per privare del raziocinio e della vera libertà, che consiste anzitutto nella capacità di controllare sé stessi: l’idea era questa.

Questi tre elementi – droga, musica e sesso – l’autore li paragona al tridente di Shiva, la nota “divinità” induista. Per qual motivo questo paragone, invero particolarmente azzeccato? Al di là del feticismo orientalista proprio della controcultura e degli stili di vita “alternativi”, è singolare il fatto che, proprio a partire dal Sessantotto, la post-modernità abbia gradualmente riscoperto quegli antichi riti pagani, quelle tenebrose mitologie e quei culti che il cristianesimo aveva definitivamente seppellito: new age, stregoneria, neo-paganesimo, sciamanesimo, spiritismo, buddhismo, induismo e specificamente, come si diceva prima, shivaismo. Tutte con un’unica matrice e con lo stesso odore sulfureo: quello del satanismo, verso il quale le società occidentali non provano più nessun tipo di avversione, semmai un’attrazione perversa ed insana.

Quello dell’esoterismo è un punto sul quale l’autore giustamente insiste: non si è mai inquadrato il Sessantotto e il “sessantottinismo” nel suo aspetto per così dire magico, quindi fondamentalmente satanico, che pure non era poi così celato da poter sfuggire ad un osservatore attento. A chi, vedendo le immagini della comune hippy di Woodstock, di quei giovani allucinati dalle droghe, intenti a consumare rapporti sessuali promiscui o a danzare completamente nudi sull’erba, non è mai venuto in mente un “sabba” medioevale, ossia uno di quei raduni boschivi in cui gli adoratori del demonio si riunivano per dare sfogo alle loro perversioni e per compiere i loro nefandi rituali? Questo costituisce un perfetto esempio del legame che unisce il “sessantottinismo” e la stregoneria.

A questo proposito: nel corso dell’opera, l’autore chiama più volte in causa un personaggio assai oscuro e lugubre, tale Aleister Crowley, noto occultista e satanista inglese vissuto nel secolo scorso. Costui, che amava farsi chiamare la “Bestia 666”, fu tra i primi a sostenere il potere esoterico ed iniziatico della sessualità, specialmente se perversa e deviata rispetto al suo fine naturale, che è la procreazione. Non sorprende affatto che il movimento sessantottino cercò in tutti i modi di sdoganare pratiche come quelle sodomitiche. Per quella che potremmo definire una strana coincidenza, l’uso innaturale e depravato della sessualità si riscontra in molti riti a sfondo magico-esoterico e satanico: guarda caso Crowley ne era un sostenitore ed un “fine conoscitore”. E per un caso ancor più strano, sappiamo per certo che non mancarono uomini e donne dediti a questo genere di vizi nelle file degli pseudo-intellettuali e degli ideologi del Sessantotto: non solo sodomia, ma anche pedofilia, incesto e sadomasochismo sembravano essere particolarmente apprezzati.

Emblematica, a questo proposito, è la spaventosa diffusione della pornografia: un’altra “bella” eredità sessantottina, la cui conseguenza precipua fu quella di traviare completamente la concezione della sessualità onde spostarla verso un’idea basata su un rapporto di sopraffazione, di dominazione assoluta e di possessione fisica che prelude a quella psicologica e mentale. Il controllo e la bestialità: questo è ciò che esprime la pornografia. Il controllo completo dell’altro, il suo ridurlo ad oggetto, a materia inanimata, a strumento nelle proprie mani. Il ridurre l’uomo a bestia. La qual cosa è esattamente quello cui i “Poteri Oscuri” vorrebbero ridurre intere popolazioni: uno stato di completo abbandono e di sudditanza psicologica, morale e fisica. Lasciare libero sfogo ad ogni sorta di vizio ed infettare la società col liquame rivoltante della pornografia fu un altro tentativo di controllo sulle masse? Decisamente sì. Non meno della droga, il continuo veicolare messaggi a sfondo sessuale (anche in maniera subliminale) ha reso gli uomini dipendenti dalle sensazioni ad essa connesse, ma li ha contemporaneamente isolati in un mondo irreale, li ha relegati nella solitudine e li ha posti in una condizione di sostanziale debolezza rispetto al Leviatano che si profila all’orizzonte, poiché l’assoluta libertà prelude sempre all’avvento della peggior schiavitù.

