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ENRICO MARIA RADAELLI, La bellezza che ci salva,
Pro manuscripto, 2011,
pp. 332, € 35,00. Presentazione nostra Presentazione dell'Autore Risguardi di copertina Brano dal Proemio
Risguardi di copertina (torna su)
Il problema nascerebbe al momento che si provasse a
definire di quale bellezza si parli. Infatti ognuno di noi ha una sua
chiara e tutta personale idea di bellezza, anche se magari non saprebbe
spiegarla in due parole. Queste pagine vorrebbero assolvere il non facile compito
di dare un contributo alla cosa, ossia individuare questa difficile
idea, e unificarla, cioè oggettivarla, in modo che si possano
poi realisticamente porre le basi davvero a questa tanto vagheggiata
civiltà della bellezza, senza lasciarla ancora dov'è da
secoli, nell'empireo dei sogni e nell'incompiutezza. Prima di tutto: si può realisticamente pensare di
farla, una civiltà basata sulla bellezza? Non ci si
dilungherà qui a sciorinare tutti i tentativi compiuti nei
secoli, le tante Città ideali che hanno costellato il
peregrinare della nostra storia, e sappiamo tutti che
«Città ideale» è sinonimo di
«Civiltà della bellezza» perché mostrare una
Città che si vede vuoI dire mostrare una Civiltà che non
si vede e l'idealità estrema tesa dall'aggettivo
«ideale» rimanda a quella qualità di tale
«Città-Civiltà», che è somma, e che si
può cogliere ad abundantiam
proprio nella sua espressione, cioè nella sua bellezza. Ma il
fatto che i tentativi siano stati piuttosto numerosi e continui
dimostra che, se pure non si siano avuti risultati tali da dimostrare
la fattibilità della cosa, almeno è realistico studiarla.
Bisognerebbe vedere piuttosto quanto corrette siano state le coordinate
e le prospettive generali dei tentativi compiuti. Come si sa, gli uomini che nelle varie epoche più
si affaticarono all'impresa provengono tutti dal ceppo platonico. Però gli obiettivi non vogliono essere così
ambiziosi da prefigurare un modello, quasi ci si ponesse sul piano di
grandi quali Platone, Plotino, Alberti, Piero della Francesca,
Leonardo, Campanella: sarebbe già più che quietato il
nostro cuore se si riuscisse a proporre col rigore necessario quelli
che ci parrebbero senz'altro due buoni risultati delle investigazioni
compiute sul tema da chi scrive: il
primo, che stabilizzerebbe la bellezza, come già la
verità, nell'univocità, avendone individuato una precisa
origine (e una sola origine
rivela una sola cosa); il secondo, che stabilirebbe un
metodo, un criterio preciso, sicuro, universale, per realizzarla, la
bellezza, rispettando ovviamente tutta la casistica delle
varietà di gusto, personalità, senso comune, tempi,
cultura, specie etc. Il lavoro è stato impostato in quattro sezioni per
rendere il più agile possibile l'illustrazione di questa duplice
proposta, e, per provare a descrivere ancor più
comprensibilmente una materia che presenta oggettive difficoltà,
ho avvicinato la nozione di bellezza a un fiume: penso così di
aver reso. più chiari alcuni concetti rilevanti, per esempio il
concetto di «univocità», che potrebbe preoccupare
non pochi, ma se per l'appunto avviciniamo l'univocità a un
fiume si capisce che esso manterrà, come il fiume con le sue
acque uguali eppur diverse secondo il decorso, tutte le necessarie
diversificazioni e gli imprescindibili distinguo propri alla bellezza
come alla verità: si capisce dunque che è pur vero che ci
muoviamo nell'ambito della metafisica cattolica, nell'ambito
cioè di un corpus
congenitamente del tutto refrattario al relativismo, ma
l'univocità della natura di genere
non deve scambiarsi per la varietà di specie, come si vedrà presto
allorché si accennerà ai trascendentali, se non col
rischio di perdere il carattere di varietà della creazione; ma,
la cosa essendo del tutto impossibile a pensarsi proprio in una
filosofia cristiana (dove il genere
è univoco), la bellezza è salva e l'univocità
anche. Per cui: se la bellezza è un gran fiume che
