Qualcuno dovrà pur dirlo
di G. L. G.

A PROPOSITO DI DIFESA DEL VOCABOLARIO E DIFESA DELLA MORALE

La legge n° 46 della Regione Piemonte, del 14 novembre 1994, in materia di assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica definisce "nucleo familiare" qualsiasi convivenza di fatto, istituita da almeno due anni («…sono considerati componenti del nucleo familiare anche persone non legate da vincoli di parentela e affinità, qualora la convivenza istituita duri da almeno due anni…», citato da La Stampa del 25.5.96). 

Una tale impostazione attribuisce, indistintamente e acriticamente, pari diritti e pari privilegi a matrimonio, maternità, concubinato, e relazione omosessuale, di conseguenza equiparando di fatto anche sul piano etico comportamenti virtuosi e stati bisognosi di protezione a comportamenti peccaminosi o viziosi (le necessità di una vera famiglia e di una ragazza madre differiscono da quelle di una convivenza biennale, etero o, peggio, omosessuale che sia, per qualità e non per quantità). 

In occasione del bando di assegnazione del Comune di Torino, basato sulla normativa di cui sopra, (maggio 1996), l'Arcivescovo di Torino, Cardinal Saldarini, ha diramato il comunicato seguente: 
«Come Arcivescovo di una diocesi ricca di tradizione e di vivo senso della famiglia apprendo con dolore l'iniziativa giuridica riguardante l''equiparazione pratica di altre unioni interpersonali a quelle della famiglia stessa, a proposito del problema delle abitazioni. 
«Non tale diritto qui si contesta, ma quello di alterare il significato di una realtà che resta invece legata a precise norme costituzionali e canoniche per la sua natura e la sua esistenza: la famiglia nasce dal vero matrimonio ed è l'unica unione che può essere definita con tale nome. Desidero richiamare le coscienze a tale coraggio della verità per il bene di tutti, pur nella libertà di ciascuno.» 
(Citato da La Stampa del 25.5.96. Le sottolineature sono nostre.) 
Il giorno successivo, su Avvenire, Sua Eminenza ha espresso piú diffusamente il suo pensiero: 
«…Non mi sorprende che si diano le case a persone conviventi, siano queste un uomo e una donna oppure coppie omosessuali. Ciò che ritengo gravissimo invece è che tali convivenze di fatto vengano chiamate e considerate "famiglia". Questa è una violenza al vocabolario, una delle violenze piú forti della cultura contemporanea… 
«Per chi vive la condizione omosessuale provo rammarico e misericordia. Certo non li giustifico, come non li giustifica la Chiesa… 
«Il diritto di avere una casa è di tutti e io non lo discuto, fermo restando che mi sembra doveroso dare la precedenza alle coppie che hanno o possono avere figli. Ma la questione qui è un'altra: è che occorre chiamare le cose col loro nome. E "famiglia" significa l'unione di un uomo e una donna nel matrimonio…» 
(Citato da La Stampa del 27.5.96. Le sottolineature sono nostre.) 

Le violenze, (ipocrite), al vocabolario, per mascherare surrettiziamente, con un nome non loro, scopi e realtà incoffessabili sono ormai non eccezione ma sistema, (e non solo nell'area laica), tuttavia, a rigore di logica e di morale, la difesa primaria è dovuta ai diritti violati per mezzo del lessico usato impropriamente, e non al lessico stesso che dell'inganno è, insieme, strumento e vittima secondaria. 

La sostanza perversa della legge non cambierebbe se espressa con esattezza e proprietà di linguaggio. 

Sodoma e Gomorra sono state distrutte dal fuoco di Dio. 
L'inferno attende fornicatori e scandalizzatori se impenitenti. 
Il diritto e la libertà morali di peccare e/o di emanare leggi che favoriscano l'immoralità non esistono, né, tantomeno, vanno riconosciuti, rispettati, tutelati. 

Ci salveranno l'anima la grammatica e la proprietà di linguaggio o il pentimento e il rispetto della legge di Dio? 

(6/96)


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