Inoltre, è singolare come la controcultura sessantottina, anche per mezzo dei suoi esponenti di spicco nelle università (Marcuse, Adorno, Foucault ed altri) abbia tentato di legittimare ogni tipo di perversione e di vizio in nome della libertà sessuale, demolendo al tempo stesso la concezione cristiana di famiglia (fondata sul padre, ripudiato quale figura intrinsecamente autoritaria e fascista) e di femminilità: all’idea mariana della donna come madre e moglie, aggraziata, modesta e pudica, si è sostituita una femminilità infera e lasciva, quella della strega o della baccante, oppure una femminilità androgina che prevarica l’uomo e finisce per costituirne un surrogato. Ed ecco un altro indizio: si sa che l’individuo non può essere abbastanza solo e debole da poter essere dominato, fin quando può contare su Dio e sui propri famigliari.

Naturalmente, alla cultura dello sballo, della sessuomania e del filo-satanismo sessantottino era necessaria un’ideologia che fungesse loro da paravento, quasi a voler normalizzare, rendere accettabile o addirittura istituzionalizzare le depravazioni e le bestialità della quale si faceva attiva promotrice: è in questo preciso momento che si realizza la saldatura tra la Nuova Sinistra (New Left) e la controcultura sessantottina: pacifismo radicale che rende gli uomini imbelli ed incapaci di reagire, ed ecologismo che porta dapprima al panteismo e in seguito ai culti pagani incentrati sulla natura, nonché al malthusianesimo (l’uomo sfrutta e rovina il pianeta, ergo è necessario ridurre la popolazione mondiale e controllarne la crescita con l’aborto, la contraccezione e l’eutanasia). Nondimeno, l’autore richiama quelli che furono i legami tra l’intellighenzia sessantottina e quell’ambiente politico della sinistra americana che poi, spostatosi verso destra, sarebbe andato a costituire il primo nucleo del movimento neo-conservatore: ad unire due mondi apparentemente distanti c’era la perfetta sintonia sulla necessità di “esportare” la democrazia liberale nel mondo, e con essa anche la sovversione sociale a base di sregolatezze e depravazione, o quantomeno la tolleranza nei confronti di queste.

Finalmente si giunge alla fatidica domanda: com’è potuto succedere tutto questo? La risposta dell’autore è che il Sessantotto non fu, come pretende di essere, la reazione di una gioventù oppressa dalle norme sociali “fasciste”, dalla famiglia patriarcale o dal perbenismo borghese: il Sessantotto fu una rivoluzione calata dall’alto, diretta da quelli che l’autore definisce “Poteri Oscuri” e che collega al mondo dell’alta finanza iniziatica ed esoterica. Un’oligarchia di questo genere provvide a sussidiare gli pseudo-intellettuali, i circoli e le università che diffusero la controcultura e che coi loro scritti, le loro farneticazioni e la loro falsa filosofia avvelenarono le menti di un’intera generazione e della loro discendenza. Del resto, come giustamente fa notare il Fabbroni, non è un caso che la maggior parte dei movimenti socio-rivoluzionari dell’epoca ricevettero delle ingenti somme di denaro da parte di questi oligarchi della finanza. E non è casuale nemmeno il fatto che l’autore abbia scelto di sottotitolare la sua opera “Magie, veleni e incantesimi Spa”: quest’ultimo termine (sigla che sta per “Società Per Azioni”) rimanda al mondo degli affari, quindi degli interessi economici e della finanza. Proprio quel mondo che fu il primo responsabile ed istigatore del movimento sessantottino e particolarmente dei suoi affabulatori. Esattamente quel mondo che aveva tutto l’interesse ad esercitare un dominio assoluto ed incontrastato sulle masse e che, data la sua disponibilità di risorse materiali, aveva anche la possibilità di volgere gli eventi a proprio favore, pur rimanendo abilmente celata nell’ombra.

Chi finanziò gli esperimenti della CIA sugli effetti delle droghe sulla mente umana? I governi, forse. Ma chi finanzia i governi, o per meglio dire i governanti? Nonché i leader, i partiti, i movimenti e quant’altro? Chi ha la disponibilità economica di farlo? La risposta vien da sé. In fondo, quello di diffondere droga in una certa società per indurla in uno stato comatoso, per privarla delle capacità di reazione, per poterla meglio manipolare, sfruttare e depredare dopo averla fatta scivolare in uno stato di totale degrado morale e psicologico, non è certo una tattica nuova: fu quello che fecero anche gli inglesi in Cina, con le Guerre dell’Oppio (1839-1842/ 1856-1860). Coloro che mossero e diedero vita al movimento sessantottino fecero ancora di più: non si limitarono a propinare sostanze psicotrope, ma ogni cosa che potesse pervertire la mente umana.

