ENRICO MARIA RADAELLI, La bellezza che ci salva, Pro manuscripto, 2011, pp. 332, € 35,00.
Il libro è reperibile presso l'autore (info@enricomariaradaelli.it)
presso la libreria Hoepli (http://www.hoepli.it/libro/la-bellezza-che-ci-salva/9786009942039.asp)
presso la libreria Coletti
(http://www.libreriacoletti.it/libro/la-bellezza-che-ci-salva.aspx?p=785685)

si legga l'articolo scritto dall'Autore
sulla problematica della interpretazione dei testi del Concilio e
sulla necessità di un pronunciamento del supremo Magistero,
con una richiesta al Santo Padre
perché prenda una iniziativa in tal senso in vista del
50° anniversario della chiusura del Concilio


Presentazione nostra
Presentazione dell'Autore
Risguardi di copertina
Brano dal Proemio


Presentazione

Il Prof. Enrico Maria Radaelli pubblica il suo quinto titolo approfondendo la sua ricerca sul rapporto tra bellezza e verità, che ha già sviluppato delle suoi due precedenti lavori: Ingresso alla bellezza e Sacro al calor bianco, quest'ultimo particolarmente rivolto al rapporto tra bellezza e liturgia.
Allievo del compianto Prof. Romano Amerio, l'Autore ha contribuito primariamente e con lodevole perseveranza a tenere acceso l'interesse del mondo cattolico per questo benemerito studioso delle “variazioni della Chiesa Cattolica nel XX secolo”, espressione che è esattamente il sottotitolo dell'ormai ben noto Iota Unum, il testo che, pur avvolto nel più profondo silenzio per tanti anni, è ormai annoverato, nel mondo intero, tra gli indispensabili testi di riferimento per ogni serio studio su tutta la problematica relativa alla crisi che attanaglia la Chiesa Cattolica da cinquan'anni. Questo è stato possibile anche per il lavoro svolto dal Prof. Radaelli in questi anni: dalla cura del secondo noto titolo di Romano Amerio, Stat Veritas, uscito postumo proprio grazie al nostro Autore, alla pubblicazione dell'interessantissima raccolti di pensieri annotati in quasi 50 anni da Amerio: Zibaldone, all'organizzazione di due importantissime tavole rotonde sulla figura e l'opera di Amerio, a Lugano e ad Ancona. Di quest'ultima sono stati pubblicati gli Atti: Romano Amerio, il Vaticano II e le variazioni nella Chiesa Cattolica del XX secolo.

In questo suo nuovo lavoro, l'Autore “intende sviluppare un discorso metafisico sulla bellezza, rapportandolo alle sigenze e alle finalità proprie della teologia, nella convinzione che essa, la teologia, non debba e non possa prescindere da premesse aletiche e da schemi concettuali derivanti da un'autentica metafisica”, come scrive Mons. Antonio Livi nella prefazione del libro.
In realtà oggi l'istanza metafica passa per due diffuse distorsioni, una strettamente connessa al linguaggio, per cui col termine “metafisica” si è giunti a designare cose diverse che hanno molto a che fare con la “fisica” e molto poco con la “meta”, e l'altra che tende a confondere la metafisica con la teologia, come fossero equivalenti e non si richiedesse la dipendenza della seconda dalla prima.
Qui Radaelli parte dall'esigenza di “individuare questa difficile idea [della bellezza], e unificarla, cioè oggettivarla, in modo che si possano poi realisticamente porre le basi davvero a questa tanto vagheggiata civiltà della bellezza”, come scrive egli stesso nel Proemio, di cui riportiamo qui la prima parte. Questa istanza è subito espressa nel sottotitolo di questo lavoro: “La forza di Imago, il secondo Nome dell'Unigenito di Dio, che , con Logos, può dar vita a una nuova civiltà, fondata sulla bellezza.” Da cui si evince il tema centrale del libro: ricordare e confermare che nessun ideale di bellezza è degno di essere pensato, né perseguito, se non a partire dalla Verità, che è in se stessa il Bene e il Bello, la fonte e lo sbocco di ogni reale  “civiltà della bellezza”, a fronte della quale l'ideale di bellezza mondana si rivela essere una pallida chimera svuotata di quella luce interiore senza la quale ogni cosa si opacizza fino a ridursi a semplice “bruttezza”.

