I testi qui raccolti
forniscono i criteri di sicuro discernimento teologico che possono
rimediare al grave disorientamento provocato dalla discussione sui temi
all’ordine del giorno nel Sinodo sulla famiglia, convocato da papa
Francesco con l’intenzione di consultare l’episcopato mondiale sul modo
migliore di applicare la dottrina della Chiesa alla situazione attuale
delle famiglie cattoliche di tutto il mondo. Egli stesso aveva
già indicato nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium le principali
linee pastorali da seguire, e va notato che in questo documento di base
la pastorale non si distingue – né concettualmente né
praticamene – dall’evangelizzazione e dalla catechesi, ossia dalla
fedele comunicazione della verità rivelata, dove la dottrina
dogmatica non può essere separata da quella morale. Si rilegga,
in proposito, quanto si trova scritto al paragrafo 36 di questo
importante documento magisteriale:
«Tutte le verità rivelate procedono
dalla stessa fonte divina e sono credute con la medesima fede, ma
alcune di esse sono più importanti per esprimere più
direttamente il cuore del Vangelo. In questo nucleo fondamentale
ciò che risplende è la bellezza dell’amore salvifico di
Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto. In questo senso,
il Concilio Vaticano II ha affermato che “esiste un ordine o piuttosto
una gerarchia delle verità nella dottrina cattolica, essendo
diverso il loro nesso col fondamento della fede cristiana”. Questo vale
tanto per i dogmi di fede quanto per l’insieme degli insegnamenti della
Chiesa, ivi compreso l’insegnamento morale» (Francesco,
Esortazione Apostolica Evangelii
gaudium ai Vescovi, ai Presbiteri, ai Diaconi, alle Persone
Consacrate e ai Fedeli Laici sull’annuncio del Vangelo nel mondo
attuale, 24 novembre 2013, n. 36).
Anche in molti discorsi e allocuzioni pronunciati tra la prima e la
seconda sessione del Sinodo papa Francesco ha voluto chiarire le sue
intenzioni, che consistono precisamente in un’attualizzazione e una
conferma della dottrina dei suoi immediati predecessori:
«Il 25 marzo, solennità
dell’Annunciazione, in molti paesi si celebra la giornata per la vita.
Per questo, vent’anni fa san Giovanni Paolo II in questa data
firmò l’enciclica Evangelium vitæ. Per ricordare tale
anniversario oggi sono presenti in piazza molti aderenti al Movimento
per la Vita. Nell’Evangelium vitæ la famiglia occupa un posto
centrale, in quanto è il grembo della vita umana. La parola del
mio venerato predecessore ci ricorda che la coppia umana è stata
benedetta da Dio fin dal principio per formare una comunità di
amore e di vita, a cui è affidata la missione della
procreazione. Gli sposi cristiani, celebrando il sacramento del
matrimonio, si rendono disponibili ad onorare questa benedizione, con
la grazia di Cristo, per tutta la vita. La Chiesa, da parte sua, si
impegna solennemente a prendersi cura della famiglia che ne nasce, come
dono di Dio per la sua stessa vita, nella buona e nella cattiva sorte:
il legame tra Chiesa e famiglia è sacro e inviolabile. La
Chiesa, come madre, non abbandona mai la famiglia, anche quando essa
è avvilita, ferita e in tanti modi mortificata. Neppure quando
cade nel peccato, oppure si allontana dalla Chiesa; sempre farà
di tutto per cercare di curarla e di guarirla, di invitarla a
conversione e di riconciliarla con il Signore. […] Tutti – papa,
cardinali, vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, fedeli laici –
tutti siamo chiamati a pregare per il sinodo. Di questo c’è
bisogno, non di chiacchiere! […] Il prossimo sinodo dei vescovi possa
ridestare in tutti la consapevolezza del carattere sacro e inviolabile
della famiglia, la sua bellezza nel progetto di Dio»
(Francesco, Udienza generale di mercoledì 25 marzo 2015).