Un altro fattore sul quale l’autore pone particolare enfasi è l’uso della psicologia sulle masse, parallelamente alla diffusione delle droghe: nessuno ignora le colpe degli apprendisti stregoni di questa disciplina, che invece di curare il disagio, le dipendenze e le turbe psichiche le avallarono, le normalizzarono, sostennero la necessità di dare libero sfogo alle proprie pulsioni disordinate ed imputarono la sofferenza al tentativo di reprimerle. Ebbene, non meno delle droghe, anche la psicologia venne utilizzata con fini manipolatori nei confronti dell’opinione pubblica, onde dirigerla gradualmente e silenziosamente verso i fini desiderati dal potere. Non per niente, a distanza di cinquant’anni, ci ritroviamo a vivere in una società dove si pensa sinceramente di non essere mai stati così liberi, quando in realtà non si fa che corrispondere a idee, gusti, mode e comportamenti preconfezionati, prestabiliti ed indotti da un “governo invisibile”, come lo definisce l’autore.

Col Sessantotto – secondo la tesi dell’autore – si è assistito alla veemente eclissi del cristianesimo e dell’ordine da esso dato alla società, in favore dell’instaurazione del “dominio infero di Pan” (il lussurioso satiro della mitologia greca, stranamente simile, almeno nell’immaginario collettivo, al demonio, con tanto di corna e zoccoli caprini).

Quale mente diabolica partorì questo scempio morale e culturale?
I circoli letterari ed intellettuali – che più facilmente e comunemente vengono messi sotto accusa dai detrattori del Sessantotto – ebbero sicuramente un ruolo fondamentale nella diffusione della controcultura. Ma ben più oscure sono le trame all’origine delle idee che pervertirono intere società: sette luciferine, società magico-esoteriche, addirittura consorterie universitarie, attive in Inghilterra tra la fine dell’Ottocento e gli ultimi anni del Novecento, i cui membri hanno raggiunto quasi tutti la vetta del potere politico, economico-finanziario e culturale. Di nuovo si profilano all’orizzonte quei “Poteri Oscuri” ai quali l’autore ha sin da subito – e per più volte nel corso del libro – imputato la responsabilità morale del Sessantotto e della devastazione che ne fu la conseguenza. La “testa di Pan”, come la chiama l’autore, cioè la testa pensante che partorì e pose in essere in Sessantotto come fenomeno socio-culturale di massa, fu proprio quell’alta finanza e, in misura minore, quella pseudo-cultura dedita all’esoterismo iniziatico.

In sintesi, il Sessantotto fu certamente una rivoluzione ma, come tutte le rivoluzioni, di spontaneo o di “improvvisato” non ebbe proprio nulla (sarebbe stato divertente vedere un manipolo di hippie col cervello obnubilato dalle droghe e l’anima abbruttita dalle turpitudini mettere tutto a soqquadro senza l’appoggio di “quelli che contano”). Come tutte le rivoluzioni non vennero poste in essere da masse esasperate per una qualsivoglia ragione. Come tutte le rivoluzioni ci fu una regìa occulta. Come tutte le rivoluzioni, il suo fine non era “liberare gli oppressi”, ma instaurare l’oppressione. All’origine della sovversione vi sono sempre personaggi, intenzioni ed interessi oscuri.

Tutto quello che si può dire è che la controcultura sessantottina, facendo leva sulle cattive inclinazioni dell’uomo, sulle concupiscenze e sui vizi capitali, riuscì a depravare un’intera generazione, a farne dei tossicodipendenti, votati ad ogni genere di turpitudine e del tutto privi di valori morali, oltre che di capacità di raziocinio e di giudizio. Il risultato lo abbiamo sotto gli occhi ai nostri giorni, a cinquant’anni di distanza: l’odierna società dove imperano l’imbecillità, la demenza più pura, la cretineria più assoluta e l’edonismo più sfrenato.

Se l’intento dei “Poteri Oscuri” era quello di trasformare le varie società occidentali in delle masse di lobotomizzati, con comportamenti scimmieschi, interessati solo al denaro, al sesso e al telefono di ultima generazione, bisogna ammettere che hanno conseguito il loro obbiettivo. Il grande merito di Danilo Fabbroni è proprio quello di aver gettato un po’ di luce su queste trame – sulle quali ci sarebbe pure tanto altro da dire e molto altro da scoprire – contribuendo così a demolire il “mito” del Sessantotto come liberazione giovanile dalle norme sociali arcaiche, borghesi, patriarcali e fasciste. Il Sessantotto non ha aiutato l’umana società a progredire: al contrario, è stato una delle principali cause di regresso antropologico e di imbarbarimento. Siamo quel che siamo anche grazie al Sessantotto, ed ogni altra parola in questo senso è superflua.






marzo 2019