Per offrire un’anticipazione del testo e dello stile dell’Autore, abbiamo riprodotto la prima parte del “Proemio”.

Corre l’obbligo di segnalare anche gli altri scritti di Enrico Maria Radaelli, di cui si può avere ampia notizia nell'apposita pagina del suo sito “Aurea Domus”.



Presentazione dell'Autore

Ciò che si riporterà sono fatti, “proposte forti” da cui da oggi
non si potrà più prescindere, né tralasciare una seconda volta, pena, temo,
l’intensificazione dell’attuale imbarbarimento e delle devastanti iconoclastie,
con sempre meno attenuanti per i responsabili, cioè per noi. (p. 16)

Siamo sulle rovine di una civiltà, e non ci accorgiamo che quelle su cui siamo
sono rovine solo per il fatto che sono costruite dalla civiltà – cioè da noi – avendole noi molto civilmente camuffate e molto affabilmente ammantate di meravigliose ma a dire il vero ancor più false e finte «novità». (p. 26)

Il forno del pane è la cultura e il forno della cultura la religione. (p. 33)
«Pane e musica», «pane e poesia», «pane e cultura», «pane e bellezza»,
scegliete voi, è ciò di cui l’uomo ha fame. (pag. 37)

Obiettivo: ripristinare una Filosofia d’amore di un’Arte d’amore
per una Liturgia d’Amore, dove l’Oggetto è una Persona d’Amore,
il soggetto una persona bisognosa d’amore
e l’Oggetto finale da raggiungere una Realtà d’amore. (pp. 79-80)

Senza bambini non c’è futuro, e, se senza futuro, a che l’arte? (p. 194)

La grande risorsa della nostra vita, che ci fa assaporare la sua bellezza,
che ci fa trasalire l’anima in un intrattenibile sospiro,
che ci fa riprendere il sorriso, illuminare gli occhi di immortale intelligenza, piangere persino di gioia, a volte,
per averla scoperta lì dove davvero mai e poi mai si credeva trovarla,
bellezza arcana qual è, è l’invenzione. (p. 236)

Le api operose come Giotto [e come tutti gli artisti della Chiesa]
si posano sui fiori della dottrina cattolica, rovistano nei succosi calici,
ne assaporano solerti le fragranze e ne cavano i prelibati mieli
da offrire alle bocche affamate dei piccoli. (p. 288)



Risguardi di copertina




(torna su)

Dal “Proemio”


1. OBIETTIVO E SISTEMATICA DEL LIBRO. Se si facesse un referendum e si chiedesse alla gente se voglia o non voglia vivere in una civiltà fondata sulla bellezza, la risposta sarebbe unanimemente per il più convinto dei sì, e sarebbe anche accompagnata, come usa oggi, da una standing ovation da record, e ciò solo per la senz'altro supergradita proposta.

Il problema nascerebbe al momento che si provasse a definire di quale bellezza si parli. Infatti ognuno di noi ha una sua chiara e tutta personale idea di bellezza, anche se magari non saprebbe spiegarla in due parole.

Queste pagine vorrebbero assolvere il non facile compito di dare un contributo alla cosa, ossia individuare questa difficile idea, e unificarla, cioè oggettivarla, in modo che si possano poi realisticamente porre le basi davvero a questa tanto vagheggiata civiltà della bellezza, senza lasciarla ancora dov'è da secoli, nell'empireo dei sogni e nell'incompiutezza.

