Hæc dies, quam fécit Dóminus: exsultémus, et lætémur in ea.
Confitémini Dómino, quóniam bonus: quóniam in sæculum misericórdia eius.
(Salmo 117, 24 e 1 - Graduale della Messa della Domenica di Resurrezione, secondo il Rito Tradizionale) 

Non è senza ragione, o fratelli, che oggi si legge questo salmo nel quale il profeta dice che dobbiamo esultare e rallegrarci: il santo Davide invita tutte le creature a partecipare alla festa di questo giorno.
Perché oggi la risurrezione di Cristo disserra il tartaro, i neofiti della Chiesa rinnovano la terra, lo Spirito Santo spalanca il cielo, il tartaro dischiuso rende i suoi morti, la terra rinnovata germina i risorti, il cielo aperto accoglie le anime che vi salgono. Leggiamo infatti che il buon ladrone sale in paradiso (Luca 23, 43), i corpi dei santi entrano nella città santa (Matteo 27, 51-53), i morti ritornano tra i vivi; tutti insomma gli elementi, con nuovo slancio che viene dalla risurrezione del Cristo, si muovono verso l'alto.
Il tartaro rende ai súperi quelli che deteneva, la terra manda in cielo i suoi sepolti, e il cielo presenta al Signore quelli che ha ricevuto; e, con una sola e medesima operazione, la passione del Salvatore innalza dal profondo, suscita su dalla terra e colloca tra i superni.
La resurrezione di Cristo è infatti vita per i defunti, vénia per i peccatori, gloria per i santi.
Tutte le creature dunque sono invitate dal santo Davide alla festa della resurrezione di Cristo, quando dice che bisogna esultare, ed allietarsi in questo giorno fatto dal Signore.
La luce di Cristo è giorno senza notte, giorno senza fine; ovunque splende, ovunque irraggia, da nessuna parte s'oscura. E che questo giorno sia il Cristo stesso, lo dice l'Apostolo: «La notte è inoltrata, e il giorno s'avvicina» (Romani, 13, 12).
«La notte» dice «è inoltrata», non «segue», perché devi intendere che, sopraggiungendo la luce di Cristo, le tenebre del diavolo son messe in fuga e l'oscurità del peccato non seguirà piú; dall'invitto splendore le precedenti caligini son sgominate, ed è chiuso il varco a successive colpe…
Sempre infatti il giorno celeste splende, riluce, rifulge, nessuna oscurità lo può vincere; cosí anche la luce del Cristo sfavilla, dardeggia, sfolgora, nessun delitto per quanto tenebroso la può oscurare; per cui l'evangelista Giovanni dice: « …la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta…» (Giovanni, 1, 5).
Dunque, o fratelli, in questo santo giorno tutti dobbiamo esultare. Nessuno si sottragga alla comune letizia per il rimorso dei peccati, nessuno si allontani dalle comunitarie suppliche per il peso dei delitti! Per quanto sia peccatore, in questo giorno non deve disperare dell'indulgenza; perché c'è a suo conforto un precedente illustre; se un ladrone ha meritato il paradiso, un cristiano non meriterebbe il perdono? E se a quello il Signore perdonò dalla croce, molto piú perdonerà a questi nella resurrezione; e se nella umiliazione della passione tanto donò a chi si confessava peccatore, quanto darà a chi supplica nel dí glorioso della resurrezione? Come ben sapete, si è piú disposti a concedere favori nel giorno felice del trionfo che nella prigionia e nella pena.
(…)
« …e tu rinnovi come aquila la tua giovinezza» (Salmo 102, 5). Io direi che la giovinezza del Cristo fu rinnovata allora quando Egli risorse dai morti. Depose infatti le spoglie della carne corruttibile e rifiorí con l'assumere rediviva carne, secondo ciò che Egli stesso per mezzo del profeta disse: «Rifiorà la mia carne, e con tutto il mio cuore a lui dò lode» (Salmo 27, 7).
Dice «Rifiorí la mia carne». Badate quale verbo ha usato! Non ha detto «fiorí», ma «rifiorí»; non rifiorisce se non ciò che già ebbe una precedente fioritura. Ora la carne del Cristo fiorí una prima volta quando uscí dall'illibato seno della Vergine Maria … Rifiorí poi quando, reciso dai Giudei questo corporeo  fiore, germogliò redivivo dal sepolcro nella gloria della resurrezione, e, a modo di un fiore, irradiò su tutti gli uomini lo splendore e il profumo dell'immortalità: il profumo soave delle buone opere, lo splendore della incorruttibile immortale vita divina.

(dalla raccolta antologica: Sermoni di S. Massimo, Predica della resurrezione, Vescovo di Torino, édita dalle Ed. Paoline nel 1975)

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