Nella crisi della Chiesa un po’ di romanità, quella vera.
 
 

Editoriale del Rev. Padre Michele Simoulin, pubblicato nel n° 63, marzo 2001, 
del Bollettino Saint Jean Eudes

(Il Rev. Padre Simoulin è il Superiore del Distretto Italiano della Fraternità Sacerdotale San Pio X)
 
 

(le sottolineature sono nostre)


Innanzi tutto occorre evitare espressioni come «da Roma non ci si può aspettare niente», o «Roma ritorni alla Tradizione», e ognuno dovrebbe essere sempre disposto a correggere onestamente ciò che credeva essere una certezza. 
Le seguenti considerazioni dovrebbero semplicemente aiutarci a non perdere il senso della Chiesa insieme all’amore per Roma, e, con la grazia di Dio, dovrebbero forse aiutare alcuni confratelli a conservare il senso della misura.

Da diversi anni, infatti, abbiamo l’abitudine di parlare della Roma eterna e della Roma modernista, della Chiesa cattolica e della Chiesa conciliare, della religione cattolica e della religione d’Assisi, ecc. … due Rome, due chiese, due religioni che si opporrebbero e si affronterebbero, non avendo apparentemente niente in comune tra loro.
Queste formule sono eccellenti, esse esprimono con vigore il dramma che vive la Chiesa da quarant’anni. Esse sono suggestive e giuste, ma solo nei limiti dell’analogia: se se ne forza il significato esse possono diventare infatti fonte di terribile confusione e possono generare un manicheismo in cui il senso della Chiesa, la fede nella sua divinità e il semplice senso del soprannaturale sarebbero le prime vittime. 

In effetti, è evidente che né Roma, né la Chiesa sono delle entità sostanziali o parti di esse: esse sono invece delle società, degli enti morali la cui unità consiste nell’unità della fede, della speranza e della carità, nella comunione di pensiero e di volontà ordinati allo stesso fine: il Regno di nostro Signore Gesú Cristo e la salvezza delle ànime in vista della gloria di Dio.
Non possiamo dunque concepire due entità perfettamente distinte, individuate, identificabili, ma piuttosto un unico ente morale, il solo reale, la Chiesa cattolica, ma avvelenata da uno spirito estraneo e avverso che tende a corromperla e a distruggerla. 
Né la Roma modernista, né la Chiesa conciliare hanno una esistenza distinta e separata da quella della Roma eterna e della Chiesa cattolica. Non possono averla: come il male non può esistere se non mutuando la sua esistenza dal bene che vuol distruggere, e che non può distruggere senza distruggere sé stesso. 
Cos’è infatti la Chiesa conciliare? Niente altro che la deturpazione della Chiesa cattolica per mezzo del concilio e di ciò che nel concilio vi è di estraneo allo spirito cattolico. Sotto quello che chiamiamo Chiesa conciliare resta sempre la Chiesa cattolica, nostra madre, sotterrata, addormentata e piú o meno ridotta al silenzio.

Ma è evidente - per chi conserva nel cuore la fede nella divinità della Chiesa, corpo mistico e sposa di Gesú Cristo - che questo «pensiero di tipo non cattolico» di cui parlava Paolo VI, sarà sempre impossibilitato ad impadronirsi dell’ànima della Chiesa, del suo pensiero, del suo cuore, e «non sarà mai il pensiero della Chiesa». Lo spirito del concilio può solo impadronirsi dei suoi membri e della sua bocca, per far loro professare ciò che non possono né pensare, né credere; esso può penetrare le sue viscere, come diceva san Pio X, ma non può né mai potrà divenirne totalmente maestro. Non credere questo significa dubitare delle promesse fatte da nostro Signore alla sua Chiesa. La Chiesa cattolica è sommersa dallo spirito del mondo: essa vive il suo «Exinanivit» nella fedeltà al suo Sposo, ma questo non significa che sia assente dal corpo straziato che è il suo.

La Chiesa cattolica è a Ecône, è vero.
Ma chi, senza cadere nello spirito settario, oserà dire che essa è solo a Ecône? 
Essa è anche a Roma, essa è prima di tutto a Roma con la Roma cattolica.
La Chiesa conciliare è a Roma, è vero.
Ma essa è anche dappertutto nel mondo: laddove lo spirito del concilio ha potuto penetrare al suo interno e dominarla.
Non si trova la Chiesa conciliare senza trovare la Chiesa cattolica, seppellita sotto la prima, ma al tempo stesso suo sostegno e sua vittima.