Prima di tutto: si può realisticamente pensare di farla, una civiltà basata sulla bellezza? Non ci si dilungherà qui a sciorinare tutti i tentativi compiuti nei secoli, le tante Città ideali che hanno costellato il peregrinare della nostra storia, e sappiamo tutti che «Città ideale» è sinonimo di «Civiltà della bellezza» perché mostrare una Città che si vede vuoI dire mostrare una Civiltà che non si vede e l'idealità estrema tesa dall'aggettivo «ideale» rimanda a quella qualità di tale «Città-Civiltà», che è somma, e che si può cogliere ad abundantiam proprio nella sua espressione, cioè nella sua bellezza. Ma il fatto che i tentativi siano stati piuttosto numerosi e continui dimostra che, se pure non si siano avuti risultati tali da dimostrare la fattibilità della cosa, almeno è realistico studiarla. Bisognerebbe vedere piuttosto quanto corrette siano state le coordinate e le prospettive generali dei tentativi compiuti.

Come si sa, gli uomini che nelle varie epoche più si affaticarono all'impresa provengono tutti dal ceppo platonico.
Ritengo che i risultati siano rimasti sulla carta proprio per tale impostazione di fondo - con tutto il rispetto per l'indubbia forte tensione che animò tutti quei grandi -, per il fatto cioè che sia l'idealità platonica in sé a non essere confacente a una realizzazione concreta di qualsiasi cosa.
Il nostro approccio tomista, al contrario, poggiando si sulla nozione aristotelica dell'essere, alla quale san Tommaso seppe dare forza e positività insuperabili e di fatto insuperati, potrebbe ottenere, come si intuisce e come in effetti sarà, ben altri risultati. Il tomismo si poggia su dati tanto realistici da poter dire di aver trovato proprio esso il realismo e che anzi il realismo come sistema neanche esisterebbe senza il tomismo, spina dorsale di una filosofia rotondamente cristiana.

Però gli obiettivi non vogliono essere così ambiziosi da prefigurare un modello, quasi ci si ponesse sul piano di grandi quali Platone, Plotino, Alberti, Piero della Francesca, Leonardo, Campanella: sarebbe già più che quietato il nostro cuore se si riuscisse a proporre col rigore necessario quelli che ci parrebbero senz'altro due buoni risultati delle investigazioni compiute sul tema da chi scrive: il primo, che stabilizzerebbe la bellezza, come già la verità, nell'univocità, avendone individuato una precisa origine (e una sola origine rivela una sola cosa); il secondo, che stabilirebbe un metodo, un criterio preciso, sicuro, universale, per realizzarla, la bellezza, rispettando ovviamente tutta la casistica delle varietà di gusto, personalità, senso comune, tempi, cultura, specie etc.

Il lavoro è stato impostato in quattro sezioni per rendere il più agile possibile l'illustrazione di questa duplice proposta, e, per provare a descrivere ancor più comprensibilmente una materia che presenta oggettive difficoltà, ho avvicinato la nozione di bellezza a un fiume: penso così di aver reso. più chiari alcuni concetti rilevanti, per esempio il concetto di «univocità», che potrebbe preoccupare non pochi, ma se per l'appunto avviciniamo l'univocità a un fiume si capisce che esso manterrà, come il fiume con le sue acque uguali eppur diverse secondo il decorso, tutte le necessarie diversificazioni e gli imprescindibili distinguo propri alla bellezza come alla verità: si capisce dunque che è pur vero che ci muoviamo nell'ambito della metafisica cattolica, nell'ambito cioè di un corpus congenitamente del tutto refrattario al relativismo, ma l'univocità della natura di genere non deve scambiarsi per la varietà di specie, come si vedrà presto allorché si accennerà ai trascendentali, se non col rischio di perdere il carattere di varietà della creazione; ma, la cosa essendo del tutto impossibile a pensarsi proprio in una filosofia cristiana (dove il genere è univoco), la bellezza è salva e l'univocità anche.

Per cui: se la bellezza è un gran fiume che percorre il mondo, essa sarà ben soggetta a condizioni ambientali e climatiche delle terre in cui scorre, avrà le sue proprie acque, la cui composizione ci darà modo di moltiplicarne la benefica portata, e avrà pure, infine, le sue origini, le prime sue sorgenti; origini o sorgenti che, per quanto misteriose, dovranno pur poter venire alla fin fine scoperte e conosciute.