Nonostante la paterna raccomandazione del Pontefice a limitare troppe
“inutili chiacchere”, non pochi episcopati (in particolare quelli della
Germania, dell’Austria, dell’Olanda, del Belgio e della Svizzera), in
vari documenti ufficiali preparati in vista dei lavori finali del
Sinodo hanno auspicato che si arrivi a legittimare per tutta la Chiesa
una prassi che nei loro rispettivi Paesi è già largamente
adottata e che comporta la negazione dei più fondamentali
principi dottrinali sulla morale sessuale, sul matrimonio e
sull’Eucaristia. In dissenso esplicito da quanto dichiarato
ufficialmente dalla conferenza episcopale svizzera, il vicario generale
della diocesi di Coira ha scritto:
« Anche in Svizzera uomini e donne cattolici
si sono interessati all’inchiesta su matrimonio e famiglia, eseguita in
vista del sinodo dei vescovi del prossimo ottobre. E le loro richieste
sono la comunione per i divorziati e risposati con rito civile e il
riconoscimento da parte della Chiesa di coppie dello stesso sesso, come
anche la loro benedizione. Ciò non sorprende molto. Sorprende
piuttosto, invece, la dichiarazione degli autori del sondaggio che il
sinodo dei vescovi e i fedeli condurrebbero un “dialogo tra sordi”. In
realtà, il fraintendimento non è tra i partecipanti al
sondaggio e il sinodo, ma tra loro e papa Francesco. Il papa ha
recentemente pubblicato la bolla per l’Anno Santo, che avrà
inizio l‘8 dicembre 2015 e che metterà al centro la misericordia
di Dio, affinché “la parola del perdono possa giungere a tutti e
la chiamata a sperimentare la misericordia non lasci nessuno
indifferente”. Papa Francesco può parlare in questo modo
perché intende la misericordia in senso classico, come viene
descritta nella parabola biblica del figliol prodigo. Il figlio, dopo
aver dissipato l’eredità e aver vissuto al di sotto della sua
dignità, ritorna dal padre e riconosce che i valori del padre
erano in effetti quelli giusti. Così ottiene misericordia e
perdono. Riferito al sinodo dei vescovi sulla famiglia e all’Anno
Santo, questo significa che papa Francesco – su fondamento biblico e in
sintonia con i suoi predecessori sulla cattedra di Pietro – concepisce
il matrimonio, che è costituito da un uomo e una donna ed
è indissolubile, quale unico luogo previsto da Dio per vivere la
sessualità. A chi non riesce a vivere secondo questo piano
divino, ma dimostri almeno certe disposizioni a riconoscere quel piano
e dia prova di un minimo di buona volontà a ritornare al piano
divino, papa Francesco mette a disposizione i ricchi tesori della
divina misericordia. I partecipanti al sondaggio in Svizzera,
però, non vogliono proprio questa misericordia. Le affermazioni
dottrinali difese da papa Francesco riguardo al matrimonio e alla
famiglia non sono per loro orientamenti vincolanti né norme
obbligatorie. È come se il figlio della parabola evangelica
dicesse a suo padre: “Voglio continuare a fare quello che finora ho
fatto, perché è giusto. Dammi altri soldi!”. I
partecipanti al sondaggio non vogliono dunque riconoscere il criterio
di valori del messaggio biblico tramandato dalla Chiesa e rifiutano di
cambiare il proprio stile di vita. Si aspettano piuttosto che sia
l’annuncio di fede della Chiesa a cambiare e ad adattarsi ai criteri
del loro stile di vita. Vogliono quindi che la Chiesa debba riconoscere
e rispettare le “realtà familiari molteplici”, come le famiglie
“patchwork” e le famiglie “arcobaleno”. Solo così, dicono, la
concezione di famiglia cristiana potrebbe riacquistare rilevanza. La
misericordia secondo papa Francesco appare, di fronte a una tale
richiesta, una elemosina umiliante che l’emancipato uomo contemporaneo
respinge. Accogliere la misericordia significherebbe appunto
riconoscere la validità dei valori del padre, in questo caso del
Santo Padre. Viene invece richiesta la sovranità di poter
definire autonomamente i contenuti della fede. Nel prossimo sinodo dei
vescovi la materia in discussione va quindi oltre il tema del
matrimonio e della famiglia. Si tratta della questione se è la
dottrina della Chiesa o la realtà sociale a stabilire il
criterio al quale i fedeli debbano fare riferimento. Mi viene in mente
l’arcivescovo Johannes Dyba della diocesi di Fulda, in Germania, dove
ho studiato. A noi seminaristi una volta disse: “Dobbiamo abbracciare
il mondo per alitare su di esso lo spirito cristiano. Alcuni, invece,
si lasciano piuttosto abbracciare dal mondo fino ad esalare l’ultimo
respiro cristiano”. Un abbraccio del genere non rientra neanche nel
pensiero di papa Francesco, che nella sua esortazione apostolica
Evangelii gaudium ha messo in guardia i cattolici da un complesso di
inferiorità “che li conduce a relativizzare o ad occultare la
loro identità cristiana e le loro convinzioni” e da “una specie
di ossessione per essere come tutti gli altri”» (Martin
Grichting, Quelli che non vogliono
la misericordia di Dio, lettera
a Sandro Magister del 6 maggio 2015
Tutta questa discussione pubblica sta provocando inevitabilmente un
grave disorientamento tra i fedeli cattolici. Essi non possono non
avvertire la pressione che da molte parti viene esercitata sul Santo
Padre perché giunga a decretare, alla fine dei lavori del
Sinodo, una nuova prassi pastorale della Chiesa in relazione alla
morale sessuale e alla disciplina dei sacramenti (in particolare,
l’Eucaristia, l’Ordine sacro e il Matrimonio).