Ogni tanto accade che Gesú Cristo permetta alla Sua Chiesa di prevalere e di far intendere chiaramente la sua voce (sul sacerdozio delle donne, sulla morale naturale…); e accade anche, ahimé, che la Chiesa conciliare si faccia sentire con maggior forza, in occasioni importanti (Assisi, richiesta di perdono, cerimonie ecumeniche o interreligiose…). Ma piú frequentemente, il pane quotidiano che ci distribuisce la Chiesa è un miscuglio dell’una e dell’altra voce, miscuglio insipido e insignificante, sentimentale e filantropico, senza vigore per il bene, né contrario al male, senza vigore per il vero, né contrario al falso. Questa nostra Chiesa sfigurata, troppo umana, troppo mondana, né francamente cattolica e antimodernista, né francamente modernista e anticattolica.
Tutto questo non impedisce però che, malgrado l’orientamento generale impresso alla Chiesa dai suoi prelati conciliari, essa rimanga piú forte, e che qualcosa di buono possa sempre venire da essa per mezzo della stessa Chiesa conciliare, ad insaputa di quest’ultima e suo malgrado. È questo che spiega perché Monsignore non ha mai esitato a recarsi a Roma, o a chiedere alla Roma modernista di lasciarci fare l’esperienza della Tradizione, o a chiedere il riconoscimento della Fraternità e il permesso di effettuare le consacrazioni, ecc.…, perché egli credeva che la Chiesa vive ancora a Roma e poteva utilizzare gli stessi organi conciliari per trarne del bene.

Inoltre, non possiamo dimenticare che la Chiesa non è un ente puramente spirituale. Essa è una realtà incarnata. Essa, per incarnarsi e incarnare Gesú Cristo, ha bisogno di una costituzione giuridica, piú o meno sviluppata. Essa ha bisogno di istituzioni e di uomini per rendere visibile, operante e accessibile la sua realtà spirituale e divina. Ed è proprio là, solo in questa dimensione umana che può interferire concretamente  e dominare questo spirito del concilio, al fine di costituire la Chiesa conciliare contraria allo spirito cattolico. Ma gli organi e le autorità che utilizza questo spirito del concilio per fare della Chiesa cattolica la Chiesa conciliare, sono quelli della Chiesa cattolica. Si tratta del mistero delle licenze divine, simboleggiato nella parabola della zizzania: due spiriti, due religioni, due chiese… inestricabilmente frammiste nell’unica realtà che costituisce la Chiesa cattolica, nostra madre, senza la quale non potremmo vivere e per la quale dobbiamo soffrire e sopportare ciò che essa stessa soffre e sopporta.

Ciò posto, se consideriamo proprio queste realtà nella loro incarnazione, abbiamo a che fare con degli uomini, esseri di carne e sangue, dotati di intelligenza e di volontà, di sentimenti e di passioni, di emozioni, di qualità e di difetti, di peccati e di virtú, capaci dei peggiori tradimenti, ma sempre accessibili alla grazia.

Le realtà della Chiesa non sono delle astrazioni sulle quali si può lavorare a piacimento. Dire che vi sono due chiese, due Rome, due religioni, è vero, ma queste affermazioni che cosa significano in concreto? Niente altro che ci si trova al cospetto della penetrazione nella Chiesa di uno spirito non cattolico, che cerca di dominarla per meglio distruggerla. Aggiungervi degli altri significati significherebbe soccombere alla tentazione di quel manicheismo sottile e semplificatore che pretende che tutto sia puro e buono a destra, e tutto impuro e malvagio a sinistra (senza alcun riferimento politico, beninteso!). Le realtà sono piú sottili e meno semplici, e quindi meno facili da comprendere.
Di fronte ad un papa, a un cardinale, a un vescovo, a un prete, a un fedele… a un essere di carne e sangue, chi potrebbe dire in tutta verità che quella cosa o quell’altra è assolutamente conciliare al punto da non essere piú cattolica? O che è assolutamente cattolica al punto da non avere niente di conciliare? Ove si pone precisamente la frontiera tra i due spiriti, le due chiese, le due Rome? A partire da quando si è veramente conciliari o non lo si è affatto?
Forse è facile rispondere con buone probabilità, se ci si riferisce ad una minoranza: da una parte vi sono i conciliari autentici, i dottori in eresia, coscienti e volontari distruttori della Chiesa… dall’altra chiaramente i santi. Ma sappiamo che queste due categorie, all’interno della Chiesa, sono sempre state composte da un numero infimo di persone. Solo Dio conosce i segreti dei cuori, Lui solo sa se costoro sono piú numerosi di quanto ne sappiamo noi.
La maggioranza, invece, è composta da persone che si collocano tra queste due categorie. Quella gran massa dell’umanità “velleitaria” di cui indubbiamente faccio parte anch’io, che vorrebbe scegliere, e talvolta sceglie, che naviga da una parte all’altra, incerta di sé stessa e di Dio, sempre alla ricerca impossibile della terza via nella quale si potrebbe amare Dio con tutto il cuore senza cessare di amare un po’ anche sé stessi… una massa piú o meno cattolica o conciliare, a seconda delle circostanze. È questa la Chiesa, in tutta la sua miseria umana, vero miracolo della grazia di Gesú Cristo, perché rimanga l’unica via di salvezza e di santità.
Ma la Chiesa conciliare, in quanto tale, si concretizza solo in un piccolo numero di ideologi, eretici formali, che hanno rigettato formalmente la Chiesa cattolica. Chi sono? Questo è un segreto di Dio.