Ho dunque suddiviso il lavoro in tre obiettivi primari (divisi appunto in un proemio e in due capitoli principali) e in una considerazione finale svolta in un ulteriore capitolo.

primo obiettivo: circoscrivere rigorosamente tutte le condizioni che permettono al Fiume della Bellezza di non perdersi a stagnare in acquitrini e paludi, tutti luoghi, questi, terribilmente malsani; o viceversa egualmente perdersi in inondazioni devastanti, e ciò si vedrà per necessità subito, giusto in questo proemio, saggiando la consistenza di quegli argini;

secondo obiettivo: cercare, come si diceva, le origini del gran fiume, con tutto ciò che la cosa comporta: una volta che si sa - anzi, nel nostro caso: una volta che si torna a sapere - da dove viene precisamente la bellezza, bisognerà utilizzarne le risorse nel modo e soltanto nel modo che essa permette, e non come se essa fosse invece un'altra acqua, proveniente da ben altre e chissà quali sorgenti: trovatene le sorgenti, bisognerà farne buon uso, in primo luogo nella liturgia e in ciò che attornia l'Ostia consacrata, ossia nell'arte sacra; si vedrà inoltre che quelle sorgenti non solo danno vita al Fiume della Bellezza, ma anche al Fiume della Verità, al Fiume della Bontà e al Fiume dell'Unità; e ciò si vedrà al primo capitolo;

terzo obiettivo: illustrare il criterio metodologico per il quale, sia nelle terre più vaste della vita, dove il Fiume della Bellezza allunga con meravigliose anse e controanse il suo commovente percorso, che poi, più in particolare, nei giardini e nei ninfei dove si sparge in laghetti e ruscelli e dove si dilettano le nove Muse e ogni altra grazia e virtù dello spirito per rendere gloria a Dio, queste acque benedette e caste possano davvero suscitare bellezza, e non solo bellezza, ma anche verità, bontà e unità; e ciò si vedrà nel secondo capitolo;

una considerazione: si vedrà infine cosa avviene allorché si bevono felicemente le acque salutari della bellezza e cosa invece allorché si preferisce avvicinarsi a bevande altrimenti inebrianti, ovvero, fuor di metafora, saranno illustrate alcune delle più emozionanti conseguenze estetiche ed etiche della confusione che si fa intorno alla bellezza: sia quelle da rifuggire, come misoneismo e avventurismo (terzo e ultimo capitolo), che quelle da anche alacremente ricercare (in ciò che, stralciato all'ultimo minuto dal presente studio, merita divenire uno studio autonomo, che seguirà a breve il presente).

Voglio sottolineare che quelli che si riporteranno sono fatti, cioè realtà forti da cui in futuro non si potrà più prescindere né dimenticare una seconda volta, pena, temo, l'intensificazione dell'attuale imbarbarimento e dell'iconoclastia, con sempre meno attenuanti per i responsabili, cioè per noi.

A questo punto siamo pronti per entrare nel merito del primo obiettivo, ossia in ciò che ho chiamato l'ambiente in cui nei secoli, ma pure oggi e ancora domani, scorre il Fiume della Bellezza, fatto piuttosto importante, giacché si vedrà quanto esso sia favorevole o quanto metta in difficoltà lo scorrimento puro delle acque; insomma: se il sapere da dove origina il fiume ci garantisce della bontà originaria e sostanziale delle sue acque, di importanza non minore sarà sapere in quali territori, con quali argini, con quali precauzioni e con quali accorgimenti le acque poi fluiscono per il benessere dei popoli che tocca, almeno per il fatto che così si possono anche dare alcune buone indicazioni per stornare i diversi tentativi già compiuti per avvelenarle o per dirottarle: per intorbidare insomma in tutti i modi la loro purezza e beltà.




(maggio 2011)