UNA NUOVA PRASSI DI MISERICORDIA
PER CHI NON OSSERVA LE
NORME DELLA MORALE SESSUALE?
Uno dei cambiamenti pastorali richiesti riguarda quei battezzati che,
dopo aver contratto un regolare matrimonio canonico, si sono separati
dal coniuge, hanno fatto ricorso al divorzio civile e poi hanno
istituito, con un coniuge diverso da quello legittimo, una convivenza more uxorio (non importa se riconosciuta
come matrimonio dalle leggi dello Stato, perché il matrimonio
civile tra battezzati è canonicamente nullo). Chi si trova in
questa condizione è stato sempre considerato dalla Chiesa come
persona in stato di permanente e notorio peccato grave, ragione per cui
non può, in base ai decreti del Concilio di Trento e alle
vigenti leggi canoniche, essere ammesso alla comunione eucaristica, a
meno che non ottenga prima l’assoluzione sacramentale (condizione della
quale è il pentimento efficace, ossia l’abbandono dello stato di
permanente e notorio peccato grave). La nuova prassi pastorale che
molti (a cominciare dal cardinale Walter Kasper) propongono in nome
della “misericordia”, comporterebbe qualche inedita forma di
riconoscimento ecclesiastico delle cosiddette “seconde nozze” (ossia,
in realtà, del concubinato) e di conseguenza l’ammissione dei
cosiddetti “divorziati risposati” (terminologia equivoca e
teologicamente inammissibile) alla comunione eucaristica. Robert
Spaemann, che è oggi il più autorevole filosofo
cattolico, ha parlato dello sconcerto provocato nell’opinione pubblica
cattolica in Germania dal fatto che il cardiale Kasper abbia presentato
la sua proposta come suggerita dallo stesso papa Francesco, tanto che a
questa presunta autorità si richiamano adesso molti vescovi di
tutto il mondo, a cominciare da quelli tedeschi guidati dal cardinale
Reinhard Marx: «Non si
può – dice Spaemann – parlare
dell’indissolubilità del matrimonio da una parte, e dall’altra
benedire una “unione di secondo letto”» (Cfr «Die
Philosophen Robert Spaemann und Hans Joas im Gespräch über
das neue Pontifikat: “Das Gefühl
des Chaos wird man nicht ganz los”», in Phänomen
Franziskus Das Papstamt im Wandel, (Herder Korrespondenz-Spezial),
Verlag Herder, Freiburg 2015, p. 23)
Analoghe proposte di riforma riguardano la pubblica “accoglienza”, da
parte della Chiesa, delle coppie di omosessuali, “accoglienza” che
viene ritenuta necessaria oggi, non solo in nome della “misericordia”
ma anche e soprattutto in nome dei “valori autentici” che la Chiesa
dovrebbe essere in grado di riconoscere alle “convivenze di fatto”,
anche a quelle basate sui rapporti sessuali contro natura. Più o
meno esplicitamente, si argomenta a favore del “rispetto” per le
condotte omosessuali facendo riferimento alla necessità che la
Chiesa non si estranei dall’evoluzione del costume sociale, visto che
oggi, per lo strapotere mediatico e legislativo della “lobby gay”, esse
ricevono ogni tipo di tutela giuridica da parte dello Stato, almeno nei
Paesi occidentali, ivi compresi quelli di secolare tradizione cattolica.
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