A questo si aggiunga che non siamo piú nel 1970, né nel 1988. E potrei dire, come Mons. Williamson, che non bisogna fare del “settantismo” o dell’“ottantismo”. D’altronde, se non abbiamo piú con noi Monsignore, con tutta la sua santità, la sua saggezza, la sua esperienza su Roma, e il suo profondo senso della Chiesa, abbiamo in cambio tutto quello che ci è necessario per continuare ad esistere, e siamo molto piú numerosi, piú forti e piú uniti (almeno lo spero). I nostri Capitoli generali, le riunioni dei nostri Superiori, hanno dimostrato tale vigore e tale unanimità. Non ultimo, il nostro pellegrinaggio a Roma ne è stata una prova eclatante, ed ha fornito ai nostri preti e ai migliori dei nostri fedeli il senso e l’amore della Roma eterna.

Peraltro, mi sembra che l’ora del concilio «trionfante» degli anni 70 sia passata. Oggi viviamo l’ora del concilio «titubante», ben rappresentata dal Sovrano Pontefice. I «dottori» del concilio sono in via di estinzione. A parte lo stesso Papa e il suo fedele Ratzinger, oggi abbiamo a che fare con i discepoli del concilio, quelli che non hanno ricevuto altro che il concilio; che ne sono stati nutriti e ad esso sono piú o meno fedeli, per convinzione, per obbedienza, per interesse o semplicemente, da ingenui discepoli, perché non conoscono nient’altro. Ma in ogni caso essi sono piú aperti a considerazioni diverse dalle loro, non foss’altro che per curiosità; non dicono piú «obbedite» ed ascoltano volentieri un discorso cattolico! Non è detto che necessariamente lo comprendano, ma almeno non vi sono ostili a priori.
Il fatto è che a Roma, anche se ufficialmente non è cambiato niente sulla via da seguire, via che gli ideologi del concilio seguono con accanimento, si sente minore entusiasmo per gli ideali conciliari, che vengono riproposti come una lezione ben recepita, ma forse con minore illusione rispetto a prima. Non siamo ancora alla messa in discussione del concilio, ma non è detto che ben presto non possa prodursi una falla che permetta l’introduzione del germe di questa messa in discussione. 

In breve, Roma sta sbarazzandosi pian piano delle ultime «reliquie viventi» del Concilio. Resta il numero ristretto di approfittatori di ogni genere, di veri eretici, di segreti nemici, e il gran numero di discepoli del concilio, piú o meno convinti, che sentono il desiderio di lavorare per la Chiesa cattolica.
Infine, lo constatiamo tutti, e lo si nota facilmente fin negli uffici delle Congregazioni romane, il giovane clero aspira ad una vita sacerdotale all’altezza del Cuore di Gesú, molto di piú che i loro predecessori.

Quindi, bisogna accettare o no un accordo con Roma?

Mi si dice che la nostra scomunica da parte della Chiesa conciliare sia la migliore garanzia di cattolicità che possiamo fornire ai fedeli. È vero, perciò nel 1988 abbiamo chiesto di condividere la scomunica dei nostri Vescovi. Ma ciò nonostante, dopo trent’anni, dobbiamo continuare a fregiarci di questa etichetta? I nostri fedeli ne conoscono il significato, e io spero che nel frattempo siano stati formati a conservarlo malgrado l’eventuale sparizione dell’etichetta stessa. Quanto agli altri fedeli, quelli che rimangono spaventati da questa etichetta, mi sembra che non facciano distinzione tra Chiesa cattolica e Chiesa conciliare. Per loro noi siamo scomunicati e tanto basta per allontanarsi. La scomparsa di questa etichetta, senza che nulla cambi nella sostanza, sarebbe per loro una liberazione.

