L'INVERNO DELLA CHIESA
DOPO IL CONCILIO VATICANO II

CRISTINA SICCARDI, L'inverno della Chiesa
dopo il Concilio Vaticano II, Sugarco Editori, Milano,
2013,
pp. 297, € 23,00.
Presentazione di Marco Bongi
Libri pubblicati dalla stessa Autrice
“Troppo semplicistico
affermare che nel Concilio Vaticano II « qualcosa andò
storto ». Più corretto affermare che « molte cose
vennero cambiate » e non si tratta di ipotesi o di supposizioni,
ma di fatti”.
Con queste significative parole, dove si fa esplicito riferimento al
titolo di un libro del noto scrittore americano Ralph McInerny, inizia
il volume di Cristina Siccardi: “L'inverno
della Chiesa, dopo il Concilio Vaticano II”. Parole semplici,
inequivocabili e molto chiare che possono, in un certo senso,
riassumere tutto il contenuto di questo interessante lavoro.
Il linguaggio che lo contraddistingue appare infatti scevro da
polemiche apodittiche ma i contenuti, se analizzati con attenzione,
delineano un quadro drammatico della situazione ecclesiastica attuale e
dimostrano, con evidenza cristallina, come i medesimi documenti
conciliari, e non soltanto le derive successive, abbiano avuto un ruolo
non secondario nel determinare gli effetti di oggi.
Diversi sono gli spunti nuovi offerti da questo saggio a cominciare
dalle voci che denunciano la tragica situazione attuale, ovvero quelle
degli stessi progressisti. Sul piano storico sono molto innovative le
considerazioni circa i lavori ante preparatori e preparatori del
Vaticano II che fino ad oggi sono poco emersi:
“Padre Sebastiano Tromp divenne segretario
della Commissione dottrinale. Egli fu fedele servitore della Chiesa e
diede un apporto notevole nella stesura delle encicliche Mystici
Corporis Christi (1943), Mediator
Dei (1947) e Humani Generis (1950)… Gli schemi della Commissione
teologica ebbero tutti il suo sigillo e sarebbe stato normale che
ricevessero, durante i lavori dell’Assise, la benedizione dei padri
conciliari: al contrario, essi scomparvero e neppure uno venne discusso”.
Inoltre il lungo percorso di analisi ha portato l’Autrice ad esaminare
con cura ciò che è avvenuto nelle Università
pontificie prima, durante e dopo il Concilio e a fotografare gli
sconcertanti cambiamenti di tutte le figure ecclesiali, dal Vescovo al
sacerdote al monaco, ma anche dal catechista al chierichetto, senza
tralasciare il mutamento avvenuto all’interno delle congregazioni e
degli ordini religiosi. Non stupisce per nulla il trovare, al termine
del libro, una solida argomentazione fattuale di questa tesi e, come ci
insegna la filosofia perenne, “contra
factos non valet argumentum”:
“Come non accorgersi dei
palesi mutamenti che hanno coinvolto tutti gli ambiti?
Dall’abbigliamento del clero agli altari girati verso il popolo; dai
tabernacoli dislocati nelle « riserve eucaristiche » ai
canti con chitarra e bonghi; da chiese prive di arte sacra e che
sembrano case di preghiera protestanti alla comunione presa con le
mani; da parroci-assistenti sociali alle chierichette; da confessioni
di gruppo a catechisti-ste che parlano di pacifismo e di ingiustizie
sociali; da vescovi che pontificano sulla disoccupazione a suore che
imitano le femministe…” (pag. 272).
A queste ineludibili constatazioni si giunge dopo una lunga e
documentata analisi storica, dove emergono contraddizioni,
ambiguità, omissioni. Ciò che contraddistingue
principalmente quest’opera è comunque il pacato ma impietoso
raffronto successivo che evidenzia, figura per figura, il profondo
mutamento che ha caratterizzato i principali ruoli degli uomini di
Chiesa. Ed ogni cambiamento si è purtroppo quasi sempre risolto
in uno svuotamento, in un progressivo travisamento che potremmo
definire, senza con ciò voler giudicare la buona fede di
nessuno, un vero e proprio tradimento. Impietoso risulta essere allora
il raffronto fra la spiritualità monacale di un san Benedetto o
di un don Divo Barsotti con quella ecumenica del monaco Enzo Bianchi:
“La Comunità di Bose, dove trovano
spazio, in una connivenza senza precedenti nella Chiesa, realtà
protestanti, ortodosse e di altre religioni, applica alla lettera
ciò che sta scritto nel decreto conciliare sull’ecumenismo,
Unitatis redintegratio al § 3, dove si loda l’errore ed esso non
soltanto va rispettato, ma preso in considerazione '… tra gli
elementi o beni dal complesso dei quali la stessa Chiesa è
edificata e vivificata, alcuni, anzi parecchi ed eccellenti, possono
trovarsi fuori dei confini visibili della Chiesa cattolica… Lo Spirito
di Cristo infatti non ricusa di servirsi di esse〔Chiese e
comunità separate ndr〕come di strumenti di salvezza, la cui
forza deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità,
che è stata affidata alla Chiesa'”.
Ecco che l’approfondita disamina spiega che tutti i mutamenti hanno la
loro radice negli stessi documenti conciliari e non in una loro errata
interpretazione o sbagliata linea ermeneutica.
Si tratta, come appare evidente, di mutamenti “genetici” ed
incontestabili ma sempre interni alla Chiesa. Tutti furono
specificamente voluti da uomini di Chiesa e lasciati tranquillamente
“fiorire” senza significative opposizioni da parte della stessa Suprema
Autorità.
Se dunque, come proseguono a pontificare i cosiddetti commentatori
“normalisti”, in realtà il Magistero continuava a predicare una
declamata “continuità”, per quale motivo si sono potute
così ampiamente sviluppare queste distorsioni? Sono
domande che certamente sorgono spontanee al termine di questa
avvincente lettura.
Purtroppo, mi spiace per gli amici “normalisti”, le risposte, come
emerge dalle pagine di Cristina Siccardi, non possono che essere solo
due: o tale “continuità” non c’è stata oppure, e la cosa
non mi sembra assolutamente meno grave, tutti i Pontefici di questi
ultimi cinquant’anni, ad onta dell’incredibile esplosione di proclamata
Santità che pare contraddistinguerli, non sono stati capaci di
governare bene la barca di Pietro. E il “munus regendi et gubernandi” non
è assolutamente di secondo piano nei compiti affidati da Nostro
Signore Gesù Cristo al Suo Vicario.
Marco BONGI
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