percorre il mondo, essa sarà ben soggetta a condizioni
ambientali e climatiche delle terre in cui scorre, avrà le sue
proprie acque, la cui composizione ci darà modo di moltiplicarne
la benefica portata, e avrà pure, infine, le sue origini, le
prime sue sorgenti; origini o sorgenti che, per quanto misteriose,
dovranno pur poter venire alla fin fine scoperte e conosciute. Ho dunque suddiviso il lavoro in tre obiettivi primari
(divisi appunto in un proemio e in due capitoli principali) e in una
considerazione finale svolta in un ulteriore capitolo. primo
obiettivo: circoscrivere rigorosamente tutte le condizioni che
permettono al Fiume della Bellezza di non perdersi a stagnare in
acquitrini e paludi, tutti luoghi, questi, terribilmente malsani; o
viceversa egualmente perdersi in inondazioni devastanti, e ciò
si vedrà per necessità subito, giusto in questo proemio,
saggiando la consistenza di quegli argini; secondo
obiettivo: cercare, come si diceva, le origini del gran fiume,
con tutto ciò che la cosa comporta: una volta che si sa - anzi,
nel nostro caso: una volta che si torna
a sapere - da dove viene precisamente la bellezza,
bisognerà utilizzarne le risorse nel modo e soltanto nel modo che
essa permette, e non come se essa fosse invece un'altra acqua,
proveniente da ben altre e chissà quali sorgenti: trovatene le
sorgenti, bisognerà farne buon uso, in primo luogo nella
liturgia e in ciò che attornia l'Ostia consacrata, ossia
nell'arte sacra; si vedrà inoltre che quelle sorgenti non solo
danno vita al Fiume della Bellezza, ma anche al Fiume della
Verità, al Fiume della Bontà e al Fiume
dell'Unità; e ciò si vedrà al primo capitolo; terzo
obiettivo: illustrare il criterio metodologico per il quale, sia
nelle terre più vaste della vita, dove il Fiume della Bellezza
allunga con meravigliose anse e controanse il suo commovente percorso,
che poi, più in particolare, nei giardini e nei ninfei dove si
sparge in laghetti e ruscelli e dove si dilettano le nove Muse e ogni
altra grazia e virtù dello spirito per rendere gloria a Dio,
queste acque benedette e caste possano davvero suscitare bellezza, e
non solo bellezza, ma anche verità, bontà e unità;
e ciò si vedrà nel secondo capitolo; una
considerazione: si vedrà infine cosa avviene
allorché si bevono felicemente le acque salutari della bellezza
e cosa invece allorché si preferisce avvicinarsi a bevande
altrimenti inebrianti, ovvero, fuor di metafora, saranno illustrate
alcune delle più emozionanti conseguenze estetiche ed etiche
della confusione che si fa intorno alla bellezza: sia quelle da
rifuggire, come misoneismo e avventurismo (terzo e ultimo capitolo),
che quelle da anche alacremente ricercare (in ciò che,
stralciato all'ultimo minuto dal presente studio, merita divenire uno
studio autonomo, che seguirà a breve il presente). Voglio sottolineare che quelli che si riporteranno sono
fatti, cioè realtà forti da cui in futuro non si
potrà più prescindere né dimenticare una seconda
volta, pena, temo, l'intensificazione dell'attuale imbarbarimento e
dell'iconoclastia, con sempre meno attenuanti per i responsabili,
cioè per noi. A questo punto siamo pronti per entrare nel merito del primo obiettivo, ossia in ciò che ho chiamato l'ambiente in cui nei secoli, ma pure oggi e ancora domani, scorre il Fiume della Bellezza, fatto piuttosto importante, giacché si vedrà quanto esso sia favorevole o quanto metta in difficoltà lo scorrimento puro delle acque; insomma: se il sapere da dove origina il fiume ci garantisce della bontà originaria e sostanziale delle sue acque, di importanza non minore sarà sapere in quali territori, con quali argini, con quali precauzioni e con quali accorgimenti le acque poi fluiscono per il benessere dei popoli che tocca, almeno per il fatto che così si possono anche dare alcune buone indicazioni per stornare i diversi tentativi già compiuti per avvelenarle o per dirottarle: per intorbidare insomma in tutti i modi la loro purezza e beltà. (torna su)
(maggio 2011) |