In termini piú sostanziali, se domani la Chiesa conciliare, per svista o per calcolo, ma sempre per disposizione provvidenziale, ci fornisse i mezzi per servire la Chiesa cattolica seppellita sotto di essa, per aiutarla a rivivere nella pienezza della sua forza soprannaturale (S. Messa, Sacramenti, dottrina, morale, disciplina), e aiutarla a sbarazzarsi a poco a poco dello spirito del concilio, senza che da parte nostra vi sia alcun rinnegamento, alcun cambiamento, alcuna promessa - se non quella di servire la Chiesa e la Verità -, saremmo davvero obbligati a rifiutare ogni contatto e a non prendere in considerazione la regolamentazione della nostra situazione, col pretesto che sono tutti dei banditi?
La Chiesa cattolica sarebbe priva del soccorso divino fino al punto di non avere piú abbastanza vigore per servirsi degli organi della Chiesa conciliare, che sono anche i suoi, e per sbarazzarsi dei suoi nemici e mostrarsi al mondo con tutta la sua forza ritrovata? Non dobbiamo aiutarla se ce ne viene offerta la possibilità? 

È vero che noi lavoriamo già per la Chiesa cattolica! Che per servirla abbiamo conservato tutto ciò che da essa abbiamo ricevuto: tutti i suoi tesori piú belli. Ma perché li abbiamo conservati? Per noi? No, per essa! E dobbiamo riconoscere che tutte le limitazioni che contro di noi sono state poste in essere dalla Chiesa conciliare creano dei concreti ostacoli al nostro zelo per la Chiesa. Se otteniamo che la Roma modernista ritiri questi ostacoli alla nostra azione, senza che noi si cambi nulla, possiamo rifiutarci di prendere in considerazione questa possibilità di un servizio piú generoso e piú ampio alla Roma eterna? Se la Roma modernista, per esempio, ci accorda un riconoscimento canonico, è chiaro che questo sarà per noi solo un mezzo per lavorare a ristabilire la dottrina nel seno della Chiesa, e a ristabilirla nella pienezza della verità cattolica. Si farà questo senza di noi? È chiaro che Dio potrebbe farlo, a fronte di tante preghiere, di sacrifici, di vite offerte da tanti anni per la Chiesa; ma ciò rientrerebbe nell’ordine dei miracoli morali, e noi non possiamo competere con questo. Molto spesso Dio si serve di cause seconde per compiere le sue opere. Non vogliamo rientrare nel novero di queste per servire la piú nobile delle cause, e aggiungere la nostra parte all’opera della grazia nella Chiesa e nelle ànime?

Mi si dice anche: che Roma si converta, e poi andremo anche noi. La mia risposta è identica: non è cattolico rimettersi al miracolo. Roma non si convertirà se nessuno lavora per questo, se nessuno viene riconosciuto come «valido interlocutore» in un vero dibattito teologico per ricondurre la Verità sul suo trono. D’altronde, sono tante le strade che portano a Damasco. «Vi sono delle ànime che vanno all’amore per la luce, altre che vanno alla luce per l’amore», scriveva in modo mirabile il santo Padre Berto. Le une si convertono per l’intelligenza: avide di verità vogliono appartenerle per renderle omaggio facendo dipendere da essa tutta la loro vita, poi la loro scienza si volge ad amare, perché la luce che è in esse vuole diffondersi sulle altre ànime e cosí farle amare. Ma altre, innanzi tutto amano e aspirano a donare, ma a donare piú di sé stesse, poiché sentono i loro limiti e non possono soddisfarsi donando meno dell’infinito; e allora si fanno mendiche di verità per poter donare il solo Dono in grado di accontentare il loro amore e soddisfare la fame di coloro che amano: lo Spirito di Verità. Gli scritti dei Dottori della Chiesa, dei grandi mistici, da San Tommaso a Santa Teresa del Bambin Gesú, passando per San Giovanni della Croce, sono unanimi su questo punto.

Abbiamo il diritto di aspettarci da tutti una conversione dottrinale, senza provare a condurli alla luce col cuore o con l’intelligenza?

Don Michele Simoulin
 
 


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